Hanno già detto in tanti, troppi forse, non è che serva anche il mio pensiero (debole, peraltro). Ma ce l’ho e il mio blog è il mio regno.
Parto dal folkloristico slogan “abbiamo abbattuto la povertà” - coniato da chi non sa proprio di cosa sta parlando, con una visione della povertà che vede solo l’equazione povertà= mancanza di lavoro. I poveri che noi vediamo a Reggio Emilia (dove disoccupazione quasi non c’è) sono per la stragrandissima maggioranza non privi di lavoro, ma che si arrabattano tra espedienti, lavoretti in nero e sussidi pubblici e soprattutto lontanissimi dal lavoro come competenze (per fare la donna delle pulizie oggi occorre almeno la patente, un operaio deve sapere leggere e scrivere e comunque parlare un po’ di italiano), come concezione del lavoro (il lavoro intensivo dei paesi occidentali è sconosciuto nella maggior parte del mondo, l’essere senza lavoro da molto tempo ti scollega dalle modalità di cercare lavoro in modo efficace), come possibilità effettiva di tenere un lavoro (aspettative irrealistiche, incapacità relazionali, tenuta - es alzarsi ogni mattina e arrivare in orario - molto fragile, carichi familiari impossibili) ecc. Tutto ciò, tra l’altro, nel paese con la maggior percentuale di lavoro nero in Europa.
Ma a parte lo slogan coniato per i polli, è evidente che questa manovra attua una consistente operazione di trasferimento di ricchezza a danno del ceto medio e dei lavoratori dipendenti che non possono evadere le tasse a favore dei disoccupati e degli evasori (che stanno in “pace fiscale”). Inoltre regala con un gigantesco pacco regalo agli ultra sessantaduenni, pagato dalle giovani generazioni che dovranno impegnarsi a pagare la loro pensione anticipata. Tutto ciò, tra l’altro, nel secondo paese più longevo del mondo.
C’è inoltre, e forse mi ripeto, un deficit più importante di quello programmato dal DEF, uno spread di inciviltà da cui sembra non ci potremo salvare: c’è un continuo imbarbarimento del confronto politico e del vivere sociale, si disattendono patti già scritti, si rimettono continuamente in discussione opere infrastrutturali strategiche già finanziate, si giudica ogni diverso come nemico, si usano espressioni preoccupanti (“non faremo prigionieri”) tipiche della legge del taglione, si mente (“i soldi ci sono”, ve lo ricordate?) e si delinque (i famosi, quanti erano? Quaranta? milioni rubati allo stato) bellamente senza nessuna conseguenza sul consenso, si manipola e si illude chi non ha strumenti per smontare i giochini di chi vuole solo il voto, si negano e sbeffeggiano tutti gli strumenti democratici di verifica e contrappeso (dal capo dello Stato alla Banca d’Italia, l’INPS, l’ISTAT, per tacer dell’Europa) e, ancor di più, si svalorizza e beffeggia ogni competenza sull’oggetto (medici, professori di ogni tipo, economisti...).
Ho sempre sostenuto (e ancora ne sono convinta) che chi ci governa è lo specchio di quello che, come popolo e come collettività, siamo. Il mio dolore è che io non sono cosí.
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