Un uomo s’impegna nella propria vita, disegna il proprio volto e, fuori di questo volto, non c’è niente. Evidentemente questa idea può sembrare dura a qualcuno che non è riuscito nella vita. Ma, d’altra parte, essa dispone gli animi a comprendere che soltanto la realtà vale; che i sogni, le attese, le speranze permettono soltanto di definire un uomo come un sogno deluso, come una speranza mancata, come un’attesa inutile.”
(J.P. Sartre)
Ho provato a riflettere su queste parole - apparentemente sono una totale negazione di tutto ciò in cui credo: un uomo (una donna) non è il suo successo, non è l’esterno, ma ciò che è veramente è il tutto di sè, ciò che dice e sente dentro. Ho pensato poi però che il discorso si riferisca non tanto a questo aspetto, quanto ad un bilancio: alla fine dei conti arriveremo al punto in cui dovremo guardare a noi stessi, a me stessa, dicendomi: “Cos’ho fatto di me stessa?”E lì, non ci sarà amore se non l’amore vissuto, non ci sarà poesia se non la poesia espressa, rischiata, lanciata, non ci sarà opera letteraria se non quella scritta e pubblicata, non ci sarà vita se non quella che ho vissuto come desideravo, prendendomi tutto ciò che essa porta con sé: gli errori, e la responsabilità di quegli errori, i successi, e i dolci frutti di quei successi.
E allora mi sono sentita un po’ toccata (e anche un po’ “toccata” in altro senso, proprio un pensiero da vecchia). E ho pensato che ci penserò in un altro momento....
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