Oggi avevo una riunione al San Lazzaro, l’ex zona del manicomio di Reggio dove adesso ci sono alcuni padiglioni dove c’è la sede dell’USL Provinciale e alcuni padiglioni che ospitano alcune facoltà dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Con due colleghe sono andata a pranzare nei tavolini fuori del bar paticceria proprio di fronte al San Lazzaro. C’era una bellissima e calda giornata di sole e la sensazione del fine settimana imminente e della benedizione di quei raggi che ci scaldano ancora. Ho chiacchiearato pranzando con le colleghe e dopo che loro sono andate via sono rimasta ancora un po’ a dare un’occhiata al giornale. Ho cominciato allora a percepire che nella panchina vicino a me c’erano due ragazze evidentemente universitarie che parlavano fitto. Ho capito che discutevano intensamente (e un po’ ingenuamente, forse) della differenza tra emergenza e urgenza. Le ho osservate ed ascoltate per qualche minuto. Indossavano la divisa d’ordinanza delle universitarie da quarant’anni a questa parte: jeans, maglioncino, giacchetta leggera, zaino con i libri, poco o niente trucco - discutevano con passione, sviscerando il problema, immagino posto in evidenza da una precedente ora di lezione.
Potevano essere me, quaranta anni fa, su una panchina di Bologna che parlavo e discutevo di tante cose con la Romilda, Fulvio, Michele, Vito, la Laura, la Mirtide, e tanti altri volti e nomi che si sono persi nella nebbia del tempo, ma soprattutto con l’Albertina, la mia vecchia amica. Tutto quel parlare, discutere, ridere, arrabbiare, odiare ed amare, lasciare spazio alle idee e alle esperienze ci ha fatto crescere e diventare adulte - e diventare quelle che siamo ora.
Guardando quelle due ragazze, oggi, ho provato una piccola ma intensa fitta di nostalgia per quelle ragazze che eravamo, per come eravamo belle, entusiaste, fiduciose, con quella strada nel bosco di cui non vedevamo le curve, le cesure e gli sbocchi. Quello che allora era il presente è diventato in un attimo il passato, un passato che abbiamo creato parola dopo parola, atto dopo atto, giorno di sole dopo giorno di sole.
Un abbraccio ad Albertina (e agli altri che c’erano e che poi sono venuti) - grazie di essere stati ed essere con me a parlare.
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