giovedì 30 agosto 2018

UNICA OPINIONE INTELLIGENTE CHE HO TROVATO SUL TEMA MIGRAZIONE

[Salvini e Orbán a Milano] – L’incontro non si può ignorare. Ho ascoltato la conferenza stampa integrale. Non è solo propaganda, come taluni sperano. Ha toccato alcune questioni importantissime che non riguardano solo l’Italia, ma l’intera Europa, inclusa la Svizzera, che, lo ricordo, fa parte dell’area Schengen. Mi concentro su una sola: il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea.
Una frontiera è un dato di diritto pubblico. Uno Stato esiste perché amministra una popolazione stanziale su un territorio definito. La frontiera segna tale territorio e differenzia la popolazione che sta dentro, sottoposta all’amministrazione di uno Stato, da quella che sta fuori, sottoposta a quella di un altro. Chi attraversa una frontiera si assoggetta all’amministrazione dello Stato a cui accede; lo Stato in questione, da parte sua, deve controllare le persone che entrano, poiché da quel momento dovrà amministrarle sul proprio territorio. Chi supera una frontiera senza avere i presupposti stabiliti o eludendo i controlli è in una condizione di clandestinità, poiché sfugge al controllo dello Stato in cui cammina. Questo è un dato giuridico, non cambia a seconda del partito politico o del Governo in carica. Non è nemmeno razzista, anticristiano o classista. Funziona così.
Quando Orbán afferma di aver tutelato la frontiera europea, costruendo le reti di delimitazione con la Serbia, ha ragione: la costruzione del «muro» tra Serbia e Ungheria ha fatto molto rumore, ma una rete molto simile, giusto un po’ più bassa e alquanto arrugginita, ma efficace, esiste anche fra Italia e Svizzera. Basta andare in auto, per esempio, da Como a Chiasso passando lungo il Breggia, ma la si vede anche dal treno. Nessuno fa scandalo ed è chiaro per tutti che di lì non si entra. A nessuno viene in mente di dire che la frontiera tra Italia e Svizzera è «chiusa» e che i due Paesi sono «razzisti» o oppressori: se vuoi passare dalla Svizzera all’Italia o viceversa ti presenti a un valico, se hai i documenti in regola passi, altrimenti no. Lo stesso avviene alla frontiera tra Ungheria e Serbia, tra Romania e Ucraina (ci sono passato da poco), alle altre frontiere esterne dell’Unione e a tutte le frontiere del mondo.
Chi ritiene di avere diritto all’asilo politico o a un’altra forma di protezione prevista dalla legge lo dichiara al valico di frontiera, non scavalca la rete. Se la domanda ha una ragionevole possibilità di essere fondata (lo si può verificare già in frontiera in base al Paese di provenienza e con un’audizione dell’interessato), il richiedente asilo entra in un percorso preciso di protezione e di verifica dettagliata dei suoi presupposti. All’Ungheria si contesta di rendere molto difficili le richieste di asilo ai valichi con la Serbia e di adottare sistemi sbrigativi di gestione dei richiedenti, non coerenti con i principi di umanità (non è vero, però, che da quella frontiera non entra nessun richiedente asilo, come talvolta si legge). Questi problemi vanno accertati e risolti, ma il principio di base, secondo cui non si entra sul territorio dello Stato illegalmente o fuori dai punti di valico in cui è consentito, è inattaccabile e non può essere tacciato sbrigativamente di disumanità.
Ciò a cui Orbán e Salvini congiuntamente aspirano è applicare questo principio anche alla frontiera di mare a sud dell’Italia. Controllare un confine di mare può essere più difficile, rispetto a una frontiera di terra, ma non è impossibile. A sud dell’Italia c’è la Libia e una serie di altri Paesi non sicuri: ciò accresce i problemi, poiché verso quei Paesi non è possibile respingere chi ne proviene. Gestire le richieste di asilo è più problematico. Tutto ciò, però, non lede il principio secondo cui l’attraversamento illegale della frontiera non può diventare la regola. Conciliare questo principio con i valori umanitari richiede un lavoro intelligente su vari fronti.
Uno di tali fronti sono le disposizioni in materia di asilo internazionale (Convenzione di Ginevra), di protezione sussidiaria (direttive europee) e di protezione umanitaria a livello dei singoli Stati. Queste norme non sono state pensate per un’immigrazione di massa come quella che stiamo vivendo. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati, in particolare, risale al 1951. Norme pensate per situazioni individuali e sporadiche vengono utilizzate ora per gestire un fenomeno di massa. Oltre che di un’applicazione non più coerente con la loro ratio originaria, cioè con le motivazioni che le avevano viste nascere, le norme sull’asilo soffrono oggi di un enorme tasso di abuso. Tra tutti coloro che pongono domanda d’asilo, solo una minoranza esigua ne ha effettivamente diritto, soprattutto se si guarda ai parametri della Convenzione di Ginevra. Tutti gli altri sono migranti economici che si mascherano consapevolmente da richiedenti protezione, abusando della normativa. Quale norma può resistere a un tale tasso di elusione, senza perdere credibilità?
Si aggiunge il problema dei falsi ingressi turistici: se ne parla meno, ma, soprattutto in Italia, una quantità incalcolabile di stranieri è entrata regolarmente per turismo. Poi non è più tornata nei Paesi d’origine e permane sul territorio in clandestinità. E’ possibile che anche queste disposizioni, in un’epoca in cui, grazie ai bassi costi dei voli aerei, grandi masse di persone possono mettersi in viaggio, abbia bisogno di essere rivista.
Qualcuno dovrebbe chiedersi seriamente se, rebus sic stantibus, dicono i giuristi, cioè nella situazione attuale, profondamente diversa da quella in cui furono promulgate tutte queste norme, non si debba avviare una revisione rapida e profonda delle convenzioni internazionali sull’asilo e sulle protezioni sussidiarie: non per negarne il principio, ma proprio per tutelarlo. Un esempio tristemente efficace è il caso della nave Diciotti, di cui ho scritto ieri: 190 persone che hanno altissima probabilità di avere diritto d’asilo sono state assimilate per giorni a clandestini, nella confusione di governi per i quali la questione migratoria è ormai questione di propaganda. Ciò minaccia i principi umanitari molto più di una saggia revisione delle norme sulla protezione internazionale, causando esasperazione e insicurezza nella cittadinanza.
Il problema del controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea, su cui insistono Orbán, Salvini e i loro simili, è reale. Le sfide che si porta appresso, a partire dalla necessità di rivedere le norme internazionali sugli stranieri e sui rifugiati, sono epocali. Nessun altro, però, se non loro, con i loro modi da bulli di periferia, sembra voler affrontare il problema. Ancora una volta, i movimenti sociali e politici opposti si limitano a sterili dichiarazioni di principio, a organizzare cortei e a difendere uno status quo non più difendibile per ragioni oggettive, ben prima di ogni diatriba fra partiti e opinioni.
Il rischio che il sistema normativo attuale sull’asilo e sugli stranieri, anziché essere riformato intelligentemente per adeguarlo ai tempi, venga abbattuto a colpi di martello da insipienti e xenofobi, per essere sostituito da non si sa cosa, è reale, soprattutto guardando alle prossime elezioni europee. Seduto a fianco di Salvini, Orbán ha mostrato un formato di uomo di Stato decisamente superiore, mentre il suo amico italiano figurava a tratti un po’ come il suo scolaretto. Che di fronte a queste sfide ci si ritrovi segretamente a sperare che la maggiore assennatezza di Orbán riesca a contenere lo scapigliato Salvini, è un pessimo segno dei tempi. Ci sarebbero molte altre cose da dire, sul loro incontro, che sembra essere un sinistro pendant di quello che a marzo vide protagonisti lo stesso Salvini, l’istrione dell’estrema destra USA Steve Bannon e l’ineffabile Marcello Foa, tuttora bloccato nell’ascensore che lo avrebbe portato ai vertici della RAI.
(Pensieri di Luca Lovisato, non a caso, svizzero).

Nessun commento:

Posta un commento