"Le parole dell’anno trascorso
appartengono al linguaggio dell’anno trascorso
e le parole dell’anno a venire attendono un’altra voce."
(T.S. Eliot)
Lo sforzo è non solo ritrovare la propria voce ma anche una voce comune e collettiva che Mi pare abbiamo smarrito...
lunedì 31 dicembre 2018
sabato 29 dicembre 2018
DISEGNARE IL PROPRIO VOLTO
Un uomo s’impegna nella propria vita, disegna il proprio volto e, fuori di questo volto, non c’è niente. Evidentemente questa idea può sembrare dura a qualcuno che non è riuscito nella vita. Ma, d’altra parte, essa dispone gli animi a comprendere che soltanto la realtà vale; che i sogni, le attese, le speranze permettono soltanto di definire un uomo come un sogno deluso, come una speranza mancata, come un’attesa inutile.”
(J.P. Sartre)
Ho provato a riflettere su queste parole - apparentemente sono una totale negazione di tutto ciò in cui credo: un uomo (una donna) non è il suo successo, non è l’esterno, ma ciò che è veramente è il tutto di sè, ciò che dice e sente dentro. Ho pensato poi però che il discorso si riferisca non tanto a questo aspetto, quanto ad un bilancio: alla fine dei conti arriveremo al punto in cui dovremo guardare a noi stessi, a me stessa, dicendomi: “Cos’ho fatto di me stessa?”E lì, non ci sarà amore se non l’amore vissuto, non ci sarà poesia se non la poesia espressa, rischiata, lanciata, non ci sarà opera letteraria se non quella scritta e pubblicata, non ci sarà vita se non quella che ho vissuto come desideravo, prendendomi tutto ciò che essa porta con sé: gli errori, e la responsabilità di quegli errori, i successi, e i dolci frutti di quei successi.
E allora mi sono sentita un po’ toccata (e anche un po’ “toccata” in altro senso, proprio un pensiero da vecchia). E ho pensato che ci penserò in un altro momento....
(J.P. Sartre)
Ho provato a riflettere su queste parole - apparentemente sono una totale negazione di tutto ciò in cui credo: un uomo (una donna) non è il suo successo, non è l’esterno, ma ciò che è veramente è il tutto di sè, ciò che dice e sente dentro. Ho pensato poi però che il discorso si riferisca non tanto a questo aspetto, quanto ad un bilancio: alla fine dei conti arriveremo al punto in cui dovremo guardare a noi stessi, a me stessa, dicendomi: “Cos’ho fatto di me stessa?”E lì, non ci sarà amore se non l’amore vissuto, non ci sarà poesia se non la poesia espressa, rischiata, lanciata, non ci sarà opera letteraria se non quella scritta e pubblicata, non ci sarà vita se non quella che ho vissuto come desideravo, prendendomi tutto ciò che essa porta con sé: gli errori, e la responsabilità di quegli errori, i successi, e i dolci frutti di quei successi.
E allora mi sono sentita un po’ toccata (e anche un po’ “toccata” in altro senso, proprio un pensiero da vecchia). E ho pensato che ci penserò in un altro momento....
venerdì 21 dicembre 2018
martedì 18 dicembre 2018
martedì 11 dicembre 2018
GLI OCCHIALI ROSA (di Elasti)
Copio qui un post del blog NONSOLOMAMMA di Elasti che mi è proprio piaciuto
elogio della rimozione e degli occhiali rosa.
sarà lo yoga, sarà la saggezza degli anni, sarà lo spirito di sopravvivenza, ma negli ultimi tempi elastigirl ha imparato a tenere sempre addosso degli invisibili occhiali rosa.
a volte sono un po’ scomodi, a volte pesanti, a volte fanno male dietro le orecchie ma ci si abitua con il tempo.
tuttavia, attraverso quelle lenti, il mondo è sempre bellissimo. ma la vera magia, gli occhiali rosa, la esercitano sul prossimo. perché attraverso il loro filtro gli altri sono molto simpatici e quando non lo sono hanno delle ottime ragioni e quindi bisogna sorridere e perdonarli subito. gli altri sono anche belli, tendenzialmente buoni, amabili e armati delle migliori intenzioni. anche di fronte all’evidenza, gli occhiali rosa funzionano. perché loro sono un atto di fede, ancor più che di volontà.
vivere con quelli addosso è di grande aiuto perché risparmia la quotidianità dalle brutture, dagli affanni, dai veleni e la alleggerisce, oltre a colorarla, di rosa appunto.
ogni tanto però capita che gli occhiali si scheggino, si righino o magari cadano per terra per colpa di uno spintone, anche involontario.
e allora si annaspa e si inciampa e si ha pure un po’ di paura. perché il mondo si fa livido e feroce e inospitale e lei se lo era dimenticato perché nella rimozione del brutto è bravissima.
e può essere molto dura.
meno male che in fondo a qualche cassetto, a casa, si trova sempre un paio di occhiali rosa di ricambio.
https://nonsolomamma.com/2018/12/10/elogio-della-rimozione-e-degli-occhiali-rosa/
elogio della rimozione e degli occhiali rosa.
sarà lo yoga, sarà la saggezza degli anni, sarà lo spirito di sopravvivenza, ma negli ultimi tempi elastigirl ha imparato a tenere sempre addosso degli invisibili occhiali rosa.
a volte sono un po’ scomodi, a volte pesanti, a volte fanno male dietro le orecchie ma ci si abitua con il tempo.
tuttavia, attraverso quelle lenti, il mondo è sempre bellissimo. ma la vera magia, gli occhiali rosa, la esercitano sul prossimo. perché attraverso il loro filtro gli altri sono molto simpatici e quando non lo sono hanno delle ottime ragioni e quindi bisogna sorridere e perdonarli subito. gli altri sono anche belli, tendenzialmente buoni, amabili e armati delle migliori intenzioni. anche di fronte all’evidenza, gli occhiali rosa funzionano. perché loro sono un atto di fede, ancor più che di volontà.
vivere con quelli addosso è di grande aiuto perché risparmia la quotidianità dalle brutture, dagli affanni, dai veleni e la alleggerisce, oltre a colorarla, di rosa appunto.
ogni tanto però capita che gli occhiali si scheggino, si righino o magari cadano per terra per colpa di uno spintone, anche involontario.
e allora si annaspa e si inciampa e si ha pure un po’ di paura. perché il mondo si fa livido e feroce e inospitale e lei se lo era dimenticato perché nella rimozione del brutto è bravissima.
e può essere molto dura.
meno male che in fondo a qualche cassetto, a casa, si trova sempre un paio di occhiali rosa di ricambio.
https://nonsolomamma.com/2018/12/10/elogio-della-rimozione-e-degli-occhiali-rosa/
lunedì 10 dicembre 2018
SCENETTA DI ROBERTO: SPERANZA
(Copio il whatsapp che Roberto ha inviato alla chat della famiglia, con qualche necessaria spiegazione)
“ Stamane ho pagato un caffè a Carmelo, il piccolino, del distributore Agip della tangenziale. (è il nostro bravissimo benzinaio, 12 ore al giorno di instancabile lavoro per uno stipendio davvero basso). Nel salutarlo, lui non aveva ancora preso il caffè perché era impegnato, mi si avvicina e mi dice “sto seguendo il caso Regeni, speriamo che li prendano”. Probabilmente si ricordava della scritta che leggeva tutte le volte che faceva il pieno “verità per Regeni”. (Sia io che Roberto abbiamo avuto per lungo tempo attaccata sul lunotto posteriore della macchia la scritta di Amnesty “Verità per Giulio Regeni”). “
Roberto conclude “Forse qualcosa sta cambiando...”
PS: attenzione! Per Roberto sono quasi tutti piccoli e soprattutto il suo ottimismo non è di ferro, ma direttamente di diamante.....
“ Stamane ho pagato un caffè a Carmelo, il piccolino, del distributore Agip della tangenziale. (è il nostro bravissimo benzinaio, 12 ore al giorno di instancabile lavoro per uno stipendio davvero basso). Nel salutarlo, lui non aveva ancora preso il caffè perché era impegnato, mi si avvicina e mi dice “sto seguendo il caso Regeni, speriamo che li prendano”. Probabilmente si ricordava della scritta che leggeva tutte le volte che faceva il pieno “verità per Regeni”. (Sia io che Roberto abbiamo avuto per lungo tempo attaccata sul lunotto posteriore della macchia la scritta di Amnesty “Verità per Giulio Regeni”). “
Roberto conclude “Forse qualcosa sta cambiando...”
PS: attenzione! Per Roberto sono quasi tutti piccoli e soprattutto il suo ottimismo non è di ferro, ma direttamente di diamante.....
FAMIGLIA
Famiglia è dove stai bene e ti scaldi il cuore. Famiglia è condividere e fare cose, condividere ricordi e costruirne di nuovi.
Famiglia è un posto variabile, si aggiungono legami là dove li troviamo e si discute e si è d’accordo e in disaccordo e niente è perfetto, si va in mezzo alle luci di Natale, ma anche nella pioggia e nel vento. Là dove siamo. Zurigo, 7,8, 9 dicembre 2018
Famiglia è un posto variabile, si aggiungono legami là dove li troviamo e si discute e si è d’accordo e in disaccordo e niente è perfetto, si va in mezzo alle luci di Natale, ma anche nella pioggia e nel vento. Là dove siamo. Zurigo, 7,8, 9 dicembre 2018
martedì 4 dicembre 2018
domenica 2 dicembre 2018
mercoledì 28 novembre 2018
MOMENTI DI INTIMITÀ
La gran parte delle mattine feriali, tra le 6:30 e le 7, si incontrano in bagno una me stessa rincoglionita e buttata giù dal letto da una implacabile sveglia verso una giornata pesante di impegni e fatica emotiva ed un coniuge in genere desto da ore che pimpante si alliffa per affrontare la sua intensa, produttiva, creativa giornata. Entrambi siamo scarruffati, in pigiama, in mutande, seminudi, in quella quieta intimità da coniugi che solo gli accoppiati (e da molto tempo) conoscono. Gli argomenti di conversazione non sono in genere esaltanti, soprattutto da parte mia la lucidità é molto appannata: c’è da esporre il contenitore della carta, oggi? Compri tu Repubblica? Torni tardi? cosa fai/cosa faccio oggi? Ti fermi dalla nonna?
Uno degli argomenti più frequenti è la cronaca di come il marito ha passato la notte, dei vari inquieti risvegli fino al risveglio finale in misura variabile in media intorno alle 5.
Stamattina il suo commento conclusivo è stato “insomma anche stanotte è passata”. Poi ha guardato i miei occhi pesti ed appannati e la mia espressione conosciuta come “sono-ancora-addormentata-anche-se-apparentemente-ho-gli-occhi-aperti” e ha commentato un po’ acido “Due vite assolutamente opposte, io cerco di sopravvivere alla notte e tu alla giornata”. Ci siamo messi a ridere entrambi e abbiamo immediatamente concordato “Devi scriverlo sul blog”.
Uno degli argomenti più frequenti è la cronaca di come il marito ha passato la notte, dei vari inquieti risvegli fino al risveglio finale in misura variabile in media intorno alle 5.
Stamattina il suo commento conclusivo è stato “insomma anche stanotte è passata”. Poi ha guardato i miei occhi pesti ed appannati e la mia espressione conosciuta come “sono-ancora-addormentata-anche-se-apparentemente-ho-gli-occhi-aperti” e ha commentato un po’ acido “Due vite assolutamente opposte, io cerco di sopravvivere alla notte e tu alla giornata”. Ci siamo messi a ridere entrambi e abbiamo immediatamente concordato “Devi scriverlo sul blog”.
lunedì 26 novembre 2018
LUIGI E LA SUA AMATA PROF
Il giorno ven 16 nov 2018 alle ore 10:08 Ranieri, Luigi <l.ranieri1998@liceoattiliobertolucci.it> ha scritto:On Sat, 10 Nov 2018 at 13:13, c.r<r.c@liceoattiliobertolucci.gov.it> wrote:Carissime/i,come state? Mi auguro che la vostra vita universitaria proceda bene e non abbiate dimenticato il Bertolucci...Avrete l'occasione di riviverlo per una serata dedicata a celebrare il Decennale del liceo e a salutare i diplomati degli anni scorsi, riuniti, se lo vorrete, nell'Associazione Diplomati ALUMNILAB, che si costituirà in quell'occasione.Gli alunni di 4 E, nelle ore di Alternanza scuola lavoro, si sono occupati di rintracciare indirizzi, inviare un questionario e, in questi giorni, di organizzare l'evento previsto venerdì 30 novembre p.v. ( ovviamente io sono il docente tutor dell'ASL). Non tutti sono stati raggiunti, per motivi diversi, pertanto vi sto contattando per invitarvi ; troverete i dettagli nella lettera e nella locandina allegata.Per poter organizzare tutto al meglio ( speriamo!), vi raccomando la conferma via mail entro venerdì 16.11.18 al seguente indirizzo :Mi auguro di potervi incontrare per trascorrere qualche momento insieme.Un caro salutoR.C.
Salve prof!!Si figuri, il Bertolucci mi ha dato tantissimo e non potrei mai permettermi di dimenticarlo. Mi ha reso lo studente e la persona che sono adesso.Purtroppo, il 30 di questo mese sarò in uno dei tanti viaggi in cui cerco me stesso senza, fortunatamente, mai trovarmi. Sono fatto così.Mi piacerebbe tantissimo esserci davvero! Mi auguro che diventi una tradizione annuale in modo tale da potermi organizzare per esserci sempre.Buon proseguimento!
From: c., r.<r.c.@liceoattiliobertolucci.gov.it>
Date: Sat, 17 Nov 2018 at 11:35
Subject: Re: 30.11.18 evento Decennale Bertolucci- Costituzione Associazione Diplomati ALUMNILAB
To: Luigi Ranieri <l.ranieri1998@liceoattiliobertolucci.it>
Subject: Re: 30.11.18 evento Decennale Bertolucci- Costituzione Associazione Diplomati ALUMNILAB
To: Luigi Ranieri <l.ranieri1998@liceoattiliobertolucci.it>
Carissimo Luigi,
come stai? sempre in giro per il mondo! Mi fa tanto piacere avere tue notizie, immagino tu sia realizzato nel tuo percorso, ma ovviamente, non ti accontenti, com'è giusto che sia. Ti accompagni questa citazione dal Principe di Machiavelli cap.VI:
Il saggio,dunque,agirà come i più accorti arcieri,i quali dopo aver giudicato il proprio bersaglio troppo lontano e conoscendo i limiti del proprio arco,mirano molto più in alto di esso,ma non per raggiungere con la loro freccia tanta altezza ,ma affinché quest'ultima gli permetta di colpire il suo bersaglio.
In attesa di incontrarti spero presto, un carissimo saluto
R.C.
docente Liceo Scientifico - Musicale - Sportivo Attilio Bertolucci Via Toscana 10/A
43122 - Parma
domenica 25 novembre 2018
NON È MAI AMORE
Non è mai amore, mai, nemmeno per un momento, nemmeno il primo schiaffo, la prima umiliazione. Non è mai amore, ma una malattia. Andate via, chiedete aiuto senza rassegnazione, andate via, impedite a lui, che dite di amare, di diventare un uomo maltrattante, di diventare un padre che picchia o peggio. Impedite a voi stesse di diventare vittime, gridate a gran voce il vostro dolore e la vostra forza. Andate via, è l’unico modo. Chiedete aiuto, lo troverete, avete intorno madri, padri, fratelli, sorelle, amici, altre donne, persone delle istituzioni - non tutti capiranno, ma voi avete voi stesse e sicuramente troverete qualcuno che vi aiuterà - non smettete di cercarlo. Andate via. Non è mai amore.
SCENETTA:SPERANZA
Ieri sera, pre-cinema, siamo al Barilla Center all’Hamburgheria di Eataly per un rapido pasto (ottima focaccia integrale con bresaola, rucola e crema di carciofi). Mentre ci stiamo alzando, infilandoci i vari strati di lana e tessuti tecnici indispensabili ad affrontare l’umidità del novembre padano, ascoltiamo lo scampolo di una conversazione tra due giovani uomini in un gruppo con due giovani donne ed un bambino quieto tra i cinque e i sei anni che stavano aspettando il proprio turno per sedersi.
GIOVANE (evidentemente il papà): “.... era il suo compleanno e allora gli abbiamo chiesto cosa voleva fare: se andare al cinema o dai gonfiabili e lui invece ha detto che voleva andare al bosco di Sesta [una bellissima e piuttosto fuori mano località del nostro Appennino] e abbiamo passato la giornata tra foglie e castagne....”.
Allacciandomi la sciarpa e allontanandomi ho sorriso tra me e me, pensando “Allora c’è ancora speranza...”
GIOVANE (evidentemente il papà): “.... era il suo compleanno e allora gli abbiamo chiesto cosa voleva fare: se andare al cinema o dai gonfiabili e lui invece ha detto che voleva andare al bosco di Sesta [una bellissima e piuttosto fuori mano località del nostro Appennino] e abbiamo passato la giornata tra foglie e castagne....”.
Allacciandomi la sciarpa e allontanandomi ho sorriso tra me e me, pensando “Allora c’è ancora speranza...”
venerdì 23 novembre 2018
È MORTO IL GATTO DI ELISA ISOARDI
“È morto il gatto di Elisa Isoardi.
È la seconda volta in pochi giorni che si separa da un essere peloso, accentratore, egoista e refrattario alla presenza di specie diverse dalla sua”
(Enrico Gastaldelli sul gruppo Facebook Lateral)
Mi dispiace molto per il gatto.
È la seconda volta in pochi giorni che si separa da un essere peloso, accentratore, egoista e refrattario alla presenza di specie diverse dalla sua”
(Enrico Gastaldelli sul gruppo Facebook Lateral)
Mi dispiace molto per il gatto.
SCENETTA FAMILIARE: SUL FUTURO(UN PO’ PUZZOLENTE)
C’è un antefatto: Roberto ed io diligentemente partecipiamo agli screening che organizza la Regione Emilia-Romagna, come è logico ed opportuno (lo sottolineo perchè in questo periodo non è scontato che il logico ed opportuno venga fatto). Quest’anno ci è arrivata la convocazione per lo screening di prevenzione del tumore del colon/retto mentre eravamo in vacanza felicemente in America e quindi siamo andati a ritirare in estremo ritardo il piccolo contenitore per le feci che serve per lo screening. Noi siamo sempre al lavoro e il termine ultimo per la consegna era oggi entro le 11, cosí ci siamo messi d’accordo con il figlio studente universitario, che per inciso il venerdí non ha lezione, che andasse stamattina a consegnare i contenitori.
Ieri sera, io: “Ti ricordi vero Gigi che domattina devi andare a consegnare i contenitori all’Avoprorit a Colorno? Sono in figorifero in un sacchettino.”
Luigi: “Bleah, che schifo, la merda in frigo!” e, ovviamente scherzando: “cos’è, avete fatto i figli per fargli gestire la vostra merda?”
Io, continuando sul filo dello scherzo, “Sí, abbiamo appena finito di gestire la tua, di merda, e adesso tocca a te gestire la nostra”.
Ci siamo messi tutti a ridere e la scenetta è finita lî.
Poi, nel corso della serata, ci ho ripensato, e su questa battuta e su questa prospettiva di futuro forse c’è meno da ridere di quello che pensavo....
Ieri sera, io: “Ti ricordi vero Gigi che domattina devi andare a consegnare i contenitori all’Avoprorit a Colorno? Sono in figorifero in un sacchettino.”
Luigi: “Bleah, che schifo, la merda in frigo!” e, ovviamente scherzando: “cos’è, avete fatto i figli per fargli gestire la vostra merda?”
Io, continuando sul filo dello scherzo, “Sí, abbiamo appena finito di gestire la tua, di merda, e adesso tocca a te gestire la nostra”.
Ci siamo messi tutti a ridere e la scenetta è finita lî.
Poi, nel corso della serata, ci ho ripensato, e su questa battuta e su questa prospettiva di futuro forse c’è meno da ridere di quello che pensavo....
lunedì 12 novembre 2018
VIAGGIARE È VIVERE
Quale mondo giaccia al di là di questo mare non so, ma ogni mare ha un’altra riva, e arriverò.
(Cesare Pavese)
SULLE ORME DI TEX WILLER - Salt Lake city, Utah, 26-31 ottobre 2018
E poi NEW YORK CITY 31 ottobre- 5 novembre 2018
(Cesare Pavese)
SULLE ORME DI TEX WILLER - Salt Lake city, Utah, 26-31 ottobre 2018
E poi NEW YORK CITY 31 ottobre- 5 novembre 2018
E soprattutto in buona compagnia (cinque compagni di classe, Liceo Marconi, classe 1977)
martedì 23 ottobre 2018
E IL CUORE MI VA IN PEZZI
E il cuore mi va in pezzi, certo, in ogni momento di ogni giorno, in più pezzi di quanti compongano il mio cuore, non mi ero mai considerato di poche parole, tanto meno taciturno, anzi non avevo proprio mai pensato a tante cose, ed è cambiato tutto, la distanza che si è incuneata fra me e la mia felicità non era il mondo, non erano le bombe e le case in fiamme, ero io, il mio pensiero, il cancro di non lasciare mai la presa, l'ignoranza è forse una benedizione, non lo so, ma a pensare si soffre tanto, e ditemi, a cosa mi è servito pensare, in che grandioso luogo mi ha condotto il pensiero? Io penso, penso, penso, pensando sono uscito dalla felicità un milione di volte, e mai una volta che vi sia entrato.
Jonathan Safran Foer,
Molto forte, incredibilmente vicino
Jonathan Safran Foer,
Molto forte, incredibilmente vicino
lunedì 22 ottobre 2018
IL DEF E LA MANOVRA ECONOMICA
Hanno già detto in tanti, troppi forse, non è che serva anche il mio pensiero (debole, peraltro). Ma ce l’ho e il mio blog è il mio regno.
Parto dal folkloristico slogan “abbiamo abbattuto la povertà” - coniato da chi non sa proprio di cosa sta parlando, con una visione della povertà che vede solo l’equazione povertà= mancanza di lavoro. I poveri che noi vediamo a Reggio Emilia (dove disoccupazione quasi non c’è) sono per la stragrandissima maggioranza non privi di lavoro, ma che si arrabattano tra espedienti, lavoretti in nero e sussidi pubblici e soprattutto lontanissimi dal lavoro come competenze (per fare la donna delle pulizie oggi occorre almeno la patente, un operaio deve sapere leggere e scrivere e comunque parlare un po’ di italiano), come concezione del lavoro (il lavoro intensivo dei paesi occidentali è sconosciuto nella maggior parte del mondo, l’essere senza lavoro da molto tempo ti scollega dalle modalità di cercare lavoro in modo efficace), come possibilità effettiva di tenere un lavoro (aspettative irrealistiche, incapacità relazionali, tenuta - es alzarsi ogni mattina e arrivare in orario - molto fragile, carichi familiari impossibili) ecc. Tutto ciò, tra l’altro, nel paese con la maggior percentuale di lavoro nero in Europa.
Ma a parte lo slogan coniato per i polli, è evidente che questa manovra attua una consistente operazione di trasferimento di ricchezza a danno del ceto medio e dei lavoratori dipendenti che non possono evadere le tasse a favore dei disoccupati e degli evasori (che stanno in “pace fiscale”). Inoltre regala con un gigantesco pacco regalo agli ultra sessantaduenni, pagato dalle giovani generazioni che dovranno impegnarsi a pagare la loro pensione anticipata. Tutto ciò, tra l’altro, nel secondo paese più longevo del mondo.
C’è inoltre, e forse mi ripeto, un deficit più importante di quello programmato dal DEF, uno spread di inciviltà da cui sembra non ci potremo salvare: c’è un continuo imbarbarimento del confronto politico e del vivere sociale, si disattendono patti già scritti, si rimettono continuamente in discussione opere infrastrutturali strategiche già finanziate, si giudica ogni diverso come nemico, si usano espressioni preoccupanti (“non faremo prigionieri”) tipiche della legge del taglione, si mente (“i soldi ci sono”, ve lo ricordate?) e si delinque (i famosi, quanti erano? Quaranta? milioni rubati allo stato) bellamente senza nessuna conseguenza sul consenso, si manipola e si illude chi non ha strumenti per smontare i giochini di chi vuole solo il voto, si negano e sbeffeggiano tutti gli strumenti democratici di verifica e contrappeso (dal capo dello Stato alla Banca d’Italia, l’INPS, l’ISTAT, per tacer dell’Europa) e, ancor di più, si svalorizza e beffeggia ogni competenza sull’oggetto (medici, professori di ogni tipo, economisti...).
Ho sempre sostenuto (e ancora ne sono convinta) che chi ci governa è lo specchio di quello che, come popolo e come collettività, siamo. Il mio dolore è che io non sono cosí.
Parto dal folkloristico slogan “abbiamo abbattuto la povertà” - coniato da chi non sa proprio di cosa sta parlando, con una visione della povertà che vede solo l’equazione povertà= mancanza di lavoro. I poveri che noi vediamo a Reggio Emilia (dove disoccupazione quasi non c’è) sono per la stragrandissima maggioranza non privi di lavoro, ma che si arrabattano tra espedienti, lavoretti in nero e sussidi pubblici e soprattutto lontanissimi dal lavoro come competenze (per fare la donna delle pulizie oggi occorre almeno la patente, un operaio deve sapere leggere e scrivere e comunque parlare un po’ di italiano), come concezione del lavoro (il lavoro intensivo dei paesi occidentali è sconosciuto nella maggior parte del mondo, l’essere senza lavoro da molto tempo ti scollega dalle modalità di cercare lavoro in modo efficace), come possibilità effettiva di tenere un lavoro (aspettative irrealistiche, incapacità relazionali, tenuta - es alzarsi ogni mattina e arrivare in orario - molto fragile, carichi familiari impossibili) ecc. Tutto ciò, tra l’altro, nel paese con la maggior percentuale di lavoro nero in Europa.
Ma a parte lo slogan coniato per i polli, è evidente che questa manovra attua una consistente operazione di trasferimento di ricchezza a danno del ceto medio e dei lavoratori dipendenti che non possono evadere le tasse a favore dei disoccupati e degli evasori (che stanno in “pace fiscale”). Inoltre regala con un gigantesco pacco regalo agli ultra sessantaduenni, pagato dalle giovani generazioni che dovranno impegnarsi a pagare la loro pensione anticipata. Tutto ciò, tra l’altro, nel secondo paese più longevo del mondo.
C’è inoltre, e forse mi ripeto, un deficit più importante di quello programmato dal DEF, uno spread di inciviltà da cui sembra non ci potremo salvare: c’è un continuo imbarbarimento del confronto politico e del vivere sociale, si disattendono patti già scritti, si rimettono continuamente in discussione opere infrastrutturali strategiche già finanziate, si giudica ogni diverso come nemico, si usano espressioni preoccupanti (“non faremo prigionieri”) tipiche della legge del taglione, si mente (“i soldi ci sono”, ve lo ricordate?) e si delinque (i famosi, quanti erano? Quaranta? milioni rubati allo stato) bellamente senza nessuna conseguenza sul consenso, si manipola e si illude chi non ha strumenti per smontare i giochini di chi vuole solo il voto, si negano e sbeffeggiano tutti gli strumenti democratici di verifica e contrappeso (dal capo dello Stato alla Banca d’Italia, l’INPS, l’ISTAT, per tacer dell’Europa) e, ancor di più, si svalorizza e beffeggia ogni competenza sull’oggetto (medici, professori di ogni tipo, economisti...).
Ho sempre sostenuto (e ancora ne sono convinta) che chi ci governa è lo specchio di quello che, come popolo e come collettività, siamo. Il mio dolore è che io non sono cosí.
venerdì 19 ottobre 2018
UN ABBRACCIO AD ALBERTINA
Oggi avevo una riunione al San Lazzaro, l’ex zona del manicomio di Reggio dove adesso ci sono alcuni padiglioni dove c’è la sede dell’USL Provinciale e alcuni padiglioni che ospitano alcune facoltà dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Con due colleghe sono andata a pranzare nei tavolini fuori del bar paticceria proprio di fronte al San Lazzaro. C’era una bellissima e calda giornata di sole e la sensazione del fine settimana imminente e della benedizione di quei raggi che ci scaldano ancora. Ho chiacchiearato pranzando con le colleghe e dopo che loro sono andate via sono rimasta ancora un po’ a dare un’occhiata al giornale. Ho cominciato allora a percepire che nella panchina vicino a me c’erano due ragazze evidentemente universitarie che parlavano fitto. Ho capito che discutevano intensamente (e un po’ ingenuamente, forse) della differenza tra emergenza e urgenza. Le ho osservate ed ascoltate per qualche minuto. Indossavano la divisa d’ordinanza delle universitarie da quarant’anni a questa parte: jeans, maglioncino, giacchetta leggera, zaino con i libri, poco o niente trucco - discutevano con passione, sviscerando il problema, immagino posto in evidenza da una precedente ora di lezione.
Potevano essere me, quaranta anni fa, su una panchina di Bologna che parlavo e discutevo di tante cose con la Romilda, Fulvio, Michele, Vito, la Laura, la Mirtide, e tanti altri volti e nomi che si sono persi nella nebbia del tempo, ma soprattutto con l’Albertina, la mia vecchia amica. Tutto quel parlare, discutere, ridere, arrabbiare, odiare ed amare, lasciare spazio alle idee e alle esperienze ci ha fatto crescere e diventare adulte - e diventare quelle che siamo ora.
Guardando quelle due ragazze, oggi, ho provato una piccola ma intensa fitta di nostalgia per quelle ragazze che eravamo, per come eravamo belle, entusiaste, fiduciose, con quella strada nel bosco di cui non vedevamo le curve, le cesure e gli sbocchi. Quello che allora era il presente è diventato in un attimo il passato, un passato che abbiamo creato parola dopo parola, atto dopo atto, giorno di sole dopo giorno di sole.
Un abbraccio ad Albertina (e agli altri che c’erano e che poi sono venuti) - grazie di essere stati ed essere con me a parlare.
Potevano essere me, quaranta anni fa, su una panchina di Bologna che parlavo e discutevo di tante cose con la Romilda, Fulvio, Michele, Vito, la Laura, la Mirtide, e tanti altri volti e nomi che si sono persi nella nebbia del tempo, ma soprattutto con l’Albertina, la mia vecchia amica. Tutto quel parlare, discutere, ridere, arrabbiare, odiare ed amare, lasciare spazio alle idee e alle esperienze ci ha fatto crescere e diventare adulte - e diventare quelle che siamo ora.
Guardando quelle due ragazze, oggi, ho provato una piccola ma intensa fitta di nostalgia per quelle ragazze che eravamo, per come eravamo belle, entusiaste, fiduciose, con quella strada nel bosco di cui non vedevamo le curve, le cesure e gli sbocchi. Quello che allora era il presente è diventato in un attimo il passato, un passato che abbiamo creato parola dopo parola, atto dopo atto, giorno di sole dopo giorno di sole.
Un abbraccio ad Albertina (e agli altri che c’erano e che poi sono venuti) - grazie di essere stati ed essere con me a parlare.
martedì 16 ottobre 2018
STRANI ACCORDI
+++ VERTICE DI MAGGIORANZA, TROVATO L'ACCORDO: CHI PAGA LE TASSE È UN COGLIONE +++
(Spinosa, 16 ottobre 2018)
Se anche voi avete sempre pagato tasse e multe (magari maggiorate perché dimeticate o scadute); se rata dopo rata, rinunciando ad altro, siete riusciti a togliere le cartelle di Equitalia dai vostri incubi, venite qui e abbracciamoci forte: siamo scemi per legge. #condonofiscale
(Marianna Aprile, Facebook, 16 ottobre 2018)
(Spinosa, 16 ottobre 2018)
Se anche voi avete sempre pagato tasse e multe (magari maggiorate perché dimeticate o scadute); se rata dopo rata, rinunciando ad altro, siete riusciti a togliere le cartelle di Equitalia dai vostri incubi, venite qui e abbracciamoci forte: siamo scemi per legge. #condonofiscale
(Marianna Aprile, Facebook, 16 ottobre 2018)
martedì 9 ottobre 2018
FAMILY
L’antefatto è che Roberto ha compiuto sessanta anni - il 28 aprile scorso. Già da prima con i figli abbiamo cominciato a ragionare del regalo di compleanno. Abbiamo escluso regali, perchè quello che vogliamo ormai ce lo compriamo e allora abbiamo pensato ad un evento - quale evento poteva farlo felice ? Sicuramente ricostituire la nostra famiglia come eravamo abituati solo una decina di anni fa. Così abbiamo pensato che l’Anna da Zurigo a Milano poteva arrivare e tornare in giornata (circa tre ore di treno) e che Milano ha fantastici ristoranti e teatri e mostre e che potevamo organizzare. Ma il 28 aprile non era un buon momento, stava morendo Ermes, il papà di Roberto, che è poi morto il 6 maggio, poi c’è stata l’estate e noi in Scozia, l’Anna sempre in giro per montagne e il compleanno dell’Anna e Gigi in Giappone e tutti i week end impegnati in molte cose importanti..... ( meno).
Siamo arrivati a blindare per tutti il 6 di ottobre. La mattinata è stata semplice da organizzare: c’è questa bella mostra che ha ricostruito le macchine progettate da Leonardo ed eravamo sicuri che potesse piacere molto a Roberto. L’Anna poteva arrivare per le 11 alla mostra e saremmo stati lì anche noi tre per quell’ora. Poi la scelta del ristorante è stata molto discussa tra me e i figli - sono partita con Cracco ma ho trovato immorale spendere 350/400 euro a testa TROPPO anche per dei viziati come noi - ho proposto alcuni ristoranti vegetariani di buon livello, ma uno non era aperto a pranzo, l’altro era vegano e Anna ha giustamente obiettato sulla non sostenibilità del veganesimo (“utilizzano materie prime naturali, è vero, ma per poi unirle e creare un alimento devono aggiugere leganti ed emulsionanti, non provenienti da prodotti animali, ma dall’industria e quindi NI - Natural Identical”). Anna ha proposto Alice Ristorante su cui aveva visto un documentario con la storia e la filosofia delle proprietarie, molto interessante il tutto, una stella Michelin e mainly pesce (“questo ristorante è gestito da due donne, che mi sembrano grandi donne. Tante idee e riconoscimenti, un motivo in più per andare in questo mondo di chef maschi. Utilizzano materie prime di prima qualità, rielaborando piatti della tradizione in concezione moderna, quindi esattamente ciò a cui noi siamo interessati”). Ho riobiettato che era un po’caro, ma Anna mi ha mandato un vibrante whatsapp “penso che ce lo possiamo meritare, lavoriamo come schiavi, paghiamo le tasse. E in più è una delle poche occasioni in cui abbiamo la possibilità di fare, gustarci e festeggiare qualcosa insieme!”. Ha smesso di fare la rompi, mi sono taciuta e ho prenotato.
Ed è stato davvero tutto bello, Roberto, del tutto all’oscuro, ha vissuto con sorpresa emozionata l’incontro con l’Anna, la mostra è stata bella, il pranzo davvero sublime, una giornata di famiglia da ricordare. Qui siamo al termine del pranzo con i dolcetti di addio. Felici. Con tanto da festeggiare.
Siamo arrivati a blindare per tutti il 6 di ottobre. La mattinata è stata semplice da organizzare: c’è questa bella mostra che ha ricostruito le macchine progettate da Leonardo ed eravamo sicuri che potesse piacere molto a Roberto. L’Anna poteva arrivare per le 11 alla mostra e saremmo stati lì anche noi tre per quell’ora. Poi la scelta del ristorante è stata molto discussa tra me e i figli - sono partita con Cracco ma ho trovato immorale spendere 350/400 euro a testa TROPPO anche per dei viziati come noi - ho proposto alcuni ristoranti vegetariani di buon livello, ma uno non era aperto a pranzo, l’altro era vegano e Anna ha giustamente obiettato sulla non sostenibilità del veganesimo (“utilizzano materie prime naturali, è vero, ma per poi unirle e creare un alimento devono aggiugere leganti ed emulsionanti, non provenienti da prodotti animali, ma dall’industria e quindi NI - Natural Identical”). Anna ha proposto Alice Ristorante su cui aveva visto un documentario con la storia e la filosofia delle proprietarie, molto interessante il tutto, una stella Michelin e mainly pesce (“questo ristorante è gestito da due donne, che mi sembrano grandi donne. Tante idee e riconoscimenti, un motivo in più per andare in questo mondo di chef maschi. Utilizzano materie prime di prima qualità, rielaborando piatti della tradizione in concezione moderna, quindi esattamente ciò a cui noi siamo interessati”). Ho riobiettato che era un po’caro, ma Anna mi ha mandato un vibrante whatsapp “penso che ce lo possiamo meritare, lavoriamo come schiavi, paghiamo le tasse. E in più è una delle poche occasioni in cui abbiamo la possibilità di fare, gustarci e festeggiare qualcosa insieme!”. Ha smesso di fare la rompi, mi sono taciuta e ho prenotato.
Ed è stato davvero tutto bello, Roberto, del tutto all’oscuro, ha vissuto con sorpresa emozionata l’incontro con l’Anna, la mostra è stata bella, il pranzo davvero sublime, una giornata di famiglia da ricordare. Qui siamo al termine del pranzo con i dolcetti di addio. Felici. Con tanto da festeggiare.
martedì 2 ottobre 2018
OOPS! CATTIVO PENSIERO
Domenica Roberto ed io siamo andati al solito, amato appuntamento annuale di “Piante e animali perduti” a Guastalla, la nostra fiera preferita di piante e anche cibo. Quest’anno non dovevamo comprare granchè (questo era il pensiero di partenza) però d’altra parte un ciclamino invernale bianco ci vuole per accompagnare i meravigliosi ciclamini invernali rosa e la oxalis dalle foglie rosso/marrone dell’anno scorso si è sviluppata benissimo e fa meravigliosi fiorellini bianchi e la sua compagna dalle foglie verde tenero sembrava lì a chiamarci e una bella rosa col fiore di un insolito rosso arancio scuro vuoi non prenderla e la nonna ha bisogno di quattro belle rose per il giardino del condominio e un po’ di bulbi, ammettiamolo, ci vogliono ogni anno (“solo tulipani, d’ora in poi”) e un bel ribes nero coltivato con una tecnica particolare sará una soddisfazione e proviamo, dai, quest’anno con qualche elleboro a terra che li abbiamo sempre avuti in vaso e il vitigno di uva fragola che è morto bisogna rimpiazzarlo, no? E poi il nostro fornitore di riso (Cornacchia) Carnaroli e Vialone nano e ci è proprio piaciuta questa pietra refrattaria su cui cuocere pane piadine e pizza in modo perfetto e poi il salame d’anatra con il suo pane particolare... insomma scatenare per le poche ore contate che avevamo due maniaci entusiasti come noi ha dei costi. In genere andiamo con amici, ma quest’anno per vari motivi di impegno ( una delle nostre vecchie è all’ospedale) ci siamo ritagliati qualche ora per fortuna e nemmeno le chiacchiere degli amici ci hanno distratto dalla nostra focalizzata attività. In una giornata limpida, soleggiata e rara.
Tutto molto piacevole, solo un pensiero ha prodotto la classica nuvoletta passeggera che copre il sole per un attimo: tutte queste piante le compriamo e curiamo per gli anni che verranno, per vederle crescere, fiorire e anche morire - molti degli acquisti di oggi, però, probabilmente ci sopravviveranno perchè il nostro futuro sta accorciando i suoi orizzonti... cattivo pensiero.
Tutto molto piacevole, solo un pensiero ha prodotto la classica nuvoletta passeggera che copre il sole per un attimo: tutte queste piante le compriamo e curiamo per gli anni che verranno, per vederle crescere, fiorire e anche morire - molti degli acquisti di oggi, però, probabilmente ci sopravviveranno perchè il nostro futuro sta accorciando i suoi orizzonti... cattivo pensiero.
venerdì 28 settembre 2018
ABOLIRE LA POVERTÀ
Walter Rocchi, gruppo Facebook Lateral - pagina ufficialissima
Scusate, qualcuno sa a che ora aboliscono la povertà?
(PS Volevo fare un post su questa succulenta esca lanciata da Di Maio, ma quando ho visto questa bella battuta ho pensato che conteneva già sinteticamente tutto quello che volevo dire- e in modo più leggero)
Scusate, qualcuno sa a che ora aboliscono la povertà?
(PS Volevo fare un post su questa succulenta esca lanciata da Di Maio, ma quando ho visto questa bella battuta ho pensato che conteneva già sinteticamente tutto quello che volevo dire- e in modo più leggero)
mercoledì 26 settembre 2018
UNA NUOVA PAROLA:CRIMINOGENO
Ho imparato una nuova parola: criminogeno - l’ho sentita da Carofiglio alla radio che commentava il nuovo decreto sicurezza. Criminogeno significa generatore di crimine e ben si adatta ad una legge costruita per spingere verso la clandestinità, consegnando queste persone ai margini, alla malavita, all’alimentare un allarme sociale sui clandestini, la sicurezza e via via in un circolo vizioso che serve ai populismi, ma non certamente a quegli italiani che devono essere “prima”. I clandestini non spariscono certamente per (decreto) legge, occupano uno spazio, un corpo, una testa e dei sentimenti.
Una parola interessante CRIMINOGENO, avrei davvero voluto impararla in altre circostanze.
Una parola interessante CRIMINOGENO, avrei davvero voluto impararla in altre circostanze.
domenica 23 settembre 2018
ARRETRAMENTO DI CIVILTÀ
In questi giorni riflettevo sulla profonda inquietitudine che provo, più caratterizzata da rabbia che da depressione. Penso di avere una preoccupazione che prevale sulle altre. Intendiamoci, sono molto preoccupata da ciò che si profila, dalla cancellazione dei permessi umanitari (noi abbiamo però davanti a noi e ai nostri uffici queste persone: cosa ce ne facciamo, li mandiamo al forno inceneritore?) al reddito di cittadinanza “solo per gli italiani” (a Reggio il REI, l’attuale reddito di inclusione, va per il 75% a famiglie extracomunitarie e nel 25% rimanente c’é una bella fetta di nomadi che sono ovviamente cittadini italiani, anche se nessuno lo dice mai) fino allo sforamento del debito e allo sfascio dei conti pubblici.
Ma quello che mi preoccupa sopra ogni cosa è l’arretramento di civiltà. Ogni processo di civiltà è faticosissimo e lentissimo: per fidarci più della scienza e della competenza che del pensiero magico abbiamo messo secoli; ogni briciola di tolleranza per i “diversi”, dalle donne ai disabili agli omosessuali alla gente con accenti e colori di pelle ha richiesto enormi sforzi culturali e di civiltà ... e posso continuare (vogliamo parlare di un’Europa che per la prima volta nella sua storia ha assicurato settanta anni di pace?).
E sopra ogni cosa, l’accettazione e l’interiorizzazione, la costruzione del concetto di democrazia è stata costellata di resistenze e sangue.
Oggi sembra ci sia un generale arretramento sulle conquiste di civiltà, dal congiuntivo ai vaccini, alla sgangherata caccia alle streghe e ai “colpevoli”, agli episodi di razzismo, all’elogio dell’incompetenza, a valori morali calpestati (mento consapevolmente, penso che chi mente è furbo o che sia tutto il resto del mondo a mentire senza curarmi dell’evidenza, arraffo per me e la mia famiglia e non mi basta mai, imbroglio e non ci penso nemmeno a costruire, ma solo ad usufruire). Soprattutto, la democrazia è decisamente in crisi, sia tra chi cerca l’”uomo forte”, disposto a cedere pezzi di democrazia, sia tra chi ritorna a Ortega y Gasset, a Toqueville, addirittura a Platone, per sottolineare che individui manipolabili e manipolati portano a voti devastanti per i paesi democratici e per la democrazia stessa.
Rapido arretramento di civiltà, evidentemente debole e poco radicata e secoli di sforzi che sembrano buttati via - davvero sconfortante.
Ma quello che mi preoccupa sopra ogni cosa è l’arretramento di civiltà. Ogni processo di civiltà è faticosissimo e lentissimo: per fidarci più della scienza e della competenza che del pensiero magico abbiamo messo secoli; ogni briciola di tolleranza per i “diversi”, dalle donne ai disabili agli omosessuali alla gente con accenti e colori di pelle ha richiesto enormi sforzi culturali e di civiltà ... e posso continuare (vogliamo parlare di un’Europa che per la prima volta nella sua storia ha assicurato settanta anni di pace?).
E sopra ogni cosa, l’accettazione e l’interiorizzazione, la costruzione del concetto di democrazia è stata costellata di resistenze e sangue.
Oggi sembra ci sia un generale arretramento sulle conquiste di civiltà, dal congiuntivo ai vaccini, alla sgangherata caccia alle streghe e ai “colpevoli”, agli episodi di razzismo, all’elogio dell’incompetenza, a valori morali calpestati (mento consapevolmente, penso che chi mente è furbo o che sia tutto il resto del mondo a mentire senza curarmi dell’evidenza, arraffo per me e la mia famiglia e non mi basta mai, imbroglio e non ci penso nemmeno a costruire, ma solo ad usufruire). Soprattutto, la democrazia è decisamente in crisi, sia tra chi cerca l’”uomo forte”, disposto a cedere pezzi di democrazia, sia tra chi ritorna a Ortega y Gasset, a Toqueville, addirittura a Platone, per sottolineare che individui manipolabili e manipolati portano a voti devastanti per i paesi democratici e per la democrazia stessa.
Rapido arretramento di civiltà, evidentemente debole e poco radicata e secoli di sforzi che sembrano buttati via - davvero sconfortante.
CONSIGLIO DI LETTURA
If most voters are uninformed, who should make decisions about the public’s welfare? https://www.newyorker.com/magazine/2016/11/07/the-case-against-democracy
sabato 22 settembre 2018
martedì 18 settembre 2018
QUEL FIGLIO SENZA RETE
Massimo Recalcati
Quel figlio senza rete
La Repubblica, 17 settembre 2018
In questo caso, nel caso del quindicenne precipitato dal tetto di un centro commerciale, non sembra esserci alcun determinismo evidente, né psichico, né sociale: no droga, no indigenza economica, no cattiva educazione, no genitori irresponsabili, no traumi, no isolamento, no disturbi psichiatrici. Tutto nella norma. Un gruppo di giovani amici dalle vite regolari sfida la morte. Potrebbe essere nostro figlio. È un nostro figlio. Non conviene scandalizzarsi, non conviene pensare che non toccherà mai a noi il dolore sordo che sta dilaniando i suoi familiari. Certo, i suoi post che lo ritraggono sui tetti di condomini, a penzoloni nel vuoto, sono inquietanti, ma radicalizzano, in realtà, una inquietudine che si può facilmente provare di fronte al disagio di ogni adolescente. Perché sfidare la morte, sfidare il pericolo, cercare il brivido dell’impresa impossibile, immortalarsi eroe di fronte allo sguardo dei social? Voler apparire senza paura di fronte alla morte non è una semplice deviazione psicopatologica della burrascosa transizione adolescenziale, ma un’ombra che accompagna questo difficile passaggio della vita. La spavalderia dell’adolescente, come recitava un bel libro di Charmet, non è mai separabile dalla sua fragilità, anzi, spesso il loro rapporto è inversamente proporzionale: più è avvertita una fragilità di fondo più si incentivano comportamenti spavaldi. L’impresa che attende ogni adolescente è difficile: abitare un nuovo corpo, trovare una nuova lingua, inventarsi un nuovo stile. Il sesso e la morte, dormienti nell’età dell’infanzia, irrompono nell’adolescenza sulla scena.
Come abitare un corpo animato dalla pulsione sessuale?
Come sopportare l’angoscia dell’incontro con la nostra finitezza, con la vulnerabilità della vita? Questioni decisive per ogni adolescente che impongono innanzitutto il lutto dell’infanzia, la rinuncia alla sua condizione narcisistica e l’esposizione all’avventura del mondo.
Ogni adolescente, come ricordava Rimbaud, si trova gettato in un esilio: deve abbandonare i territori conosciuti e familiari dell’infanzia per incamminarsi verso una terra straniera, verso lo splendore e l’orrore del mondo. Abbiamo durante l’infanzia equipaggiato bene i nostri figli per questo difficile ma necessario viaggio? L’esigenza di libertà che essi devono avere il diritto di manifestare cozza contro la preoccupazione per un mondo che sembra essere divenuto tanto ricco di opportunità quanto insidioso. È stato notato da tempo e da molti autori che la carenza di riti di passaggio collettivi, in un Occidente che sponsorizza ciecamente il mito del successo e dell’affermazione individuale, lascia i nostri figli a sé stessi. Devono inventarsi allora queste ritualizzazioni simboliche assenti in prove di coraggio, in prestazioni "mitiche", in esibizioni private che i social rendono pubbliche. La cultura speculare del selfie, dell’immagine di sé, sostenuta da una tecnologia che favorisce l’espandersi di un sentimento artefatto di onnipotenza, insieme al declino generale del valore della parola e della sua Legge, amplificano questa condizione di solitudine. Se i dispositivi simbolici che accompagnavano l’adolescente al passaggio verso la vita adulta si sono dissolti, resta l’atomizzazione individualista dei legami. Ne sono un esempio limite i cosiddetti Neet o gli ipponici Hikikomori, dove la sconnessione da ogni legame collettivo assume la forma grave di una vera e propria regressione autistica. La verità è che non possiamo evitare né le turbolenze dell’adolescenza, né i suoi rischi, né, tanto meno, i suoi dolori. La verità è che non possiamo garantire la felicità dei nostri figli. Possiamo solo vegliare affinché esistano attorno a loro degli adulti che sappiano offrirsi come destinatari della parola. È il ruolo cruciale giocato innanzitutto dalla Scuola che quando è davvero buona favorisce la possibilità di tradurre in parole la sofferenza e il disagio. Si dovrebbe sempre ricordare l’importanza che nei momenti di maggior caos, di caduta, di fallimento, di delusione vissuti dai nostri figli esistano adulti capaci di dare e di ascoltare la loro parola. Non si tratta di sponsorizzare la retorica del dialogo e dell’empatia, ma di insistere sull’importanza di non lasciare cadere nel nulla i nostri figli. Di testimoniare che non sono soli. Anche la spavalderia provocatoria può essere una forma di invocazione.
Quel figlio senza rete
La Repubblica, 17 settembre 2018
In questo caso, nel caso del quindicenne precipitato dal tetto di un centro commerciale, non sembra esserci alcun determinismo evidente, né psichico, né sociale: no droga, no indigenza economica, no cattiva educazione, no genitori irresponsabili, no traumi, no isolamento, no disturbi psichiatrici. Tutto nella norma. Un gruppo di giovani amici dalle vite regolari sfida la morte. Potrebbe essere nostro figlio. È un nostro figlio. Non conviene scandalizzarsi, non conviene pensare che non toccherà mai a noi il dolore sordo che sta dilaniando i suoi familiari. Certo, i suoi post che lo ritraggono sui tetti di condomini, a penzoloni nel vuoto, sono inquietanti, ma radicalizzano, in realtà, una inquietudine che si può facilmente provare di fronte al disagio di ogni adolescente. Perché sfidare la morte, sfidare il pericolo, cercare il brivido dell’impresa impossibile, immortalarsi eroe di fronte allo sguardo dei social? Voler apparire senza paura di fronte alla morte non è una semplice deviazione psicopatologica della burrascosa transizione adolescenziale, ma un’ombra che accompagna questo difficile passaggio della vita. La spavalderia dell’adolescente, come recitava un bel libro di Charmet, non è mai separabile dalla sua fragilità, anzi, spesso il loro rapporto è inversamente proporzionale: più è avvertita una fragilità di fondo più si incentivano comportamenti spavaldi. L’impresa che attende ogni adolescente è difficile: abitare un nuovo corpo, trovare una nuova lingua, inventarsi un nuovo stile. Il sesso e la morte, dormienti nell’età dell’infanzia, irrompono nell’adolescenza sulla scena.
Come abitare un corpo animato dalla pulsione sessuale?
Come sopportare l’angoscia dell’incontro con la nostra finitezza, con la vulnerabilità della vita? Questioni decisive per ogni adolescente che impongono innanzitutto il lutto dell’infanzia, la rinuncia alla sua condizione narcisistica e l’esposizione all’avventura del mondo.
Ogni adolescente, come ricordava Rimbaud, si trova gettato in un esilio: deve abbandonare i territori conosciuti e familiari dell’infanzia per incamminarsi verso una terra straniera, verso lo splendore e l’orrore del mondo. Abbiamo durante l’infanzia equipaggiato bene i nostri figli per questo difficile ma necessario viaggio? L’esigenza di libertà che essi devono avere il diritto di manifestare cozza contro la preoccupazione per un mondo che sembra essere divenuto tanto ricco di opportunità quanto insidioso. È stato notato da tempo e da molti autori che la carenza di riti di passaggio collettivi, in un Occidente che sponsorizza ciecamente il mito del successo e dell’affermazione individuale, lascia i nostri figli a sé stessi. Devono inventarsi allora queste ritualizzazioni simboliche assenti in prove di coraggio, in prestazioni "mitiche", in esibizioni private che i social rendono pubbliche. La cultura speculare del selfie, dell’immagine di sé, sostenuta da una tecnologia che favorisce l’espandersi di un sentimento artefatto di onnipotenza, insieme al declino generale del valore della parola e della sua Legge, amplificano questa condizione di solitudine. Se i dispositivi simbolici che accompagnavano l’adolescente al passaggio verso la vita adulta si sono dissolti, resta l’atomizzazione individualista dei legami. Ne sono un esempio limite i cosiddetti Neet o gli ipponici Hikikomori, dove la sconnessione da ogni legame collettivo assume la forma grave di una vera e propria regressione autistica. La verità è che non possiamo evitare né le turbolenze dell’adolescenza, né i suoi rischi, né, tanto meno, i suoi dolori. La verità è che non possiamo garantire la felicità dei nostri figli. Possiamo solo vegliare affinché esistano attorno a loro degli adulti che sappiano offrirsi come destinatari della parola. È il ruolo cruciale giocato innanzitutto dalla Scuola che quando è davvero buona favorisce la possibilità di tradurre in parole la sofferenza e il disagio. Si dovrebbe sempre ricordare l’importanza che nei momenti di maggior caos, di caduta, di fallimento, di delusione vissuti dai nostri figli esistano adulti capaci di dare e di ascoltare la loro parola. Non si tratta di sponsorizzare la retorica del dialogo e dell’empatia, ma di insistere sull’importanza di non lasciare cadere nel nulla i nostri figli. Di testimoniare che non sono soli. Anche la spavalderia provocatoria può essere una forma di invocazione.
lunedì 17 settembre 2018
VITA IN CORSO
Zurigo, sabato 15 settembre 2018
A Zurigo in visita ad Anna l’estate ci ha regalato una delle sue meravigliose giornate, ancora più preziose perchè sappiamo benissimo che sono le ultime. Roberto, Anna e Andrè (il compagno svizzero di Anna) hanno fatto il bagno nell’acqua trasparente del lago di Zurigo.
Poi sono usciti, felici e sorridenti.
Io osservavo il sole, il lago scintillante davanti a me, i loro sorrisi, tutta la gente contenta e in pace, di ogni età, che ci circondava. E, con una punta di commozione, ho pensato a quanto siamo fortunati ad esserci, a essere presenti in questa vita in corso, con tutte le giornate meravigliose che ci aspettano ancora.
A Zurigo in visita ad Anna l’estate ci ha regalato una delle sue meravigliose giornate, ancora più preziose perchè sappiamo benissimo che sono le ultime. Roberto, Anna e Andrè (il compagno svizzero di Anna) hanno fatto il bagno nell’acqua trasparente del lago di Zurigo.
Poi sono usciti, felici e sorridenti.
Io osservavo il sole, il lago scintillante davanti a me, i loro sorrisi, tutta la gente contenta e in pace, di ogni età, che ci circondava. E, con una punta di commozione, ho pensato a quanto siamo fortunati ad esserci, a essere presenti in questa vita in corso, con tutte le giornate meravigliose che ci aspettano ancora.
lunedì 10 settembre 2018
STAGGERING! 2
DI MAIO IERI:
"Sicuramente entro l'anno approveremo la legge che impone uno stop nei weekend e nei festivi a centri commerciali ed esercizi commerciali, con delle turnazioni ma l'orario degli esercizi commerciali non può più essere liberalizzato come fatto dal governo Monti perché sta distruggendo le famiglie italiane con genitori che non riescono a stare neanche più un giorno a casa con i figli perché dal lunedì alla domenica stanno nei negozi come tanti giovani che dal lunedì alla domenica stanno a lavorare nei centri commerciali".
Stupefacente come si candidamente certifichi che medici e infermieri ospedalieri, OSS, forze dell’ordine, ristoratori ecc. sono cattuvi genitori - dovrebbero riflettere, vero?
"Sicuramente entro l'anno approveremo la legge che impone uno stop nei weekend e nei festivi a centri commerciali ed esercizi commerciali, con delle turnazioni ma l'orario degli esercizi commerciali non può più essere liberalizzato come fatto dal governo Monti perché sta distruggendo le famiglie italiane con genitori che non riescono a stare neanche più un giorno a casa con i figli perché dal lunedì alla domenica stanno nei negozi come tanti giovani che dal lunedì alla domenica stanno a lavorare nei centri commerciali".
Stupefacente come si candidamente certifichi che medici e infermieri ospedalieri, OSS, forze dell’ordine, ristoratori ecc. sono cattuvi genitori - dovrebbero riflettere, vero?
STAGGERING!
Il premier Conte a Cernobbio 2018: All’interno del governo «non abbiamo mai parlato dell’uscita dall’euro o di una prospettiva di distacco dall'Europa»
Il governo - ha sottolineato - ha chiaro che i risparmiatori guardano alla nostra capacità di ripagare debito e interessi». E che «più alto è il debito, maggiori sono le risorse pubbliche che vanno sottratte alla spesa sociale e alle infrastrutture».
Ho avviato la procedura per la caducazione della concessione (ad Autostrade per l’Italia, ndr), mi hanno dato dell'irresponsabile, uno che fa scappare gli investitori che non verranno più in Italia, ma ci saranno tutte le garanzie di legge, state tranquilli, non siamo fuori dallo stato di diritto. E discuteremo poi alla fine se decideremo di arrivare alla cadutazione, se ci sono gli estremi, decideremo serenamente cosa fare dopo». (Fonte Sole 24 ore)
Il ministro dell’Economia Tria a Cernobbio 2018 Non solo riforme "nei limiti delle coperture che saremo in grado di trovare e dei limiti consentiti dalle regole europee" ma anche con un occhio ai mercati finanziari perché, sottolinea il ministro, "è inutile trovare due o tre miliardi se poi ne perdiano tre o quattro nei tassi di interesse". Come dire: con lo spread non intendiamo scherzare. (fonte Repubblica).
Stupefacente come i principali esponenti del governo certifichino candidamente e apertamente che le quotidiane sparate del duo Salvini -Di Maio (senza dimenticare Tony Nelly), ministri dello stesso governo e suoi principali azionisti, non abbiano niente a che fare con la realtà, ma solo con una campagna elettorale permanente e cialtrona che nutre un popolo che vuole farsi ingannare. A dir poco stupefacente....
Il governo - ha sottolineato - ha chiaro che i risparmiatori guardano alla nostra capacità di ripagare debito e interessi». E che «più alto è il debito, maggiori sono le risorse pubbliche che vanno sottratte alla spesa sociale e alle infrastrutture».
Ho avviato la procedura per la caducazione della concessione (ad Autostrade per l’Italia, ndr), mi hanno dato dell'irresponsabile, uno che fa scappare gli investitori che non verranno più in Italia, ma ci saranno tutte le garanzie di legge, state tranquilli, non siamo fuori dallo stato di diritto. E discuteremo poi alla fine se decideremo di arrivare alla cadutazione, se ci sono gli estremi, decideremo serenamente cosa fare dopo». (Fonte Sole 24 ore)
Il ministro dell’Economia Tria a Cernobbio 2018 Non solo riforme "nei limiti delle coperture che saremo in grado di trovare e dei limiti consentiti dalle regole europee" ma anche con un occhio ai mercati finanziari perché, sottolinea il ministro, "è inutile trovare due o tre miliardi se poi ne perdiano tre o quattro nei tassi di interesse". Come dire: con lo spread non intendiamo scherzare. (fonte Repubblica).
Stupefacente come i principali esponenti del governo certifichino candidamente e apertamente che le quotidiane sparate del duo Salvini -Di Maio (senza dimenticare Tony Nelly), ministri dello stesso governo e suoi principali azionisti, non abbiano niente a che fare con la realtà, ma solo con una campagna elettorale permanente e cialtrona che nutre un popolo che vuole farsi ingannare. A dir poco stupefacente....
domenica 9 settembre 2018
domenica 2 settembre 2018
sabato 1 settembre 2018
NON SCIUPARLA LA VITA
Constantinos Kavafis
E se non puoi la vita che desideri
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Constantinos Kavafis
venerdì 31 agosto 2018
giovedì 30 agosto 2018
UNICA OPINIONE INTELLIGENTE CHE HO TROVATO SUL TEMA MIGRAZIONE
[Salvini e Orbán a Milano] – L’incontro non si può ignorare. Ho ascoltato la conferenza stampa integrale. Non è solo propaganda, come taluni sperano. Ha toccato alcune questioni importantissime che non riguardano solo l’Italia, ma l’intera Europa, inclusa la Svizzera, che, lo ricordo, fa parte dell’area Schengen. Mi concentro su una sola: il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea.
Una frontiera è un dato di diritto pubblico. Uno Stato esiste perché amministra una popolazione stanziale su un territorio definito. La frontiera segna tale territorio e differenzia la popolazione che sta dentro, sottoposta all’amministrazione di uno Stato, da quella che sta fuori, sottoposta a quella di un altro. Chi attraversa una frontiera si assoggetta all’amministrazione dello Stato a cui accede; lo Stato in questione, da parte sua, deve controllare le persone che entrano, poiché da quel momento dovrà amministrarle sul proprio territorio. Chi supera una frontiera senza avere i presupposti stabiliti o eludendo i controlli è in una condizione di clandestinità, poiché sfugge al controllo dello Stato in cui cammina. Questo è un dato giuridico, non cambia a seconda del partito politico o del Governo in carica. Non è nemmeno razzista, anticristiano o classista. Funziona così.
Quando Orbán afferma di aver tutelato la frontiera europea, costruendo le reti di delimitazione con la Serbia, ha ragione: la costruzione del «muro» tra Serbia e Ungheria ha fatto molto rumore, ma una rete molto simile, giusto un po’ più bassa e alquanto arrugginita, ma efficace, esiste anche fra Italia e Svizzera. Basta andare in auto, per esempio, da Como a Chiasso passando lungo il Breggia, ma la si vede anche dal treno. Nessuno fa scandalo ed è chiaro per tutti che di lì non si entra. A nessuno viene in mente di dire che la frontiera tra Italia e Svizzera è «chiusa» e che i due Paesi sono «razzisti» o oppressori: se vuoi passare dalla Svizzera all’Italia o viceversa ti presenti a un valico, se hai i documenti in regola passi, altrimenti no. Lo stesso avviene alla frontiera tra Ungheria e Serbia, tra Romania e Ucraina (ci sono passato da poco), alle altre frontiere esterne dell’Unione e a tutte le frontiere del mondo.
Chi ritiene di avere diritto all’asilo politico o a un’altra forma di protezione prevista dalla legge lo dichiara al valico di frontiera, non scavalca la rete. Se la domanda ha una ragionevole possibilità di essere fondata (lo si può verificare già in frontiera in base al Paese di provenienza e con un’audizione dell’interessato), il richiedente asilo entra in un percorso preciso di protezione e di verifica dettagliata dei suoi presupposti. All’Ungheria si contesta di rendere molto difficili le richieste di asilo ai valichi con la Serbia e di adottare sistemi sbrigativi di gestione dei richiedenti, non coerenti con i principi di umanità (non è vero, però, che da quella frontiera non entra nessun richiedente asilo, come talvolta si legge). Questi problemi vanno accertati e risolti, ma il principio di base, secondo cui non si entra sul territorio dello Stato illegalmente o fuori dai punti di valico in cui è consentito, è inattaccabile e non può essere tacciato sbrigativamente di disumanità.
Ciò a cui Orbán e Salvini congiuntamente aspirano è applicare questo principio anche alla frontiera di mare a sud dell’Italia. Controllare un confine di mare può essere più difficile, rispetto a una frontiera di terra, ma non è impossibile. A sud dell’Italia c’è la Libia e una serie di altri Paesi non sicuri: ciò accresce i problemi, poiché verso quei Paesi non è possibile respingere chi ne proviene. Gestire le richieste di asilo è più problematico. Tutto ciò, però, non lede il principio secondo cui l’attraversamento illegale della frontiera non può diventare la regola. Conciliare questo principio con i valori umanitari richiede un lavoro intelligente su vari fronti.
Uno di tali fronti sono le disposizioni in materia di asilo internazionale (Convenzione di Ginevra), di protezione sussidiaria (direttive europee) e di protezione umanitaria a livello dei singoli Stati. Queste norme non sono state pensate per un’immigrazione di massa come quella che stiamo vivendo. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati, in particolare, risale al 1951. Norme pensate per situazioni individuali e sporadiche vengono utilizzate ora per gestire un fenomeno di massa. Oltre che di un’applicazione non più coerente con la loro ratio originaria, cioè con le motivazioni che le avevano viste nascere, le norme sull’asilo soffrono oggi di un enorme tasso di abuso. Tra tutti coloro che pongono domanda d’asilo, solo una minoranza esigua ne ha effettivamente diritto, soprattutto se si guarda ai parametri della Convenzione di Ginevra. Tutti gli altri sono migranti economici che si mascherano consapevolmente da richiedenti protezione, abusando della normativa. Quale norma può resistere a un tale tasso di elusione, senza perdere credibilità?
Si aggiunge il problema dei falsi ingressi turistici: se ne parla meno, ma, soprattutto in Italia, una quantità incalcolabile di stranieri è entrata regolarmente per turismo. Poi non è più tornata nei Paesi d’origine e permane sul territorio in clandestinità. E’ possibile che anche queste disposizioni, in un’epoca in cui, grazie ai bassi costi dei voli aerei, grandi masse di persone possono mettersi in viaggio, abbia bisogno di essere rivista.
Qualcuno dovrebbe chiedersi seriamente se, rebus sic stantibus, dicono i giuristi, cioè nella situazione attuale, profondamente diversa da quella in cui furono promulgate tutte queste norme, non si debba avviare una revisione rapida e profonda delle convenzioni internazionali sull’asilo e sulle protezioni sussidiarie: non per negarne il principio, ma proprio per tutelarlo. Un esempio tristemente efficace è il caso della nave Diciotti, di cui ho scritto ieri: 190 persone che hanno altissima probabilità di avere diritto d’asilo sono state assimilate per giorni a clandestini, nella confusione di governi per i quali la questione migratoria è ormai questione di propaganda. Ciò minaccia i principi umanitari molto più di una saggia revisione delle norme sulla protezione internazionale, causando esasperazione e insicurezza nella cittadinanza.
Il problema del controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea, su cui insistono Orbán, Salvini e i loro simili, è reale. Le sfide che si porta appresso, a partire dalla necessità di rivedere le norme internazionali sugli stranieri e sui rifugiati, sono epocali. Nessun altro, però, se non loro, con i loro modi da bulli di periferia, sembra voler affrontare il problema. Ancora una volta, i movimenti sociali e politici opposti si limitano a sterili dichiarazioni di principio, a organizzare cortei e a difendere uno status quo non più difendibile per ragioni oggettive, ben prima di ogni diatriba fra partiti e opinioni.
Il rischio che il sistema normativo attuale sull’asilo e sugli stranieri, anziché essere riformato intelligentemente per adeguarlo ai tempi, venga abbattuto a colpi di martello da insipienti e xenofobi, per essere sostituito da non si sa cosa, è reale, soprattutto guardando alle prossime elezioni europee. Seduto a fianco di Salvini, Orbán ha mostrato un formato di uomo di Stato decisamente superiore, mentre il suo amico italiano figurava a tratti un po’ come il suo scolaretto. Che di fronte a queste sfide ci si ritrovi segretamente a sperare che la maggiore assennatezza di Orbán riesca a contenere lo scapigliato Salvini, è un pessimo segno dei tempi. Ci sarebbero molte altre cose da dire, sul loro incontro, che sembra essere un sinistro pendant di quello che a marzo vide protagonisti lo stesso Salvini, l’istrione dell’estrema destra USA Steve Bannon e l’ineffabile Marcello Foa, tuttora bloccato nell’ascensore che lo avrebbe portato ai vertici della RAI.
(Pensieri di Luca Lovisato, non a caso, svizzero).
Una frontiera è un dato di diritto pubblico. Uno Stato esiste perché amministra una popolazione stanziale su un territorio definito. La frontiera segna tale territorio e differenzia la popolazione che sta dentro, sottoposta all’amministrazione di uno Stato, da quella che sta fuori, sottoposta a quella di un altro. Chi attraversa una frontiera si assoggetta all’amministrazione dello Stato a cui accede; lo Stato in questione, da parte sua, deve controllare le persone che entrano, poiché da quel momento dovrà amministrarle sul proprio territorio. Chi supera una frontiera senza avere i presupposti stabiliti o eludendo i controlli è in una condizione di clandestinità, poiché sfugge al controllo dello Stato in cui cammina. Questo è un dato giuridico, non cambia a seconda del partito politico o del Governo in carica. Non è nemmeno razzista, anticristiano o classista. Funziona così.
Quando Orbán afferma di aver tutelato la frontiera europea, costruendo le reti di delimitazione con la Serbia, ha ragione: la costruzione del «muro» tra Serbia e Ungheria ha fatto molto rumore, ma una rete molto simile, giusto un po’ più bassa e alquanto arrugginita, ma efficace, esiste anche fra Italia e Svizzera. Basta andare in auto, per esempio, da Como a Chiasso passando lungo il Breggia, ma la si vede anche dal treno. Nessuno fa scandalo ed è chiaro per tutti che di lì non si entra. A nessuno viene in mente di dire che la frontiera tra Italia e Svizzera è «chiusa» e che i due Paesi sono «razzisti» o oppressori: se vuoi passare dalla Svizzera all’Italia o viceversa ti presenti a un valico, se hai i documenti in regola passi, altrimenti no. Lo stesso avviene alla frontiera tra Ungheria e Serbia, tra Romania e Ucraina (ci sono passato da poco), alle altre frontiere esterne dell’Unione e a tutte le frontiere del mondo.
Chi ritiene di avere diritto all’asilo politico o a un’altra forma di protezione prevista dalla legge lo dichiara al valico di frontiera, non scavalca la rete. Se la domanda ha una ragionevole possibilità di essere fondata (lo si può verificare già in frontiera in base al Paese di provenienza e con un’audizione dell’interessato), il richiedente asilo entra in un percorso preciso di protezione e di verifica dettagliata dei suoi presupposti. All’Ungheria si contesta di rendere molto difficili le richieste di asilo ai valichi con la Serbia e di adottare sistemi sbrigativi di gestione dei richiedenti, non coerenti con i principi di umanità (non è vero, però, che da quella frontiera non entra nessun richiedente asilo, come talvolta si legge). Questi problemi vanno accertati e risolti, ma il principio di base, secondo cui non si entra sul territorio dello Stato illegalmente o fuori dai punti di valico in cui è consentito, è inattaccabile e non può essere tacciato sbrigativamente di disumanità.
Ciò a cui Orbán e Salvini congiuntamente aspirano è applicare questo principio anche alla frontiera di mare a sud dell’Italia. Controllare un confine di mare può essere più difficile, rispetto a una frontiera di terra, ma non è impossibile. A sud dell’Italia c’è la Libia e una serie di altri Paesi non sicuri: ciò accresce i problemi, poiché verso quei Paesi non è possibile respingere chi ne proviene. Gestire le richieste di asilo è più problematico. Tutto ciò, però, non lede il principio secondo cui l’attraversamento illegale della frontiera non può diventare la regola. Conciliare questo principio con i valori umanitari richiede un lavoro intelligente su vari fronti.
Uno di tali fronti sono le disposizioni in materia di asilo internazionale (Convenzione di Ginevra), di protezione sussidiaria (direttive europee) e di protezione umanitaria a livello dei singoli Stati. Queste norme non sono state pensate per un’immigrazione di massa come quella che stiamo vivendo. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati, in particolare, risale al 1951. Norme pensate per situazioni individuali e sporadiche vengono utilizzate ora per gestire un fenomeno di massa. Oltre che di un’applicazione non più coerente con la loro ratio originaria, cioè con le motivazioni che le avevano viste nascere, le norme sull’asilo soffrono oggi di un enorme tasso di abuso. Tra tutti coloro che pongono domanda d’asilo, solo una minoranza esigua ne ha effettivamente diritto, soprattutto se si guarda ai parametri della Convenzione di Ginevra. Tutti gli altri sono migranti economici che si mascherano consapevolmente da richiedenti protezione, abusando della normativa. Quale norma può resistere a un tale tasso di elusione, senza perdere credibilità?
Si aggiunge il problema dei falsi ingressi turistici: se ne parla meno, ma, soprattutto in Italia, una quantità incalcolabile di stranieri è entrata regolarmente per turismo. Poi non è più tornata nei Paesi d’origine e permane sul territorio in clandestinità. E’ possibile che anche queste disposizioni, in un’epoca in cui, grazie ai bassi costi dei voli aerei, grandi masse di persone possono mettersi in viaggio, abbia bisogno di essere rivista.
Qualcuno dovrebbe chiedersi seriamente se, rebus sic stantibus, dicono i giuristi, cioè nella situazione attuale, profondamente diversa da quella in cui furono promulgate tutte queste norme, non si debba avviare una revisione rapida e profonda delle convenzioni internazionali sull’asilo e sulle protezioni sussidiarie: non per negarne il principio, ma proprio per tutelarlo. Un esempio tristemente efficace è il caso della nave Diciotti, di cui ho scritto ieri: 190 persone che hanno altissima probabilità di avere diritto d’asilo sono state assimilate per giorni a clandestini, nella confusione di governi per i quali la questione migratoria è ormai questione di propaganda. Ciò minaccia i principi umanitari molto più di una saggia revisione delle norme sulla protezione internazionale, causando esasperazione e insicurezza nella cittadinanza.
Il problema del controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea, su cui insistono Orbán, Salvini e i loro simili, è reale. Le sfide che si porta appresso, a partire dalla necessità di rivedere le norme internazionali sugli stranieri e sui rifugiati, sono epocali. Nessun altro, però, se non loro, con i loro modi da bulli di periferia, sembra voler affrontare il problema. Ancora una volta, i movimenti sociali e politici opposti si limitano a sterili dichiarazioni di principio, a organizzare cortei e a difendere uno status quo non più difendibile per ragioni oggettive, ben prima di ogni diatriba fra partiti e opinioni.
Il rischio che il sistema normativo attuale sull’asilo e sugli stranieri, anziché essere riformato intelligentemente per adeguarlo ai tempi, venga abbattuto a colpi di martello da insipienti e xenofobi, per essere sostituito da non si sa cosa, è reale, soprattutto guardando alle prossime elezioni europee. Seduto a fianco di Salvini, Orbán ha mostrato un formato di uomo di Stato decisamente superiore, mentre il suo amico italiano figurava a tratti un po’ come il suo scolaretto. Che di fronte a queste sfide ci si ritrovi segretamente a sperare che la maggiore assennatezza di Orbán riesca a contenere lo scapigliato Salvini, è un pessimo segno dei tempi. Ci sarebbero molte altre cose da dire, sul loro incontro, che sembra essere un sinistro pendant di quello che a marzo vide protagonisti lo stesso Salvini, l’istrione dell’estrema destra USA Steve Bannon e l’ineffabile Marcello Foa, tuttora bloccato nell’ascensore che lo avrebbe portato ai vertici della RAI.
(Pensieri di Luca Lovisato, non a caso, svizzero).
mercoledì 29 agosto 2018
CHIAMIAMOLI COL LORO NOME
Walter Veltroni, Repubblica, oggi
Non chiamiamoli populisti: contro questa destra estrema è l'ora di una nuova sinistra
Luciano Gallino, intellettuale di sinistra - definizioni che sembrano diventate brutte parole - scrisse più di venti anni fa l'introduzione a un libro nella quale diceva "la distruzione di una comunità politica, la fine della democrazia, è sempre possibile... Oggi come allora gli avversari della democrazia circolano numerosi tra noi, ma stanno anche dentro di noi, nel perenne conflitto, che è a un tempo sociale e psichico, tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà". Il volume era Come si diventa nazisti di William Allen, uno storico che si incaricò di raccontare come una piccola comunità dell'Hannover si trasformò da città storicamente di sinistra a feudo del nazismo, in cinque anni passato dal 5 per cento al 62,3. Allen scrive che "il problema del nazismo fu prima di tutto un problema di percezione". Non esiste evidentemente in Italia e altrove un pericolo nazista, anche perché la storia non si ripete mai nello stesso modo. Ma la mia angoscia, l'angoscia di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a ideali di democrazia e progresso, è che non si abbia la "percezione" di quello che sta accadendo. Che non ci si accorga che parole un tempo impronunciabili stanno diventando normali.
Non mi interessa qui la miseria della polemica politica quotidiana che ha perso la dignità minima. Sembrano tutti il Malvolio di La dodicesima notte di Shakespeare che dice, tronfio, "Su tutti voialtri prenderò la mia vendetta". Credo si debba uscire dal presentismo che domina il nostro tempo, che toglie respiro, serietà, credibilità alle parole e ai gesti. Guardare il mondo e interpretare i segni che ci pervengono.
Fu quello che nell'estate del 1939 non si fu capaci di fare, mentre l'umanità precipitava in una guerra terribile. Guerra come quella che solo vent'anni prima aveva fatto diciassette milioni di vittime. Mentre sulle spiagge si prendeva ignari il sole e nei cuori si inneggiava al duce e al fuhrer, si stava preparando un conflitto che avrebbe prodotto 68 milioni di morti e la tragedia della Shoah.
Papa Francesco ha parlato più volte, inascoltato, di una terza guerra mondiale. Per molti nostri coevi la guerra non è un deposito della storia o un monumento alla memoria. È la vita quotidiana, il dolore quotidiano in un mondo sordo e cieco. È lo stupore del bambino di Aleppo che seduto in un'ambulanza si tocca il viso scoprendolo pieno di sangue, è il corpo di Alan con la sua maglietta rossa sulla spiaggia turca e quello di suo fratello Galip, cinque anni, inghiottito dal mare. Ma noi, l'Occidente che ha attraversato la seconda guerra mondiale e l'orrore dei regimi autoritari, dell'hitlerismo e dello stalinismo, noi dove stiamo andando?
Intervenendo al Festival delle idee di Repubblica, mesi fa, sono tornato sul paragone con Weimar. Non sono pessimista, non lo sono per carattere. Ma non voglio assuefarmi alla legge del "politicamente corretto" per cui si finisce con l'omettere o l'umettare la sostanza delle proprie ragioni. Guardiamoci intorno. Cito due macrofenomeni: i dazi e la messa in discussione dell'Europa. Nella storia l'apposizione dei dazi è sempre stata la premessa per conflitti sanguinosi. Nel tempo della globalizzazione, fenomeno oggettivo, è impensabile agire lo strumento del protezionismo esasperato. Il conflitto tra Usa e Cina e tra Usa ed Europa, segnato dalle politiche di Trump, potrà avere effetti rilevanti sulla distensione internazionale. Ma il secondo dato è il più grave. Quando Spinelli pensò l'Europa unita, il nostro continente era in fiamme. È stata la più grande conquista di pace della storia umana, in questa parte del mondo. Ma ora tutto sta crollando. Logorato prima dalle timidezze dei governi democratici e ora dalla esplicita volontà antieuropea di un numero crescente di Stati. La Gran Bretagna è uscita, con il voto degli inglesi, e il gruppo di Visegrad si propone un'Europa minima, senza principi, valori, strategie comuni.
Il nostro Paese, fondatore dell'unità europea, improvvisamente ha come riferimento Orban e la sua "democrazia autoritaria". Un modello che tende ad affermarsi, dalla Russia alla Turchia. Si fanno strada regimi che tendono a concentrare nelle mani di pochi il potere, che limitano la libertà di stampa e di pensiero, che incarcerano gli oppositori. Qui, in Europa. La "fine della democrazia è sempre possibile", anche in forme storicamente inedite. Come ai tempi di Weimar, quando la crisi delle istituzioni e dei partiti, spesso divorati dalla corruzione, si intreccia con la recessione economica, si genera un bisogno di sicurezza che può essere più forte del bisogno di libertà.
Il populismo, espressione comoda per indicare una politica che a questo disagio si rivolge, è, per tutto questo, una definizione sbagliata. È destra, la peggiore destra. Quella contro la quale un galantuomo come John McCain ha combattuto fino all'ultimo. Definirla populista è farle un favore. Chiamiamo le cose con il loro nome. Chi sostiene il sovranismo in una società globale, chi postula una società chiusa, chi si fa beffe del pensiero degli altri e lo demonizza, chi anima spiriti guerrieri contro ogni minoranza, chi mette in discussione il valore della democrazia rappresentativa, altro non fa che dare voce alle ragioni storiche della destra più estrema.
Altro che populismo. Qualcosa di molto più pericoloso.
Ma ciò che la sinistra, impegnata a dividersi e rimirarsi allo specchio, non ha capito è che in questi anni è andata avanti una gigantesca riorganizzazione della intera struttura sociale. Qualcosa di paragonabile agli effetti della rivoluzione industriale. Il lavoro ha cambiato natura, facendosi aleatorio e precario. E se la macchina a vapore ha creato l'industria moderna e con essa le classi sociali e le città, così la nuova rivoluzione tecnologica, ancora agli inizi, finisce con il sostituire tendenzialmente l'uomo con la macchina e con il mutare tutti i codici cognitivi e comunicativi. La società è segnata da una sensazione di precarietà che la domina, che ne mina la fiducia sociale nel futuro. Non si può pensare che un tempo in cui le famiglie italiane hanno perso undici punti di reddito rispetto alla fase precrisi, in cui la differenza tra ricchi e poveri è aumentata, non sia carico di un drammatico disagio.
Un disagio che fa sì che prevalga la paura sulla speranza. La società, come un corpo contratto, si ritrae in una posizione orizzontale. Rifiuta ogni delega, anima della vera democrazia. Non vuole sapere la verità dai giornali, non accetta il parere degli scienziati, contesta persino fisicamente professori e medici, nega il valore della competenza politica fino a mettere in discussione il parlamento, per il quale si ipotizza una estrazione a sorte dei suoi membri.
Ma la società orizzontale finisce col postulare un potere verticale. La sinistra non ha capito che quando si è posto, da Calamandrei in poi, il problema della trasparenza e della velocità della democrazia si cercava esattamente di rispondere a questo bisogno. In una società veloce una democrazia lenta e debole finisce con l'essere travolta. Più la democrazia decide, più resterà la democrazia. Meno decide e più sarà esposta alla pantomima di questa estate allucinante, con un governo che le spara grosse su tutto. Che arriva a sequestrare una nave militare italiana in un porto italiano, a giocare spregiudicatamente la vita di esseri umani per qualche voto esacerbato. Che minaccia l'Europa con un misto di arroganza e incompetenza. Che annuncia cose che non può fare, non sa fare, non farà.
Ma nel presentismo assoluto resta nell'aria solo il grido acuto dell'intemerata. Trump in campagna elettorale disse che, se anche avesse preso un fucile e fosse andato sulla Quinta strada a sparare, non avrebbe perso un voto. Temo fosse vero. E così un ministro dell'Interno indagato per abuso d'ufficio si deve dimettere se è di centrosinistra e uno di destra, indagato per sequestro di persona, deve restare al suo posto. Non discuto il merito, noto la differenza. E se un deputato della maggioranza dice, come un vero fascista, che "se i magistrati attaccano il capo, li andiamo a prendere casa per casa" nessuno nella stessa maggioranza dice nemmeno poffarbacco.
Ma nei confronti dei cinquestelle la sinistra ha compiuto gravi errori. Ha cambiato mille volte atteggiamento, ha demonizzato e cercato alleanze organiche o viceversa, senza capire che molti di quei voti sono di elettori di sinistra. Che molti dei sei milioni di cittadini che avevano votato per il Pd nel 2008 hanno finito con lo scegliere i pentastellati o sono restati a casa. Un dolore profondo, un malessere che meritava molto di più delle piccole risse quotidiane o dei corteggiamenti subalterni. Molti di quegli elettori oggi sono certamente in sofferenza per il dominio della Lega sul governo e ad essi, e a chi non ha votato, senza spocchia da maestrino, la sinistra deve rivolgersi.
Come? Sia chiaro: la crisi della sinistra non è un fenomeno esclusivamente italiano, è mondiale. Solo Obama, come immaginammo nel 2008, è restato vivido nella memoria come esempio universale di coerenza programmatica e valoriale. Ma poi ha vinto Trump. Perché la sinistra o accende un sogno o non è. Perché la sinistra o è popolo o non è. Ma io non condivido i discorsi che sento fare sulla fine della sinistra o delle idee dei democratici.
È la sinistra, nella storia, che ha cambiato il mondo. Sono state le lotte contro lo schiavismo, per la liberazione delle donne, contro l'alienazione e lo sfruttamento, per i diritti civili e umani, contro le discriminazioni. È questo sistema di valori che ha reso la vita di ognuno sulla terra più libera e migliore. La sinistra lo ha saputo fare quando ha parlato al cuore delle persone, quando ha interpretato i bisogni di giustizia sociale, quando ha scelto la libertà. Cosa che non ha sempre fatto. Cinquant'anni fa la sinistra, per come la intendo, era nel sacrificio di Ian Palach e non nei carri armati con la falce e il martello.
Sogno e popolo, ciò che è stato perduto.
Due cose semplici e difficili insieme. Sono più chiaro ancora: o la sinistra definirà una proposta in grado di assicurare sicurezza sociale nel tempo della precarietà degli umani o sparirà. O la sinistra la smetterà di rimpiangere un passato che non tornerà e si preoccuperà di portare in questo tempo i suoi valori o sparirà. O la sinistra immaginerà nuove forme di partecipazione popolare alla decisione pubblica, una nuova stagione della diffusione della democrazia, o prevarranno i modelli autoritari. Nelle future esperienze di governo della sinistra ci dovrà essere una più marcata radicalità di innovazione. Allo stesso tempo, la sinistra non deve dimenticare chi è, ne deve anzi avere orgoglio. Non sarà inseguendo la destra o, in questo caso, il populismo che si eviterà il peggio. La sinistra non può avere paura di dire che è per una società dell'accoglienza, dire che è nella sua natura - oltre che in quella che dell'essere umano - la solidarietà, la condivisione del dolore, l'aiuto nel bisogno. La sinistra non deve aver paura di dire che non si deve mai deflettere dal rigoroso presidio della sicurezza dei cittadini imponendo a tutti il rispetto delle regole che ci siamo dati.
La sinistra non deve inseguire nessuno sul tema dell'Europa immaginandone una versione bonsai ma, al contrario, deve rilanciare con forza l'idea degli Stati Uniti d'Europa, meravigliosa utopia realizzabile. Deve riscoprire, dopo averlo dimenticato, il tema dello sviluppo compatibile, vera incognita sul futuro della specie umana. E non deve assuefarsi alla barbarie del linguaggio semplificato, della rissa permanente, dell'insulto all'avversario. Anche in questo deve essere se stessa, non fare come Zelig. Deve coltivare la scuola, la ricerca, la cultura, l'identità profonda di un Paese che è sempre stato aperto al mondo. Non deve aver paura di unire anche quando la diffusione dell'odio sembra prevalere. Deve innovare la sua identità e avere rispetto della sua storia. Si possono, ed è giusto, sostituire generazioni di dirigenti. Io mi sono presto fatto da parte per mia scelta e ho iniziato una nuova vita, come era corretto facessi.
Ma non è giusto cancellare la storia collettiva, le battaglie, i sacrifici, il senso di quella cosa enorme che nella storia italiana è stata la sinistra, è stato il pensiero democratico. Ha scritto, sul tema della memoria, il priore di Bose Enzo Bianchi: "Per ogni cultura, la memoria dei momenti e delle forze che l'hanno generata è essenziale; è proprio nella memoria degli eventi fondatori che la democrazia si afferma e si manifesta come valore".
Un esempio: la parola rottamazione fu usata, la prima volta, da Berlusconi in tv per attaccare Romano Prodi. Non è una nostra parola, figlia della nostra cultura. Neanche gli avversari si "rottamano", perché un essere umano e le sue idee non sono mai da cancellare, se espresse per e con la libertà.
Quando - è successo varie volte - in Italia si sono prese sbandate per il demagogo di turno, alla sinistra democratica è toccato poi salvare il Paese. Per essere all'altezza di questa responsabilità la sinistra e i democratici devono unirsi e smetterla con la prassi esasperante delle divisioni e delle scissioni testimoniali. Anche quella è un'abitudine spesso coincisa con tragiche sconfitte. Il Pd che io immaginavo è durato pochi mesi, raggiunse il 34 per cento in condizioni terribili e si trovò, orgoglioso e emozionato, in un Circo Massimo oggi inimmaginabile per chiunque. Era l'idea di un partito orizzontale, fatto di cittadini e movimenti, di associazioni e autonome organizzazioni. Un partito a vocazione maggioritaria perché aperto, che usava le primarie come cemento per unire questo arcobaleno. Il contrario di un "partito liquido", come poi si è purtroppo rivelato essere, per paradosso, quando ha prevalso il rimpianto per forme partito che non sono più date in questo tempo. Quel partito è stato in questi anni, per responsabilità di tutti, dominato dalle correnti e dai gruppi organizzati e il suo spazio vitale si è ristretto, come la stanza del funzionario Rai di La Terrazza di Ettore Scola. Quei muri vanno tirati giù e il Pd deve apparire un luogo aperto, plurale, fondato sui valori e non sul potere. Bisogna inventare una forma originale di movimento politico del nuovo millennio.
Forse quella idea era sbagliata, forse troppo avanti. Ne ho preso atto, credo con misura, senza cessare mai di dare una mano alle ragioni che hanno ispirato la mia vita.
Per questo ho scritto oggi. Perché non smetto di credere alla sinistra, perché temo per il futuro della vita democratica e dell'Europa, perché penso che l'idea di un soggetto politico aperto del campo democratico sia più che mai necessaria. Nessuno perda tempo a strologare sulla ragione di questo scritto. È solo amore per la propria comunità e per il proprio Paese. Tutto qui.
Non mi interessa qui la miseria della polemica politica quotidiana che ha perso la dignità minima. Sembrano tutti il Malvolio di La dodicesima notte di Shakespeare che dice, tronfio, "Su tutti voialtri prenderò la mia vendetta". Credo si debba uscire dal presentismo che domina il nostro tempo, che toglie respiro, serietà, credibilità alle parole e ai gesti. Guardare il mondo e interpretare i segni che ci pervengono.
Fu quello che nell'estate del 1939 non si fu capaci di fare, mentre l'umanità precipitava in una guerra terribile. Guerra come quella che solo vent'anni prima aveva fatto diciassette milioni di vittime. Mentre sulle spiagge si prendeva ignari il sole e nei cuori si inneggiava al duce e al fuhrer, si stava preparando un conflitto che avrebbe prodotto 68 milioni di morti e la tragedia della Shoah.
Papa Francesco ha parlato più volte, inascoltato, di una terza guerra mondiale. Per molti nostri coevi la guerra non è un deposito della storia o un monumento alla memoria. È la vita quotidiana, il dolore quotidiano in un mondo sordo e cieco. È lo stupore del bambino di Aleppo che seduto in un'ambulanza si tocca il viso scoprendolo pieno di sangue, è il corpo di Alan con la sua maglietta rossa sulla spiaggia turca e quello di suo fratello Galip, cinque anni, inghiottito dal mare. Ma noi, l'Occidente che ha attraversato la seconda guerra mondiale e l'orrore dei regimi autoritari, dell'hitlerismo e dello stalinismo, noi dove stiamo andando?
Intervenendo al Festival delle idee di Repubblica, mesi fa, sono tornato sul paragone con Weimar. Non sono pessimista, non lo sono per carattere. Ma non voglio assuefarmi alla legge del "politicamente corretto" per cui si finisce con l'omettere o l'umettare la sostanza delle proprie ragioni. Guardiamoci intorno. Cito due macrofenomeni: i dazi e la messa in discussione dell'Europa. Nella storia l'apposizione dei dazi è sempre stata la premessa per conflitti sanguinosi. Nel tempo della globalizzazione, fenomeno oggettivo, è impensabile agire lo strumento del protezionismo esasperato. Il conflitto tra Usa e Cina e tra Usa ed Europa, segnato dalle politiche di Trump, potrà avere effetti rilevanti sulla distensione internazionale. Ma il secondo dato è il più grave. Quando Spinelli pensò l'Europa unita, il nostro continente era in fiamme. È stata la più grande conquista di pace della storia umana, in questa parte del mondo. Ma ora tutto sta crollando. Logorato prima dalle timidezze dei governi democratici e ora dalla esplicita volontà antieuropea di un numero crescente di Stati. La Gran Bretagna è uscita, con il voto degli inglesi, e il gruppo di Visegrad si propone un'Europa minima, senza principi, valori, strategie comuni.
Il nostro Paese, fondatore dell'unità europea, improvvisamente ha come riferimento Orban e la sua "democrazia autoritaria". Un modello che tende ad affermarsi, dalla Russia alla Turchia. Si fanno strada regimi che tendono a concentrare nelle mani di pochi il potere, che limitano la libertà di stampa e di pensiero, che incarcerano gli oppositori. Qui, in Europa. La "fine della democrazia è sempre possibile", anche in forme storicamente inedite. Come ai tempi di Weimar, quando la crisi delle istituzioni e dei partiti, spesso divorati dalla corruzione, si intreccia con la recessione economica, si genera un bisogno di sicurezza che può essere più forte del bisogno di libertà.
Il populismo, espressione comoda per indicare una politica che a questo disagio si rivolge, è, per tutto questo, una definizione sbagliata. È destra, la peggiore destra. Quella contro la quale un galantuomo come John McCain ha combattuto fino all'ultimo. Definirla populista è farle un favore. Chiamiamo le cose con il loro nome. Chi sostiene il sovranismo in una società globale, chi postula una società chiusa, chi si fa beffe del pensiero degli altri e lo demonizza, chi anima spiriti guerrieri contro ogni minoranza, chi mette in discussione il valore della democrazia rappresentativa, altro non fa che dare voce alle ragioni storiche della destra più estrema.
Altro che populismo. Qualcosa di molto più pericoloso.
Ma ciò che la sinistra, impegnata a dividersi e rimirarsi allo specchio, non ha capito è che in questi anni è andata avanti una gigantesca riorganizzazione della intera struttura sociale. Qualcosa di paragonabile agli effetti della rivoluzione industriale. Il lavoro ha cambiato natura, facendosi aleatorio e precario. E se la macchina a vapore ha creato l'industria moderna e con essa le classi sociali e le città, così la nuova rivoluzione tecnologica, ancora agli inizi, finisce con il sostituire tendenzialmente l'uomo con la macchina e con il mutare tutti i codici cognitivi e comunicativi. La società è segnata da una sensazione di precarietà che la domina, che ne mina la fiducia sociale nel futuro. Non si può pensare che un tempo in cui le famiglie italiane hanno perso undici punti di reddito rispetto alla fase precrisi, in cui la differenza tra ricchi e poveri è aumentata, non sia carico di un drammatico disagio.
Un disagio che fa sì che prevalga la paura sulla speranza. La società, come un corpo contratto, si ritrae in una posizione orizzontale. Rifiuta ogni delega, anima della vera democrazia. Non vuole sapere la verità dai giornali, non accetta il parere degli scienziati, contesta persino fisicamente professori e medici, nega il valore della competenza politica fino a mettere in discussione il parlamento, per il quale si ipotizza una estrazione a sorte dei suoi membri.
Ma la società orizzontale finisce col postulare un potere verticale. La sinistra non ha capito che quando si è posto, da Calamandrei in poi, il problema della trasparenza e della velocità della democrazia si cercava esattamente di rispondere a questo bisogno. In una società veloce una democrazia lenta e debole finisce con l'essere travolta. Più la democrazia decide, più resterà la democrazia. Meno decide e più sarà esposta alla pantomima di questa estate allucinante, con un governo che le spara grosse su tutto. Che arriva a sequestrare una nave militare italiana in un porto italiano, a giocare spregiudicatamente la vita di esseri umani per qualche voto esacerbato. Che minaccia l'Europa con un misto di arroganza e incompetenza. Che annuncia cose che non può fare, non sa fare, non farà.
Ma nel presentismo assoluto resta nell'aria solo il grido acuto dell'intemerata. Trump in campagna elettorale disse che, se anche avesse preso un fucile e fosse andato sulla Quinta strada a sparare, non avrebbe perso un voto. Temo fosse vero. E così un ministro dell'Interno indagato per abuso d'ufficio si deve dimettere se è di centrosinistra e uno di destra, indagato per sequestro di persona, deve restare al suo posto. Non discuto il merito, noto la differenza. E se un deputato della maggioranza dice, come un vero fascista, che "se i magistrati attaccano il capo, li andiamo a prendere casa per casa" nessuno nella stessa maggioranza dice nemmeno poffarbacco.
Ma nei confronti dei cinquestelle la sinistra ha compiuto gravi errori. Ha cambiato mille volte atteggiamento, ha demonizzato e cercato alleanze organiche o viceversa, senza capire che molti di quei voti sono di elettori di sinistra. Che molti dei sei milioni di cittadini che avevano votato per il Pd nel 2008 hanno finito con lo scegliere i pentastellati o sono restati a casa. Un dolore profondo, un malessere che meritava molto di più delle piccole risse quotidiane o dei corteggiamenti subalterni. Molti di quegli elettori oggi sono certamente in sofferenza per il dominio della Lega sul governo e ad essi, e a chi non ha votato, senza spocchia da maestrino, la sinistra deve rivolgersi.
Come? Sia chiaro: la crisi della sinistra non è un fenomeno esclusivamente italiano, è mondiale. Solo Obama, come immaginammo nel 2008, è restato vivido nella memoria come esempio universale di coerenza programmatica e valoriale. Ma poi ha vinto Trump. Perché la sinistra o accende un sogno o non è. Perché la sinistra o è popolo o non è. Ma io non condivido i discorsi che sento fare sulla fine della sinistra o delle idee dei democratici.
È la sinistra, nella storia, che ha cambiato il mondo. Sono state le lotte contro lo schiavismo, per la liberazione delle donne, contro l'alienazione e lo sfruttamento, per i diritti civili e umani, contro le discriminazioni. È questo sistema di valori che ha reso la vita di ognuno sulla terra più libera e migliore. La sinistra lo ha saputo fare quando ha parlato al cuore delle persone, quando ha interpretato i bisogni di giustizia sociale, quando ha scelto la libertà. Cosa che non ha sempre fatto. Cinquant'anni fa la sinistra, per come la intendo, era nel sacrificio di Ian Palach e non nei carri armati con la falce e il martello.
Sogno e popolo, ciò che è stato perduto.
Due cose semplici e difficili insieme. Sono più chiaro ancora: o la sinistra definirà una proposta in grado di assicurare sicurezza sociale nel tempo della precarietà degli umani o sparirà. O la sinistra la smetterà di rimpiangere un passato che non tornerà e si preoccuperà di portare in questo tempo i suoi valori o sparirà. O la sinistra immaginerà nuove forme di partecipazione popolare alla decisione pubblica, una nuova stagione della diffusione della democrazia, o prevarranno i modelli autoritari. Nelle future esperienze di governo della sinistra ci dovrà essere una più marcata radicalità di innovazione. Allo stesso tempo, la sinistra non deve dimenticare chi è, ne deve anzi avere orgoglio. Non sarà inseguendo la destra o, in questo caso, il populismo che si eviterà il peggio. La sinistra non può avere paura di dire che è per una società dell'accoglienza, dire che è nella sua natura - oltre che in quella che dell'essere umano - la solidarietà, la condivisione del dolore, l'aiuto nel bisogno. La sinistra non deve aver paura di dire che non si deve mai deflettere dal rigoroso presidio della sicurezza dei cittadini imponendo a tutti il rispetto delle regole che ci siamo dati.
La sinistra non deve inseguire nessuno sul tema dell'Europa immaginandone una versione bonsai ma, al contrario, deve rilanciare con forza l'idea degli Stati Uniti d'Europa, meravigliosa utopia realizzabile. Deve riscoprire, dopo averlo dimenticato, il tema dello sviluppo compatibile, vera incognita sul futuro della specie umana. E non deve assuefarsi alla barbarie del linguaggio semplificato, della rissa permanente, dell'insulto all'avversario. Anche in questo deve essere se stessa, non fare come Zelig. Deve coltivare la scuola, la ricerca, la cultura, l'identità profonda di un Paese che è sempre stato aperto al mondo. Non deve aver paura di unire anche quando la diffusione dell'odio sembra prevalere. Deve innovare la sua identità e avere rispetto della sua storia. Si possono, ed è giusto, sostituire generazioni di dirigenti. Io mi sono presto fatto da parte per mia scelta e ho iniziato una nuova vita, come era corretto facessi.
Ma non è giusto cancellare la storia collettiva, le battaglie, i sacrifici, il senso di quella cosa enorme che nella storia italiana è stata la sinistra, è stato il pensiero democratico. Ha scritto, sul tema della memoria, il priore di Bose Enzo Bianchi: "Per ogni cultura, la memoria dei momenti e delle forze che l'hanno generata è essenziale; è proprio nella memoria degli eventi fondatori che la democrazia si afferma e si manifesta come valore".
Un esempio: la parola rottamazione fu usata, la prima volta, da Berlusconi in tv per attaccare Romano Prodi. Non è una nostra parola, figlia della nostra cultura. Neanche gli avversari si "rottamano", perché un essere umano e le sue idee non sono mai da cancellare, se espresse per e con la libertà.
Quando - è successo varie volte - in Italia si sono prese sbandate per il demagogo di turno, alla sinistra democratica è toccato poi salvare il Paese. Per essere all'altezza di questa responsabilità la sinistra e i democratici devono unirsi e smetterla con la prassi esasperante delle divisioni e delle scissioni testimoniali. Anche quella è un'abitudine spesso coincisa con tragiche sconfitte. Il Pd che io immaginavo è durato pochi mesi, raggiunse il 34 per cento in condizioni terribili e si trovò, orgoglioso e emozionato, in un Circo Massimo oggi inimmaginabile per chiunque. Era l'idea di un partito orizzontale, fatto di cittadini e movimenti, di associazioni e autonome organizzazioni. Un partito a vocazione maggioritaria perché aperto, che usava le primarie come cemento per unire questo arcobaleno. Il contrario di un "partito liquido", come poi si è purtroppo rivelato essere, per paradosso, quando ha prevalso il rimpianto per forme partito che non sono più date in questo tempo. Quel partito è stato in questi anni, per responsabilità di tutti, dominato dalle correnti e dai gruppi organizzati e il suo spazio vitale si è ristretto, come la stanza del funzionario Rai di La Terrazza di Ettore Scola. Quei muri vanno tirati giù e il Pd deve apparire un luogo aperto, plurale, fondato sui valori e non sul potere. Bisogna inventare una forma originale di movimento politico del nuovo millennio.
Forse quella idea era sbagliata, forse troppo avanti. Ne ho preso atto, credo con misura, senza cessare mai di dare una mano alle ragioni che hanno ispirato la mia vita.
Per questo ho scritto oggi. Perché non smetto di credere alla sinistra, perché temo per il futuro della vita democratica e dell'Europa, perché penso che l'idea di un soggetto politico aperto del campo democratico sia più che mai necessaria. Nessuno perda tempo a strologare sulla ragione di questo scritto. È solo amore per la propria comunità e per il proprio Paese. Tutto qui.
martedì 28 agosto 2018
E ANCORA UNA STORIELLA (UN NIENTE, IN VERITÀ)
Il podere Stuard è un posto alla periferia di Parma (periferia di campagna, lungo la via Emilia verso Piacenza) che si occupa di sperimentazione, di produzione e vendita di frutta e verdura biologica, organizza feste campagnole, degustazioni, corsi di cucina e cene (sabato prossimo saremo alla cena della festa della tomaca, tutta a base di pomodori) e ha un bell’emporio dove (a caro prezzo) si comprano, oltre a frutta e verdura biologiche, piante aromatiche, peperoncini, anche cereali biologici, farine di ogni tipo, salsine particolari anche a marchio Stuard, infusi, formaggi di capra, pasta biologica... insomma ci siamo capiti. Il posto è bello, con una rusticità non artefatta ma autentica (a volte perfino eccessivamente rustico... ), ci sono perfino in vendita le galline di un tipo particolare, locale e antico (noi le compriamo lí, grandi ovaiole) e i tacchini e gli agricoltori custodi, insomma cose interessanti.
Roberto è spesso lí in quanto non solo azienda cliente, ma anche componente del Consiglio di Amministrazione dello Stuard. Oggi era lí ed ha assistito ad una rapida scenetta: entra nel cortile dello Stuard un taxi e si ferma praticamente davanti alla porta dell’emporio, esce dal taxi di corsa una signora che si fionda dentro e rapidamente comincia fare spesa. Il taxi è fuori che l’aspetta con il motore acceso. Roberto, nel cortile con Marco, il competentissimo e giovane responsabile dell’emporio, che lo sta aiutando a caricare la macchina, rimarca la scenetta e Marco, con un piccolo sorriso, gli dice che non è la prima volta e non è l’unica signora che lo fa.
Il mondo è bello perchè è vario.....
Roberto è spesso lí in quanto non solo azienda cliente, ma anche componente del Consiglio di Amministrazione dello Stuard. Oggi era lí ed ha assistito ad una rapida scenetta: entra nel cortile dello Stuard un taxi e si ferma praticamente davanti alla porta dell’emporio, esce dal taxi di corsa una signora che si fionda dentro e rapidamente comincia fare spesa. Il taxi è fuori che l’aspetta con il motore acceso. Roberto, nel cortile con Marco, il competentissimo e giovane responsabile dell’emporio, che lo sta aiutando a caricare la macchina, rimarca la scenetta e Marco, con un piccolo sorriso, gli dice che non è la prima volta e non è l’unica signora che lo fa.
Il mondo è bello perchè è vario.....
lunedì 27 agosto 2018
PICCOLA SPIACEVOLE STORIA - DA ALBE
Sabato sera, festa del PD a Reggio Emilia, con una vecchia amica, non commentiamo gli ultimi eventi sull’immigrazione perchè non abbiamo, semplicemente, parole. Ma lei racconta un piccolo aneddoto - ha appena venduto casa sua perchè si trasferisce in un altro appartamento e ha fatto vedere la casa ad alcuni interessati mandati dall’agenzia. Arriva a visitare la casa questa coppia con un marcato accento meridionale e la prima cosa che chiede è “come sono i vicini?” L’Albe non capisce nemmeno a cosa si riferiscono, ma glielo spiegano bene: non vogliono extracomunitari, quei... e giù tutta la sequenza nota di ingiurie e razzismo.
L’Albe ha pensato a sua madre e suo padre, comunisti doc, che a suo tempo facevano di tutto per dare una mano agli immigrati dal sud, gente senza niente, senza risorse e punti di riferimento, quasi senza saper parlare italiano. E, a pochi decenni di distanza, questo. L’Albe si chiede dove quando e perchè abbiamo perso questa gente per strada, come li abbiamo consegnati ai populisti, ai demagoghi e ai razzisti.
La mia reazione e riflessione però è diversa, penso a chi ci governava allora, gli odiati democristiani con le loro politiche di centro destra e la loro corruzione e giochi di potere - nessuno di loro avrebbe cavalcato la pancia peggiore della gente, l’incompetenza, la paura. La classe dirigente era accomunata da alcune coordinate, da aver letto qualche libro, dal sentirsi guida del paese, di essere “i migliori”, questa è la differenza da allora. Questo refrain dell’aver “perso la gente” mi sembra davvero un po’ stucchevole - la gente è stata persa su premesse totalmente diverse del senso e significato della democrazia e dell’interesse generale, semplificato, individualista e manipolatorio. Storiella antipatica, pensieri spiacevoli, vero?
L’Albe ha pensato a sua madre e suo padre, comunisti doc, che a suo tempo facevano di tutto per dare una mano agli immigrati dal sud, gente senza niente, senza risorse e punti di riferimento, quasi senza saper parlare italiano. E, a pochi decenni di distanza, questo. L’Albe si chiede dove quando e perchè abbiamo perso questa gente per strada, come li abbiamo consegnati ai populisti, ai demagoghi e ai razzisti.
La mia reazione e riflessione però è diversa, penso a chi ci governava allora, gli odiati democristiani con le loro politiche di centro destra e la loro corruzione e giochi di potere - nessuno di loro avrebbe cavalcato la pancia peggiore della gente, l’incompetenza, la paura. La classe dirigente era accomunata da alcune coordinate, da aver letto qualche libro, dal sentirsi guida del paese, di essere “i migliori”, questa è la differenza da allora. Questo refrain dell’aver “perso la gente” mi sembra davvero un po’ stucchevole - la gente è stata persa su premesse totalmente diverse del senso e significato della democrazia e dell’interesse generale, semplificato, individualista e manipolatorio. Storiella antipatica, pensieri spiacevoli, vero?
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