sabato 16 dicembre 2023

GEOMETRIE VARIABILI

 Credo di poter dire che la mia è una famiglia piuttosto comune, qualcuno direbbe “normale” (qualsiasi cosa voglia dire “normale”, poi), altri (e molto diversi da me) direbbero “tradizionale”: una coppia che sta insieme dal liceo, un maschio e una femmina ormai grandi. Abbiamo poi molti tratti di originalità nei nostri percorsi e sogni individuali che hanno tra l’altro portato lo stupefacente risultato, per me, di avere una nipotina con i capelli biondi come le spighe del grano e riccissimi - io che sono sempre stata intensamente mora (ora grigia) e con i capelli come filo di ferro stirato.

Riflettevo in questi giorni, però,  che il maggiore tratto di originalità che ho sempre osservato (credo di avere scritto al proposito anche un altro post) è quello delle geometrie variabili (ad incastro) che abbiamo spesso praticato. Ci ho pensato perchè nei prossimi giorni se ne verificheranno altre.

Succederà che le postazioni originali, quelle più statiche, sono: Luigi a Monaco di Baviera, Anna ad Oberrieden (Zurigo) e noi a Sanguigna. La prima traiettoria parte dalla pedina Luigi, che da Monaco in treno  va a raggiungere Anna, Olivia e Andre ad Oberrieden per la Vigilia che festeggeranno tutti insieme con la famiglia di Andre, sua mamma, i due fratelli e i numerosi bambini. La seconda traiettoria parte il giorno dopo da Sanguigna da cui andiamo a fare il pranzo di Natale e scambio doni a Parma da mia madre e mio fratello (con al seguito cappelletti, bolliti vari e salse varie, spongata, panettone e torrone…). Nel primo pomeriggio del giorno di Natale, poi, la traiettoria riparte da Parma (sempre con il suo seguito di cibarie) in macchina per Oberrieden dove contiamo di arrivare la sera per l’apertura dei numerosi regali (e per cena di Natale, ma noi non credo mangeremo ancora). Poi staremo tutti ad Oberrieden fino al 28, quando noi riprenderemo la traiettoria partendo dall’aeroporto di Zurigo per Madrid e da Madrid a Santiago del Cile dove vagabonderemo un po’ (Viña del Mar, Valparaiso, osservatori astronomici, deserto dell’Atacama) con la compagnia di due amici.

Gigi, invece, parte con la nostra macchina, sempre il 28, da Oberrieden per Sanguigna dove rimarrà per una decina di giorni per l’ultimo dell’anno con i suoi amici. Da Sanguigna, poi, in treno, continuerà la sua traiettoria tornando da Sanguigna a Monaco all’incirca intorno alla Befana. Noi invece, il giorno 11 gennaio, ripartiamo dall’Atacama raggiungendo in aereo Santiago da cui ripartiamo il 13 con arrivo a Bologna il 14 mattina - e in treno a Parma dove uno dei ragazzi di Roberto ci darà un passaggio per Sanguigna. 

(Mi sono immaginata di tracciare le traiettorie con pennarelli colorati sul mondo, sarebbe forse una bella immagine)

Per fortuna ci vogliamo bene….

domenica 10 dicembre 2023

I GENITORI DI FILIPPO TURETTA

 Non volevo scrivere questo post. Non dovevo nemmeno scriverlo. Sono nauseata dalla morbosità dell’attenzione, degli approfondimenti e delle chiacchiere che gravitano intorno al dramma di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta. Però ho pensato cose, tutte apparentemente scollegate tra loro e poi hanno assunto un qualche filo logico.

La prima cosa è stata una rabbia profonda che ho provato a quella che è stata la prima dichiarazione di Filippo Turetta quando l’hanno catturato. “Ho ucciso la mia ragazza”. Qui è evidente. Non era più la sua ragazza (da mesi) e comunque non era “sua”. Ho provato una rabbia bianca e bruciante per quel “mia” e ho pensato che era un aggettivo possessivo orribile, da non usare mai, da evitare. Poi, alcuni giorni fa, il composto, civilissimo padre di Giulia, al funerale, non so come ha trovato la forza di dire “la mia Giulia” riuscendo a mettere in quel “mia” tutto l’amore e la devozione possibile, tutta la vicinanza che l’amore sa dare. E allora ho pensato che non è l’aggettivo possessivo il problema, ma il significato che quel possessivo ha. Subito dopo, ho pensato che nessuno ha insegnato a Filippo Turetta quei significati, che soprattutto i suoi genitori non glieli hanno insegnati, e ho pensato ai genitori di Filippo Turetta, ai loro rimpianti e rimorsi attuali. E no, non ho provato a identificarmi con loro, non ci ho nemmeno pensato.

La seconda cosa riguarda il fatto che i genitori di Filippo Turetta hanno tardato alcuni giorni prima di incontrare il figlio. Lí ho provato a metttermi nei loro panni e ho pensato che non so se avrei potuto al loro posto incontrare un figlio che avesse commesso una cosa così inenarrabile (inenarrabile mi sembra l’aggettivo perfetto, perchè narrando una storia la metti in chiaro, ci fai i conti. Questa storia per me non è in questa accezione narrabile, anche se tutti ne parlano). E comunque non credo avrei potuto  perdonarlo, anche se è mio figlio. Un pensiero orribile, su cui non mi sono soffermata, ma che è evidentemente rimasto con me, perché la sera, con amici, in pizzeria, quando siamo andati sull’argomento, ho dato voce a questo pensiero, per quanto solo, a dire il vero, a mezza voce. Un’amica che era lí con me mi ha (amorevolmente) obiettato “Ma ai figli bisogna stare vicino”. Sottovoce, ho risposto “Non so se potrei, è come se avesse ammazzato anche me”.

Adesso è tutto un chiacchiericcio su ergastolo-sí, ergastolo-no e anche questo mi infastidisce. L’entità della punizione la decideranno persone che in base ad un corpus di leggi piuttosto burocraticamente precise nel comminare punizioni e ad approndimenti minuziosi che non possono essere fatti sui giornali, sentenzieranno quanto tempo Filippo Turetta (sono a disagio a chiamarlo Filippo solamente, credo di voler mantenere le distanze) dovrà stare in prigione. Quello che è certo è che Gino, Elena e Davide Cecchettin hanno già  l’ergastolo di una vita senza Giulia, che Filippo Turetta ha l’ergastolo della dicitura “mostro” e la sua prigionia sarà un calvario quotidiano per sottrarlo alla vendetta degli altri detenuti e che i genitori di Filippo Turetta hanno l’ergastolo di un figlio non perdonabile. E Giulia non disegnerà mai più.


lunedì 4 dicembre 2023

UNA BUONA DOMANDA - 2

(Michele Serra, Il Post, OK BOOMER, oggi)

 Ancora grande flusso di lettere sul tema, al tempo stesso appassionante e indefinibile, “chi sono i nuovi maestri”. Sono riuscito a rispondere privatamente a molti ma non a tutti, gli esclusi non si sentano esclusi, sono stati letti e pensati, purtroppo il tempo non è una dimensione elastica, me ne manca sempre una bella fetta per fare tutto quello che vorrei fare. (Ma una giornata di sosta quasi “religiosa”, ieri che era domenica, me la sono presa: abbiamo tagliato a pezzi, in cinque persone, più di cento quintali di legna, rovere, cerro, pioppo, frassino, ciliegio, olmo, robinia. È stato bellissimo).


Sarò breve, e molto selettivo. Mi ha colpito la mail di Sara (millennial) che individua una differenza, anche profonda, con i ventenni di oggi: “Solo tre dei contributi selezionati citano programmi o personaggi televisivi tra i propri punti di riferimento culturali. Così di getto, credo che la televisione abbia influito in maniera molto più incisiva e trasversale sulla cultura della mia generazione rispetto a quello che emerge dal sondaggio. Oggi se ne guarda sicuramente meno, c'è tanto altro, ma negli anni in cui sono cresciuta se ne guardava tanta e tutti guardavano le stesse cose”. Dunque non solo noi boomer, anche i millennial (nostri figli) fanno in tempo a sentirsi spiazzati dai tempi che corrono, e hanno memoria di un tempo remoto in cui “tutti guardavano le stesse cose”.
Anche Francesco, di un anno più giovane, sottolinea l’egemonia che quel medium ha avuto almeno fino alla fine del Novecento: “La mia generazione è cresciuta davanti al televisore, in modo più specifico guardando i cartoni al pomeriggio. I nostri maestri e guide sono e restano la famiglia Simpson, Ken il guerriero, L'Uomo Tigre e Goku (e ovviamente i loro autori). Da loro abbiamo imparato a distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, quali sono i valori e le cose importanti della vita, quando scherzare, quando essere seri”. Ringrazio Francesco perché mi aiuta a rimediare a una mia grave omissione: i Simpson! Ecco, io Matt Groening lo metterei nel Gotha dei maestri viventi senza mezza esitazione.

Edo propone tra i “grandi” di oggi la regista Alice Rohrwacher, “qui a Parigi la venerano come una nuova Fellini e hanno inaugurato una retrospettiva su di lei al Pompidou. Riconosco in lei una profondità multiforme e antica”. Per Mauro è stato molto importante Giovanni Lindo Ferretti (CCCP – Fedeli alla Linea), “in totale controtendenza rispetto al mainstream filoamericano. Questo mi fece se non altro venire l'appetito per leggere i suoi riferimenti letterari, Roland Barthes, Majakovskij, Mishima. Da lì in poi è stata una continua scoperta letteraria, per lo più in autonomia, insomma (Ferretti) è riuscito a darmi una spinta che la scuola non era mai riuscita a darmi”.
Molto severo (ma servono anche i severi) Matteo, che non dice la sua età ma sembra dare voce all’ala più “intransigente” dei boomer, oppure a quella più disillusa delle generazioni successive: “Ho letto cose implausibili, 20 volte la Murgia e non posso non pensare alla notorietà che viene dalla triste fine, e però recente; persino un Tomaso Montanari, una cosa che fa cadere le braccia. I riferimenti musicali lasciamo stare, veramente robetta. Direi che gli intellettuali, se ce ne sono, sono nascosti benissimo, e soprattutto che la generazione dal ’70 in poi non ha i mezzi né i riferimenti culturali per capire alcunché del mondo. O non ha tempo né voglia di approfondire, che è più difficile lungo e faticoso che dare retta a un cantante”.

Il boomer Leo lega strettamente alla buona salute della politica la nascita di pensieri rilevanti. “Un maestro è per definizione una persona intellettualmente onesta e, aggiungo, un maestro inevitabilmente fa politica. Forse per questo la nostra generazione non ha difficoltà a nominarne tanti e le giovani generazioni stentano invece a trovarli. In tutte le importanti opere artistiche entra la politica. Che cosa è il successo del film della Cortellesi se non un felicissimo ritorno della politica nella commedia all’italiana?”

Gli fa eco un altro boomer, Gabriele, che manda una top-ten di “maestri” quasi interamente politica: “Enrico Berlinguer, Allende, Martin Luther King, Nelson Mandela, La Repubblica, Eugenio Scalfari, Michele Serra, Nanni Moretti, Francesco Guccini, Franco Battiato”. Mi vergogno ma sono contento.
Mi piace, infine, quello che scrive Tommaso (che è del ’90). Indica tra i suoi maestri, come primo riferimento, “mio nonno materno, che proprio ieri ha compiuto 88 anni ed è senza dubbio la persona più lucida, intelligente, acuta e generosa che abbia mai conosciuto. Mezzo gradino più sotto, la mia maestra delle elementari, che tra poco andrà in pensione e mi ha insegnato, tra le altre cose, che l'ignoranza è il male più grave del mondo". Ecco, questo mi ero proprio dimenticato di dirlo: maestra, maestro, è anche colui che incontri nella vita personale. E ti insegna molte cose con le parole, molte altre semplicemente esistendo.

venerdì 1 dicembre 2023

A VOLTE ANCHE IO DICO FRASI LAPIDARIE

 Stasera Roberto è tornato da alcuni giorni di viaggio di lavoro tra Puglia e Marche, in visita ad alcuni clienti e fornitori (come ogni volta che va ha dormito in uno dei posti più belli del mondo, Trani, e come ogni volta che va è tornato carico di mozzarelle e taralli). Tra le altre cose, mi racconta di questi clienti che si occupano di pasta senza glutine e che sono molto dinamici: hanno aperto un business di produzione e vendita di spirulina e stanno aprendo una produzione di cibo per animali senza glutine…

“Senza glutine? Ma chi compra cibo per animali senza glutine?” 

“Mi assicurano che c’è grande richiesta, anche se ovviamente il cibo per animali senza glutine è molto costoso”

A quel punto mi esce uno spontaneo (e lapidario): “Sí, ci meritiamo proprio l’estinzione!”.

lunedì 20 novembre 2023

UNA BUONA DOMANDA

 Gaber e Jannacci, che in vitafurono amici fraterni e per lungo tempo compagni d’arte, sono riapparsi insieme sulle scene, quasi fianco a fianco, per una casualità comunque toccante. Sto parlando dei due docu-film Io, noi e Gaber di Riccardo Milani, e Enzo Jannacci – Vengo anch’io di Giorgio Verdelli, usciti quasi contemporaneamente. In uno dei due film, quello su Gaber, compaio anche io, in mezzo a una piccola foresta di capelli bianchi e di senescenza milanese che un poco mi ha reso felice (sono quasi tutti vecchi amici e compagni di avventure), un poco mi ha fatto pensare.

Per carità, non voglio tediarvi con gli anni che passano e le articolazioni che cigolano, è una tale ovvietà che possiamo tranquillamente ignorarla. I vecchi invecchiano, e amen. Cavoli loro. I pensieri che mi sono venuti in mente sono di un altro tipo. Provo a dirla così, brutalmente: quali sono i Gaber e gli Jannacci venuti dopo Gaber e Jannacci? Posto che nessuna generazione, di nessuna epoca, è autorizzata ad attardarsi nel solito, noiosissimo “era meglio prima, eravamo meglio noi”, ritornello talmente sentito che non si può più sentirlo, io avverto il bisogno (è proprio un bisogno, credetemi) di capire se e come è avvenuto il cambio della guardia, e nuovi punti di riferimento altrettanto importanti hanno preso il posto di quelli vecchi.

Chiedo ai miei lettori più giovani, in questo senso, un aiuto, un appiglio, una pista da seguire: ditemi, per piacere, chi sono i VOSTRI Gaber a Jannacci, ovvero su quali persone, opere o esperienze – esclusi i classici: dire Omero non vale, nemmeno dire Picasso, o Bob Dylan, o Edith Piaf – avete potuto contare fino a poter dire: lui, lei, quel film, quel libro, quell’artista, sono i miei punti di riferimento anche in termini generazionali. Li riconosco miei compagni di strada, mie guide, miei maestri, interpreti della stessa epoca nella quale io mi sono formato. Sono persone che mi hanno aiutato a capire. Artisti che mi hanno aiutato a sentire.

Enzo era del ’35, Giorgio del ’39. Sono cresciuti nella stessa precisa Milano del boom industriale e delle periferie tristi, delle case editrici ambiziose e dei teatri sprovincializzati che, dopo l’asfissia fascista, guardavano all’Europa, e tutto sembrava nuovo. E sono cresciuti nello stesso preciso, travolgente attimo in cui la televisione (una sola, uguale per tutti) unificava il Paese.
A quelli come loro dobbiamo concedere un vantaggio oggettivo: andare in onda, mezzo secolo fa, voleva dire che un popolo intero, la mattina dopo, sui tram, in treno, negli uffici, nelle fabbriche, ti aveva visto e sentito. Gaber sceglie il teatro dopo che aveva sbancato la televisione, Jannacci canta una canzone impensabile come El portava i scarp del tennis davanti a dieci (quindici? venti?) milioni di italiani, tutti insieme. Il mutamento strutturale della comunicazione rende difficile perfino immaginare quella condizione antica. Forse oggi un eventuale nuovo Gaber o nuovo Jannacci sarebbe impensabile a partire dalle condizioni di partenza: nella galassia sterminata delle reti, dei contatti, delle fonti, nello sbriciolamento dei palinsesti (che oggi sono tanti quanti noi siamo: milioni), nella moltiplicazione esponenziale dell’offerta e del consumo, chi e che cosa può ancora ambire a diventare Punto Fermo? A diventare Maestro?

Negli ultimi anni, nel nostro piccolo cortile italiano, mi vengono in mente solo un paio di eventuali “nomination” – Zerocalcare? Sorrentino? E una donna? Ma in letteratura neanche uno – ma il gioco dei nomi è troppo soggettivo, troppo cangiante, ognuno ha i suoi ed è liberissimo di non essere d’accordo con i nomi degli altri. E io, comunque, non ho più i parametri, ho perduto la chiave, per questo vi chiedo aiuto. Sono sicuro che la vita continua. Ma non so più come continua. Qualcuno sia così gentile da rassicurarmi. Mi dica: dopo di voi, e dopo il vostro transito, sono successe molte cose straordinarie, che voi boomers non avete più la capacità di cogliere e di interpretare. Siete troppo vecchi. Il Pantheon va aggiornato. Prendete nota, boomers, di quello che è successo di bello e di importante, nel mondo (mi accontenterei: in Italia) dopo di voi, dal punto di vista culturale e artistico. Giuro che prendo appunti. Mi rifiuto di invecchiare inchiodato alla mia esperienza e ai miei pregiudizi. Voglio, fortemente voglio, che qualcuno mi avverta che un rapper a me sconosciuto ha avuto la stessa micidiale potenza dei Scarp de tennis, o di Chiedo scusa se parlo di Maria.
(Michele Serra, OK BOOMER, Il Post, 20 novembre)

La trovo una buona domanda (da girare peraltro ai nostri figli), a cui non posso anagraficamente rispondere. Osservo solo che il concetto di Maestri o ancora di più quello di Punti Fermi mi sembra ambiguo. Io personalmente riconosco come Maestro Gaber (meno Jannacci), ma non come Punto Fermo: da “Polli di allevamento” ho cominciato a misurare una distanza da lui che se fosse vissuto di più si sarebbe ulteriormente accentuata, ho preso un’altra strada, pur continuando a riconoscere in me tanto di quello che Gaber mi aveva dato (o inflitto). Lo stesso mi è accaduto con quelli cui via via ho riconosciuto il ruolo di Maestri (che per me è un ruolo di interlocutori privilegiati, di gente che riesce a parlarmi, a insegnarmi, a sorprendermi) e ne ho trovati altri, nuovi, a me più vicini in quel momento.  A mio parere non è un male che i maestri si siano frammentati e moltiplicati, in un tempo in cui la complessità è molto elevata. Trovo solo che ci sia un duplice pericolo: che si moltiplichino i cattivi maestri e che alcuni, almeno per certi tratti, si sentano soli, senza più Maestri credibili o semplicemente adatti.
E continuo a chiedere scusa se parlo di Maria (o della rivoluzione)

sabato 18 novembre 2023

MAMMA MANCA

 Questa settimana Anna ed Olivia sono in visita a Sanguigna. Olivia ha due anni e mezzo ed è incantevole e innocente. In questo periodo ha sviluppato una “mammite” acuta (abbastanza tipica dell’età). Sua mamma deve essere sempre a portata di vista, poi lei magari fa anche dell’altro o con qualcun altro, ma comunque deve sempre essere in vista e a disposizione. Per consentire ad Anna di prendersi qualche spazio, quindi, il prezzo da pagare è un lungo pianto a dirotto con abbondanti lacrime. 

In uno di questi momenti, in braccio a me che tentavo di consolarla, le ho detto “Ti manca la mamma, vero, Olivia?”. Sorprendentemente, Olivia ha subito colto perfettamente il concetto e alla sue urla  invocanti “Mamma” o “la mamma” ha aggiunto un davvero desolato “Mamma manca”. 

Giovedí sera Anna è uscita (è andata con una sua amica svizzera - di Modena - al nuovo ristorante “green” di Bottura a Modena) verso le 18. Olivia ha reagito piangendo a lungo e vigorosamente, poi si è fatta distrarre da alcune attività di gioco, lettura e disegno (ogni tanto ricompariva per qualche istante, dal nulla, l’invocazione “mamma” e “mamma manca”), e una buona cena di cui lei è appassionata.

L’ultimo momento difficile (ma solo per pochi minuti) è stato ovviamente il momento di andare a nanna, è tornato il pianto e l’invocazione a gran voce della mamma. Un momento particolarmente tenero è stato quando, sedute entrambe (lei in braccio a me che cercavo di consolarla)  in cucina vicino alla finestra mi ha chiesto tra le lacrime di aprire la finestra per vedere se la mamma era per caso fuori. Io l’ho accontentata e lei ha sporto fuori il suo adorabile faccino a scrutare l’aia buia. Poi si è calmata e per mano abbiamo salito le scale per adempiere ai riti serali, pigiamino, piccola rinfrescata, lavare i denti, un po’ di latte nel bibe e un po’ di ninna nanna cantata sottovoce. In dieci minuti dormiva come un angelo, tranquilla, i riccioli biondi sparsi intorno, con i sogni che le fluttuavano intorno.

“Mamma manca”, ma mamma c’è sempre con lei e i suoi sogni non sono inquietanti.


venerdì 10 novembre 2023

MENO MALE

 Stavamo guardando con Roberto, divertiti, questo programma di manifestazioni che coinvolge un bravo professionista che ha lavorato presso una delle aziende di Roberto


Meravigliandoci di come ci si possa interessare ad argomenti così particolari. Ad un certo punto  però Roberto interrompe il divertimento con una riflessione che apparentemente non c’entra niente “Per fortuna non siamo in guerra”.  Come credo spesso capiti nelle vecchie coppie, ho capito perfettamente quello che voleva dire. Una riflessione giusta, secondo me, e anche divertente, ma, dati i tempi che corrono, mi ha anche un po’ emozionato.

giovedì 9 novembre 2023

CITTADINANZA/E

 “LONDRA - L'Alta Corte britannica ha deciso che Indi Gregory si spegnerà nelle prossime ore, nell'ospedale dove è in cura in Inghilterra o in un hospice. La decisione del giudice Robert Peelconferma che proseguire a tenere in vita con la ventilazione artificiale la bambina, affetta da una grave e incurabile patologia mitocondriale, sarebbe un accanimento terapeutico che la farebbe soltanto soffrire. Il magistrato ha dunque ritenuto che Indi non possa essere trasferita in Italia, dove l'ospedale Bambin Gesù si era offerto di accoglierla, nonostante il nostro Paese, con una rapidissima decisione del Consiglio dei Ministri, le avesse concesso nei giorni scorsi la cittadinanza italiana. Trasportarla in Italia, afferma la sentenza, sarebbe non solo inutile dal punto di vista medico, ma anche questo un modo di infliggere sofferenze a una piccola malata di appena otto mesi.

Un verdetto di questo tipo veniva ritenuto probabile dagli esperti legali sulla base di due precedenti, i casi assai simili di Alfie Evans e Charlie Gard, due bambini inglesi di pochi mesi, anch'essi sofferenti per mali che non lasciavano speranze: anche per loro i genitori avevano chiesto il trasferimento in Italia, unico Paese disposto ad accoglierli nelle strutture del Bambin Gesù, in nome di un ideale religioso più che scientifico, anche se nemmeno i sanitari italiani ritenevano ci fossero speranze di miglioramento o guarigione.” (La Repubblica, oggi)

In base a questo, per effetto compensativo numerico, penso di chiedere la cittadinanza inglese.


mercoledì 8 novembre 2023

SCROLLARE LA BAMBINA

 Scena: interno della macchina.

Protagonisti: io e Roberto in viaggio per somewhere

Come sempre accesa Radio Capital che noi, chiacchierando, distrattamente ascoltiamo.

In un momento di pausa della conversazione ascoltiamo i due conduttori mandare in onda whatsapp vocali o scritti mandati dagli ascoltatori sul tema proposto quel giorno, che era più o meno “cose stupide che ho fatto”.

Un messaggio vocale di un uomo giovane “Io ho per anni aiutato mia figlia quand’era piccola a fare la pipì e alla fine la scrollavo per fare cadere le ultime gocce di pipì”. Il conduttore divertito commenta “Anch’io, anch’io” e io mi metto a ridere “Ma guarda che stupidate”. 

Silenzio dall’altro sedile, poi, serio “Ma perchè, qual è il problema, anch’io l’ho sempre fatto con l’Anna!”. Era serio. Ecco, appunto…e io che non lo sapevo….




martedì 7 novembre 2023

INVETTIVA (OGNI TANTO MI CAPITA…)

 

Ah, no,no,no!

In una guerra tra un Dio identitario di un popolo ferito e un Dio belligerante e misogino di un popolo smarrito andiamo ad invocare Dio ? Ah, no, no, no!

Tenetevi il vostro Dio per i vostri momenti privati, pregatelo, ma non rompete le balle al prossimo!

mercoledì 25 ottobre 2023

IL LAVORO DEL LUTTO

 Appunti dalla lectio magistralis tenuta da Massimo Recalcati nell’ambito della rassegna “Il rumore del lutto”, 22 ottobre 2023

Di che cosa siamo fatti noi umani? Siamo fatti delle parole degli altri, non delle nostre parole, ma delle parole che abbiamo incontrato. Siamo fatti delle parole con cui gli altri hanno definito la nostra vita, a volte causandoci traumi e dolore, ma anche gioia, amore, amicizia.e poi siamo fatti degli incontri che ci sono capitati nella nostra vita, buoni e cattivi.

Siamo fatti però anche di tutti i nostri morti, delle perdite che hanno scavato nelle nostre vite, delle lacune e dei deficit, di persone significative che abbiamo incontrato e perduto. È importante dire che nella FORMA UMANA della vita la morte è sempre PREMATURA (non lo è per la foglia, per l’ape), è sempre INNATURALE, porta sempre con sè una dose di atrocità e ingiustizia. Noi vogliamo sempre vivere ancora (H. Arendt “Noi siamo fatti per nascere, non per morire”). La vita è un soffio, un battito di ciglia e i nostri giorni sono contati (Ecclesiaste), ma attenzione! Tutte le forme di vita hanno i giorni contati, ma solo la vita umana CONTA i giorni e questo fa la differenza.

Il lutto è una reazione emotiva alla perdita di un oggetto significativo per la nostra vita. Ma quale perdita? Ci sono due dimensioni della perdita: la prima è la perdita NEL MONDO. Non posso più incontrare, toccare, vedere, parlare con la persona cara perduta. Seppellire qualcuno in luogo implica il miraggio del contatto, il tentativo di mantenere il contatto con la persona perduta (“vado al cimitero a trovare la mamma”).

La seconda dimensione della perdita é il vuoto, il buco che si apre nel NOSTRO CUORE, NELLA NOSTRA ANIMA.Il mondo è quello di prima, ma per noi non è più quello di prima (leggi C.S. Lewis, Diario di un dolore, Adelphi). D’altra parte, l’esperienza della perdita struttura costantemente la nostra vita (la perdita dell’utero materno quando si nasce, la perdita della consolazione del seno materno con lo svezzamento fino alla rescissione del legame familiare per diventare adulti…)

Quali  sono i destini del lutto? 

- il destino MALINCONICO del lutto. Il nero è il colore del lutto perché con il lutto i colori del mondo si spengono, il tempo si pietrifica e si immobilizza, si viene proiettati in dimensioni di introversione. Ma se il tempo si blocca allora il soggetto viene come aspirato dall’oggetto che non c’è più, rendendo impossibile la separazione dall’oggetto perduto. È vero che l’esperienza della perdita non coincide con il tempo della separazione, i tempi sono necessariamente sfasati, ma in un tempo più o meno lungo (il tempo del lavoro del lutto)l’esperienza della perdita diventa esperienza della separazione. Nella melanconia questo tempo non c’è, non si chiude, consegnando il soggetto a un destino fortemente depressivo, a una vita senza fulcro.

- il destino MANIACALE è esattamente l’opposto di quello malinconico: “non sento niente”, sostituisco immediatamente la perdita con qualcos’altro, “morto un papa se ne fa un altro. La procedura è sostitutiva, si procede alla negazione del lutto, alla sostituzione dell’oggetto perduto con nuovi oggetti che riempiono il vuoto. È un destino del lutto molto congruente con le spinte della nostra società contemporanea.

- il destino delLAVORO DEL LUTTO : non c’è malinconia e non c’è mania, si usa un lasso di tempo per trasformare la perdita in separazione. In questo processo continuiamo a vivere, lasciamo andare, ma tratteniamo con noi un “resto” della perdita. Tre sono gli elementi fondamentali del lavoro del lutto: il TEMPO (non esiste un lavoro del lutto rapido), la MEMORIA (bisogna ricordare e non siamo noi i padroni del ricordo. I ricordi arrivano, si impongono) e il DOLORE (non esiste lavoro del lutto indolore). A un certo punto, però, il lavoro del lutto finisce e si torna a respirare, la vita si alleggerisce. Il lavoro del lutto finisce quando la perdita si trasforma da peso per la vita a linfa per la vita.

Bellissimo e ricostruttivo del lavoro del lutto è un piccolo pezzo tratto da “Così parlò Zarathustra” di Nietzche 

Arrivato nella città più vicina, che sorgeva ai margini della foresta, Zarathustra vi trovò una gran folla radunata sulla piazza del mercato: perché avevano detto che si sarebbe visto un uomo camminare sulla corda. E Zarathustra così parlò alla folla:

«Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto voi per superarlo?

Tutti gli esseri hanno finora creato qualcosa al di sopra di se stessi: e voi volete essere il riflusso di questo grande flusso e tornare piuttosto all’animale che superare l’uomo?

Che cos’è la scimmia per l’uomo? Una risata o una dolorosa vergogna. E proprio ciò dev’essere l’uomo per il superuomo: una risata o una dolorosa vergogna.

Voi avete fatto la strada dal verme all’uomo, e molto c’è ancora in voi del verme. Una volta eravate scimmie, e ancora adesso l’uomo è più scimmia di qualunque scimmia.

Ma anche colui che è più saggio tra voi, non è che un dissidio, un essere ibrido fra la pianta e Io spettro. Ma vi ordino io di diventare spettri o piante?

Vedete, io vi insegno il superuomo!

Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà dica: sia il superuomo il senso della terra!

Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di speranze ultraterrene! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no.

Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!

Una volta il sacrilegio contro Dio era il sacrilegio più grande, ma Dio è morto, e sono morti con Dio anche quei sacrileghi. Commettere sacrilegio contro la terra è ora la cosa più spaventosa, e fare delle viscere dell’imperscrutabile maggior conto che del senso della terra!

… Ma allora accadde qualcosa che fece ammutolire tutte le bocche e strabuzzare tutti gli occhi. Nel frattempo cioè il funambolo si era messo all’opera: era uscito da una porticina e camminava sulla corda, che era tesa fra due torri, così che era sospesa al di sopra del mercato e della folla. Ma quando era giusto a metà del percorso, la porticina si riaprì e ne saltò fuori un tipo variopinto simile a un buffone, il quale andò a rapidi passi dietro al primo. «Muoviti, sciancato» gridò con voce terribile «muoviti poltrone, impostore, faccia sbiancata! Se non vuoi che ti solletichi col mio calcagno! Che stai a fare qui fra le due torri? Dentro la torre, dovresti stare, lì ti si dovrebbe rinchiudere, te che sbarri la strada a uno che è migliore di te!» E a ogni parola che diceva gli si faceva più vicino. Senonché, quando non era più che a un passo da lui, avvenne la cosa terribile, che fece ammutolire tutte le bocche e strabuzzare tutti gli occhi: cacciò un urlo da indemoniato e superò con un balzo quello che gli impediva il cammino. Ma l’altro, vedendosi superato dal rivale, perse la testa e l’equilibrio; lasciò cadere l’asta e schizzò, più veloce di questa, giù nel vuoto con un mulinello di braccia e gambe. La piazza e la folla sembrarono il mare quando è investito dalla tempesta: tutti fuggivano da tutte le parti, ma poi si ritrovavano a calpestarsi, e ciò soprattutto là dove stava per schiantarsi il corpo.

Zarathustra invece rimase fermo, e proprio accanto a lui venne a cadere il corpo, malridotto e spezzato ma non ancora morto. Dopo un momento, lo sfracellato riprese coscienza, e vide Zarathustra inginocchiarsi accanto a lui. «Che cosa fai tu qui?» disse infine; «sapevo da un pezzo che il diavolo mi avrebbe dato lo sgambetto. Ora mi trascina all’inferno: vuoi forse impedirglielo?»

«Sul mio onore, amico» rispose Zarathustra «niente di quello che dici esiste: non esiste il diavolo e non esiste l’inferno. La tua anima morirà prima ancora del corpo: non aver dunque più paura di niente!»

L’uomo guardò Zarathustra con diffidenza. «Se tu dici la verità» disse poi «allora io perdendo la vita non perdo niente. Non sono molto più di un animale a cui è stato insegnato a ballare, a forza di bastonate e di bocconi striminziti».

«Ma no» disse Zarathustra «tu hai fatto del pericolo il tuo mestiere, e in ciò non c’è nulla da disprezzare. Ora perisci per il tuo mestiere: per questo ti seppellirò con le mie mani.»

Quando Zarathustra ebbe detto ciò, il moribondo non rispose più; ma mosse la mano, come cercando la mano di Zarathustra per ringraziarlo.

Frattanto si andava facendo sera e la piazza del mercato veniva avvolta dall’oscurità: allora la folla si disperse, giacché anche la curiosità e la paura si stancano. Zarathustra invece rimase seduto a terra accanto al morto, sprofondato nei suoi pensieri: e così non si accorse del tempo che passava. Ma alla fine si fece notte, e un vento freddo si mise a soffiare sul solitario. Allora Zarathustra si alzò e disse al suo cuore:

In verità, una bella pesca ha fatto oggi Zarathustra! Non ha preso nessun uomo, sibbene un cadavere.

Un mistero inquietante è l’esistenza umana e ancor sempre senza senso: un buffone può esserle fatale.

Voglio insegnare agli uomini il senso del loro essere: che è il superuomo, il fulmine che scaturisce dall’oscura nube uomo.

Ma ancora sono lontano da loro, e quel che io sento non parla ai loro sensi. Per gli uomini io sono ancora qualcosa di mezzo tra un pagliaccio e un cadavere.

Oscura è la notte, oscure sono le vie di Zarathustra. Vieni, freddo e rigido compagno! Ti porterò in un luogo dove ti seppellirò con le mie mani.

Detto che ebbe ciò al suo cuore, Zarathustra si caricò il cadavere sulle spalle e si mise in cammino. Ma non aveva fatto ancora cento passi che un uomo gli si accostò di soppiatto e prese a sussurrare al suo orecchio — e, guarda, colui che parlava era il buffone della torre! «Va via da questa città, Zarathustra» disse; «troppi qui ti odiano. Ti odiano i buoni e giusti, chiamandoti loro nemico e disprezzatore; ti odiano i seguaci della fede verace, chiamandoti il pericolo della moltitudine. È stata la tua fortuna che si sia riso di te: e veramente, hai parlato come un buffone. È stata la tua fortuna che tu ti sia accompagnato a questo cane morto; abbassandoti così, per oggi ti sei salvato. Ma va via da questa città — o domani salterò al di sopra di te, un vivo al di sopra di un morto.» E detto ciò, l’uomo sparì; ma Zarathustra continuò a camminare per i vicoli bui.

Alla porta della città incontrò i becchini: essi gli fecero luce in viso con la fiaccola, riconobbero Zarathustra e lo schernirono molto. «Zarathustra porta via il cane morto: ma bravo, Zarathustra si è fatto becchino! Perché le nostre mani sono troppo pulite per questo arrosto. Vuole forse Zarathustra rubare al diavolo il suo boccone? Ebbene, buon prò! E buon appetito per il pranzo! Purché il diavolo non sia miglior ladro di Zarathustra! Purché non li rubi entrambi, non li divori entrambi!» E sghignazzavano tra loro, celiando e confabulando.

… Dopo di ciò Zarathustra camminò per altre due ore, confidando nel sentiero e nel chiarore delle stelle: per abitudine era infatti nottambulo e amava guardare in faccia le cose che dormono. Ma quando cominciò ad albeggiare, Zarathustra si ritrovò nel profondo di una foresta, in cui non si vedeva più alcun sentiero. Allora depose la morte nella cavità di un albero, all’altezza della sua testa — volendo proteggerlo dai lupi — e si stese egli stesso per terra, sul muschio. E subito si addormentò, col corpo stanco ma con l’anima immota.

Zarathustra dormi a lungo, e non solo l’aurora passò sopra il suo viso, ma anche la mattinata. Alla fine però riaprì gli occhi. Guardò meravigliato la foresta e il silenzio, guardò meravigliato in se stesso. Poi si levò di scatto, come un navigante che scorga a un tratto la terra, ed esultò: giacché aveva scorto una verità nuova. E così parlò allora al suo cuore:

Mi si è fatta luce dentro: ho bisogno di compagni e di uomini vivi — non di compagni morti e di cadaveri da portare con me dove voglio.

Ma di compagni vivi, ho bisogno, che mi seguano perché vogliono seguire se stessi — e là dove io voglio.

Il grande filosofo Jean-Luc Nancy, quando morì, lasciò solo un biglietto con scritto “Portatemi con voi”, non pregate per me, non andate alla mia tomba,ma portatemi con voi.

Il passato non è semplicemente un cimitero, il passato DIPENDE DA NOI. Esercitiamo responsabilità verso il futuro, ma anche rispetto al passato. Ogni volta che andiamo avanti risignifichiamo e attingiamo al nostro passato, lo “poetiamo con noi.

PS: come mai c’è un odierno dilagare (si vede nella pratica clinica) di disagi legati alla malinconia? Ovvio  che il lutto malinconico è una patologia, ma evidenzia anche una verità: l’oggetto perduto è davvero insosituibile…

sabato 21 ottobre 2023

QUALCOSA DI BUONO (IN MEZZO ALLA MERDA)

 Ammetto che dell’affaire Giambruno-Meloni non volevo proprio occuparmene a parte qualche facile battuta sulla famiglia tradizionale e orpelli connessi. Ma scrivo due righe solo per sottolineare un aspetto a mio parere molto positivo che non mi sembra sia stato evidenziato, nel gran rumore e chiacchiericcio che circondano la notizia.

Giorgia Meloni in questi mesi ha fatto da scudo a diverse esternazioni dei suoi fedelissimi che certo si contengono parecchio, ma alla fine non possono fare a meno di vomitare qualche sprazzo della loro subcultura volgare, machista e patriarcale. Ha coperto La Russa, Lollobrigida, consiglieri comunali e regionali, Giambruno con le sue esternazioni in trasmissione, perfino quel mostro di plastica della Santanchè eccetera - senza dimenticare la sua solida alleanza con Orban  (“troppe donne laureate distruggono la nostra cultura”, “le donne devono stare a casa a fare più figli”, “le donne prima di abortire devono ascoltare il battito del feto” ecc,) e Trump (di cui non cito niente, non è necessario). [osservo per inciso che l’unico che mi sembra abbia tenuto comportamenti civili sulle tematiche culturali, di genere e di convivenza civile è stato Crosetto e onore a lui per questo, pur ovviamente nell’ambito di una cultura conservatrice e di destra]. Ho sempre avuto un senso di nausea a leggere queste notizie.

La novità di quest’ultima vicenda è che per la prima volta, nell’ambito della destra, sento levarsi una voce autorevole di condanna e scandalo per questi comportamenti e di questo do atto al coraggio di Giorgia Meloni. Speriamo sia un trend che vada consolidandosi nel tempo. Per il resto, solidarizzo con la Meloni non tanto sulle strumentalizzazioni alla sua sicuramente dolorosa vicenda personale (mi sembra che le strumentalizzazioni non siano state numerose) visto che lei stessa ha sbandierato ripetutamente al vento i suoi (ipocriti) valori. Solidarizzo invece al pensiero che anche lei avrà che quella bella bambina bionda tra qualche anno ritroverà sul web i comportamenti e le esternazioni del suo (forse amato) papà e a come potrà essere aiutata ad elaborarle.

L’intellighenzia di sinistra da salotto televisivo e non che ironizza sulla vita privata di Giorgia Meloni mi fa schifo. Sarei clinicamente interessato a verificare le situazioni affettive di coloro che si permettono di sparare giudizi. Piuttosto Meloni dovrebbe avere il coraggio di dedurre le conseguenze politiche di quello che sta dolorosamente vivendo abbandonando una rappresentazione retoricamente patriarcale della famiglia.

Post FB di Massimo Recalcati

Molto più caustica di me Chiara Valerio su Repubblica

Il presepe infranto di Meloni e Giambruno non sarebbe di alcun interesse politico se non rivelasse la triste finzione sulla quale si fonda questo governo. Questa distanza tra dire e fare, tra sé privato e sé pubblico, dimostra che non sono in grado, nemmeno in casa loro, di vivere come dicono si debba vivere per essere bravi, buoni e giusti cittadini e cittadine, e dunque ripetono parole e propongono forme di vita in cui non credono e legiferano su argomenti che per loro stessi sono improponibili. La vita privata di chi governa smentisce post dopo post, azione dopo azione, le parole di chi governa. Non somigliano a ciò che dichiarano, somigliano invece a noi che ogni giorno ci confrontiamo coi nostri tentennamenti sentimentali, morali e logici.

Mentre la sua solita realistica ironia prevale in Michele Serra (Amaca su Repubblica)

In seguito alle note vicende che hanno portato a un reimpasto in casa Meloni, ci si domanda se tra il radical-chic e il burino non si possa individuare una dignitosa via di mezzo che possa finalmentre riunificare l’Italia. Tra il mangiare con l’argenteria sfogliando cataloghi del Bauhaus e toccarsi ogni due minuti il pacco vantandosi del ciuffo e importunando le signorine, si individui per favore una terza viae la si imbocchi con unanime buona volontà.

Perdiradare gli equivoci già in partenza: la terza via non è sfogliare i cataloghi del Bauhaus toccandosi il pacco. Consiste nel darsi quel minimo di misura, di aplomb, di riserbo che potrebbe consentire a tutti di convivere un po’ più decentemente.

Alla destra frescona (il cui leader indiscusso in questi guorni non è più Pino Insegno ma l’ex-primo marito) non si chiede di diventare riflessiva e colta: sarebbe un orribile snaturamento. Ci va benissimo così: frescona, leggera, sempre di buon umore che tanto l’importante è la salute, mejo se con du’bucatini alla matriciana e un par de scarpe nove (spero che la citazione non sia troppo colta:Ettore Petrolini e Nino Manfredi)

La destra frescona è un antidoto alla nostra pensosa depressione, per carità non perda mai la sua innocenza. Le si chiede, banalmente solo se può essere un po’ meno cafona. Non si pretende che leggano Musil, solo che non si aggiustino le balle mentre parlano. In fondo è poco. Ce la possono fare.









venerdì 20 ottobre 2023

NON ANDRÀ MAI BENE

 Ho sentito stasera al Tg7 Biden che parlava in conferenza stampa con Netanhayu. Ovviamente sopra c’era la traduzione in italiano ma per la lieve distonia che c’è sempre ho sentito un pezzettino dell’originale in inglese pronunciato da Biden. In italiano “so che non è stata Israele” (a bombardare l’ospedale di Gaza), in inglese Biden ha detto “I know it wasn’t your team”. Team? Team! TEAM🤮. Ma come cazzo parlano gli americani? Se hanno ragione i linguisti che dicono che chi parla male pensa male e che senza le parole per dirlo i pensieri non possono essere formulati……e non lo spazzacamino (con tutto il rispetto per gli spazzacamini) ma IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI. Un altro “team” ha bombardato un ospedale e fatto 500 morti. Non andrà mai bene…

lunedì 16 ottobre 2023

EQUIDISTANZA?

 (Non volevo scriverne. Scriverne mi procura fatica e dolore, un senso di inutilità e di impotenza, una mancanza di senso, una impacciata vergogna. Ma sono arrabbiata, molto arrabbiata, delusa, piuttosto avvilita. Scriverne non mi darà sollievo, ma segnerà un punto, così i pensieri non continueranno a frullare incontrollati).

Ho incrociato opinioni e commenti sulla guerra (guerra? Sì, sembra proprio una guerra, una delle tante del conflitto tra palestinesi e israeliani, con contorno di Iran, Egitto, Paesi Arabi, USA, Russia, ONU… perfino ora le vuote parole del ministro cinese) che mi hanno fatto arrabbiare e che mi hanno fatto rabbrividire.

Cosa mi ha fatto arrabbiare? Al solito, le balle spaziali di coloro che per ideologia o per calcolo sparano affermazioni grossolanamente false. Le balle più spaziali riguardano la negazione delle atrocità della notte in cui Hamas ha aggredito gli ebrei (dico ebrei perché Hamas ha sempre sostenuto che il suo fine è di eliminare tutti gli ebrei, non solo lo Stato d’Israele, e la differenza non è sottile, ma ha spessore per interpretare quello che succede)  - loro stessi si sono efficacemente filmati mentre le compivano. Altre balle meno spaziali, ma subdolamente altrettanto pericolose, riguardano l’esagerazione e il voyeurismo parossistico di quelle stesse atrocità da parte di un giornalismo non degno di essere definito giornalismo e i ridicoli richiami allo “storico territorio palestinese” (non è mai esistito uno Stato palestinese, prima della prima guerra mondiale c’era l’Impero Ottomano e una popolazione arabo-musulmana in lotta tra di loro fra sciiti e sunniti. Nel 1948 abitavano l’attuale territorio circa 1 milione di Arabi musulmani, circa 150,000 arabi cristiani e circa 700.000 ebrei. Oggi abitano il territorio di Israele circa 10 milioni di abitanti , di cui circa 7 milioni di israeliani e circa 2,5 milioni di arabi israeliani. Rispetto ai palestinesi la stima - si parla di stima perché nella strisca di Gaza il sistema anagrafico praticamente non esiste, presso l’Autorità Palestinese il sistema anagrafico è sistematicamente gonfiato per avere più aiuti internazionali e nei campi profughi dislocati in Giordania, Libano e Siria solo in Giordania ai profughi sono riconosciuti i diritti civili - è di circa sei milioni). Interessante è anche la polemica che verte sulla scelta di molti media internazionali di non definire “terrorista” Hamas, dimenticando che tutti questi media argomentano che il terrorismo è solo uno degli elementi che definiscono Hamas, che è molto di più di una semplice organizzazione terroristica, ma un movimento che trova nella fanatica interpretazione di una religione belligerante e nelle relazioni e nei finanziamenti internazionali una dimensione istituzionale e geopolitica che non ne fa un gruppuscolo, ma un movimento che spinge per la guerra.

Cosa mi fa rabbrividire? Mi fanno rabbrividire tutti coloro che con analisi tutte contenenti elementi di verità affrontano però la situazione dalla prospettiva “o noi o loro”, che è la prospettiva dell’annientamento di un campo o dell’altro come soluzione finale. Non so come, ma tanti non si rendono conto di quello che vanno sostenendo, da una parte e dall’altra. È una prospettiva per me folle e inaccettabile.

E veniamo all’equidistanza. Personalmente, odio l’equidistanza, a mio parere solo uno strumento dietro al quale si celano coloro che non vogliono dire da che parte stanno per seminare zizzania liberamente senza dover dimostrare ciò che affermano o semplicemente coloro che se ne fregano. Io non sono equidistante, sto dalla parte di Israele perché non potrei mai stare dalla parte di chi usa (e addirittura apertamente teorizza) lo stupro come arma di guerra. Ma proprio perché sto dalla parte di Israele credo sia necessario definire i contorni di questa guerra e affermare che Hamas non è il popolo palestinese e che anzi Hamas è il peggiore nemico del popolo palestinese. Che Hamas usa il popolo palestinese come scudo umano, che non ha mai fatto niente per il popolo palestinese, perché avrebbe dovuto comprare dissalatori per l’acqua potabile, invece di armi, perché avrebbe dovuto implementare una politica di contenimento delle nascite in un paese ad altissima densità demografica invece che incitare a creare nuovi combattenti islamici, perchè avrebbe dovuto mostrare il popolo palestinese per quello che è, povera gente perseguitata da tanti decenni, divisa in tante piccole patrie inospitali, ostili e pericolose, vittima di apartheid da parte di un popolo che a sua volta di apartheid se ne intende parecchio e di una spirale di paura che deve, DEVE essere spezzata. Io non ti ammazzo, tu non mi opprimi e mi ammazzi. Israele ha diritto alla difesa, ma non all’annientamento. Israele è oppressore perché  Hamas è terrorista, Hamas è terrorista perché Israele è oppressore, anzi, diciamola meglio, l’oppressione di Israele (e la corruzione di Fatah) ha dato molto spazio e credito ad Hamas tra il popolo palestinese. E nessuno usi la stupida argomentazione che in guerra bisogna ricompattarsi e non criticare la propria parte: qui si tratta di capire contro chi o che cosa combattiamo e con quali limiti e prospettive.

Se non si spezza la spirale, non c’è speranza.  Ci sono refoli di speranza e realtà che bisogna cogliere. L’80% degli abitanti di Gaza vive di aiuti umanitari e gli aiuti umanitari vengono in gran parte dall’odiato Occidente (per non parlare degli ospedali).  In Israele molte voci anche estremamente lucide, efficaci ed autorevoli (purtroppo si è taciuta l’amorevole e potente voce di Bull, ma è rimasta la dolente e netta voce di Grossman) potrebbero alzarsi se il terrorismo non le azzittisse imponendo la sua realtà di violenza e paura. Nonostante la chiamata alla sollevazione dei palestinesi fuori dalla striscia di Gaza, insistentemente chiamata da Hamas, non c’è stata mobilitazione di massa, ma solo i soliti attentati di cellule dormienti. Cina e Iran abbaiano parecchio, ma hanno i loro guai e dei palestinesi non gliene frega niente. Gli altri Stati arabi compartecipano con Israele a quello che Amnesty ha chiamato (secondo me giustamente) l’apartheid del popolo palestinese (comprensibilmente non vogliono terroristi nel loro stesso paese).

Ma là nelle loro moschee e nelle loro sinagoghe salmodiano maschi che vogliono l’annientamento reciproco. E dappertutto, anche da noi, scrivono e parlano, in un mix di balle ed ipocrisie, uomini e donne accecate dall’odio, dall’ideologia e dall’intolleranza, incuranti di credere ai propri occhi e alla storia. A nessuno di loro dobbiamo cedere. 

“Ti solleverò tutte le volte che cadrai”

(Rileggo a distanza di soli cinque giorni questo post e mi rendo conto della misera inadeguatezza di queste parole di fronte a quello che succede, a tutto il dolore e la distruzione che stanno avvenendo, con l’evidente prevalenza al momento della linea o noi o gli altri. Mi consolerebbe leggere parole più adeguate, ma non ne ho trovate…)

mercoledì 11 ottobre 2023

QUEGLI ALTRI NEL NOME DI DIO

 Nel 1967 avevo tredici anni. Ricordo ancora Arrigo Levi, conduttore del telegiornale (uno solo; il TG2 arriverà nove anni dopo), che annuncia lo scoppio repentino della guerra dei Sei Giorni. Subito scese, in famiglia, quell’atmosfera di gravità che percepisci anche quando non sei ancora abbastanza grande per valutare fino in fondo il calibro della notizia. Guardi le facce degli adulti e capisci solo che la Storia si sta facendo, e disfacendo, esattamente in quel momento, come quando Cuba diventò la miccia che si temeva non potesse essere più spenta, come quando spararono a John Kennedy, come quando l’uomo mise piede sulla Luna, come quando le Brigate Rosse rapirono Moro.


Qualcuno, più esperto o più coinvolto di me, saprà sicuramente spiegare che cosa è cambiato, da allora, tra israeliani e palestinesi, e nello scenario internazionale che attorno a quel conflitto si dispiega, che lo arma e lo influenza. Ma nella mia percezione “Israele” e “Palestina” sono ancora rimaste quella stessa identica cosa; è come se i loro nomi facessero sempre lo stesso suono di quel telegiornale di più di mezzo secolo fa. Sono i due elementi di un problema insolubile, due pezzi non combaciabili eppure costretti l’uno contro l’altro, uno yin e uno yang disegnati da un incapace, destinati a non essere mai complementari.”
Dei grandi conflitti novecenteschi in mezzo ai quali sono cresciuto (Usa/Urss, capitalismo/comunismo, borghesi/operai, morale cattolica/libertà sessuale, e scendendo nel dettaglio geografico la guerra civile tra protestanti e cattolici in Irlanda del Nord, le bombe dell’Eta contro la sovranità spagnola, l’irredentismo sudtirolese contro la sovranità italiana) non ne rimane in piedi neppure uno. Si sono evoluti, o dissolti, o stemperati, o addirittura risolti. Israele/Palestina no, è come se quel nodo non appartenesse alla trama della Storia, fosse una specie di maledizione biblica in luoghi biblici.

Semmai, a peggiorare la situazione – con una battuta da miscredente: a renderla sempre più biblica – è la progressiva radicalizzazione religiosa delle due parti. Il prevalere dell’islamismo di Hamas tra i palestinesi, del nazionalismo ortodosso tra gli israeliani. I fanatici religiosi sono al governo in Israele e i fanatici religiosi indirizzano l'attacco di sabato nella striscia di Gaza. Sequestrano la scena a tutti gli altri e indirizzano la trama secondo il loro unico desiderio, che è annientare l’infedele. L’identità confessionale diventa irriducibile e furibonda. La distruzione del nemico una missione per conto di Dio.
Mi concedo questo pensiero. Il conflitto tra israeliani e palestinesi è la conferma del peso nefasto che il fondamentalismo religioso esercita nelle vicende umane. Non è la sola tara, il solo vizio che l’umanità si porta addosso, né, come è ovvio, il solo motore di quel feroce corpo a corpo tra due popoli. Ma è quello più indecente e più incivile. Dove vince la teocrazia (che vorrebbe dire, etimologicamente, dominio di Dio, nei fatti significa dominio di fanatici religiosi), sistematicamente perdono la libertà e la ragione. Così come esistono gli indiavolati, esistono gli indiati, ed è una forma di possessione ugualmente mortifera, con l’aggravante che in genere è socialmente accettata. 

L’imam feroce, il rabbino invasato, il reverendo pazzo non vengono additati, nei loro ambienti, come nemici da emarginare, o sobillatori ignobili: peccato, perché lo sono.
Solo un eventuale governo di atei o di agnostici (israeliani e palestinesi), conquistando il potere di qui e di là, potrebbe aprire una fessura di speranza in quel macigno di odio. Ma voi capite: è pura fantascienza. Non essendo gli atei e gli agnostici depositari di alcun potere politico e di alcun seguito popolare, Israele e Palestina continueranno a essere, in eterno, il nome della sconfitta di entrambi.

(Michele Serra, post di OK BOOMER, il Post, 9 ottobre 2023)

Strage degli innocenti. Il terrore di Hamas nel nome di Dio



sabato 7 ottobre 2023

EUROPA

Che cosa significa la parola Europa, da dove nasce?

Europa innanzitutto è una donna, è una asiatica e questa è una cosa su cui dovremmo riflettere - Europa è asiatica. È la nostra grande Madre, una donna benedetta dagli Dei perché il capo degli dei si fa carne in lei e anche ha a che fare con il Mediterraneo perché altrimenti nel mito greco non avremmo assistito a questo leggendario trasloco di una donna sulla groppa di un toro verso un’isola dell’Occidente. Questo ci dice molte cose, che, in traslato, la terra Europa è una terra che non è separabile dall’Asia, che ha visto quasi sempre le popolazioni che l’hanno formata venire da Oriente, che ha il Mediterraneo come suo centro naturale, e che è una gran terra, una terra benedetta da Dio perché voi, da qualsiasi parte arriviate, in Europa vedrete che improvvisamente il verde è visibile dal finestrino del vostro aeroplano. 

Prima avevi soltanto terre sterminate, non misurabili, lontanissime dal mare, in cui il colore giallo, o il colore bruno, trionfano. L’Europa è una terra fertile e quando io racconto ai miei nipotini cosa è l’Europa (questo l’ho fatto anche con l’Orchestra Giovanile Sinfonica Europea con la quale collaboro come voce narrante) dico ai miei nipotini che l’Europa è il proseguimento dell’Asia, che è una terra fortunata, una terra che ha il mare dappertutto, una terra piena di acqua, di monti, di fiumi, di città, un luogo misurabile, dove da un campanile vedi un altro campanile e da una montagna vedi un’altra montagna. Non è quello sterminato nulla che è la Piana Sarmatica che porta verso Mosca e oltre, o la Siberia. 

Ecco, quindi, trovo che noi si abbia completamente perso il senso dolce dell’appartenenza a questa patria comune dove il muezzin e il campanile possono vedersi da vicino, dove le diverse religioni si incontrano, dove tutto sommato tu puoi rincasare la sera senza essere aggredito o senza essere portato via dalla polizia per qualcosa che hai detto. Queste cose i miei nipotini le capiscono ed è una cosa che secondo me è avvertibile da chiunque se ne va dall’Europa. Come ti allontani, questa radice si consolida in te. È la lontananza che genera il desiderio di Europa, così come lo genera in questi migranti, ed Europa in questo suo passaggio avventuroso in groppa a un toro sul Mediterraneo è a tutti gli effetti una migrante, anzi lei è la capostipite di tutte le migranti.  Nella paura di questa ragazza aggrappata alle corna di questo toro tu vedi gli stessi occhi delle migranti africane o siriane che cercano di attraversare il mare.”

(Paolo Rumiz intervistato da Mario Calabresi, podcast Altre Storie, episodio 18 “Da Sarajevo a Mariupol, la lezione da imparare”, caldamente raccomandato)

“L’etimologia della parola Europa è incerta, forse deriva dall’antico fenicio, ereb (occidente), ma il fonema eu a inizio di parola ci trasporta a immaginare qualcosa di buono e positivo.

Così anche nella mitologia greca la discendenza di Europa è incerta: Esiodo la vuole figlia di Teti e Oceano, nell’Iliade è detta figlia di Fenicio, mentre per Erodoto era principessa di Tiro e figlia del suo re Agerone. Qualunque sia la sua famiglia, il mito racconta che un giorno Europa stava giocando sulla spiaggia quando fu notata da Zeus che se ne invaghì. Per prendere la ragazza, Zeus chiese ad Ermes di far muovere una mandria sulla spiaggia e, assunte le sembianze di un toro bianco si frammise tra i bovini e si avvicinò. Europa sorpresa dalla mansuetudine dell’animale, quando questo le si accucciò accanto, gli salì in groppa. Così Zeus potè rapire la fanciulla galoppando verso il mare che attraversò sempre in forma di toro per giungere fino all’isola di Creta dove forse con altro espediente vinse le resistenze della ragazza. Nacquero così i tre figli di Europa, Minosse, futuro re di Cnosso, Radamante, poi giudice nell’aldilà, e Sarpedonte, forte alleato di Troia. Prima di lasciare Europa, Zeus le fece tre doni: un fedele cane, un colosso di bronzo che proteggesse Creta e un giavellotto infallibile. Europa avrebbe quindi sposato il re di Creta, Asterio. Nel mentre i fratelli di Europa si affaticarono nella ricerca della sorella, mai trovandola, ma fondando numerose altre colonie nel Mediterraneo.”

Brutto, a pensarci con la sensibilità di adesso, ma dalla storia sembra che Europa sia stata vittima di un inganno, di un rapimento e di uno stupro ripetuto (anche questo la accomuna alle migranti di oggi). Non molto beneaugurante, anzi per niente. Però la narrazione di Rumiz è affascinante.


mercoledì 4 ottobre 2023

CATTIVI PENSIERI


 Stamattina verso le 8, scesa dalle scale appena uscita dal letto con il mio pigiamino azzurro e grigio e come sempre parecchio rintronata, entro in cucina per versarmi il provvidenziale caffè mattutino. La cucina è già abitata da ore dall’insonne marito, il caffè è nella moka e come ogni mattina la televisione è accesa su Rainews24. Appena metto piede in cucina, la notizia “I paesi della NATO sono preoccupati per gli arsenali ormai in carenza di munizioni da inviare in Ucraina e molti hanno preso provvedimenti per intensificare la produzione di munizioni”. Repentinamente, con la mia tazzina in mano, ho pensato (e ho anche avuto la sensazione fisica) che siamo prigionieri della follia, non importa se collettiva o di pochi a questo livello di ragionamento, siamo topi in trappola a reiterare comportamenti che sappiamo folli, ma sembra senza alternative. Chissà se quegli uomini e quelle donne “alacremente” impegnati a costruire munizioni pensano mai che a quelle munizioni corrispondono case, strade, persone (sogni) improvvisamente distrutte; chissà se hanno mai come me la sensazione di essere topi in trappola, costretti a girare sempre a vuoto. Impreco sottovoce e, rivolgendomi a Roberto, la metto così “Com’è che il caffè stamattina non ha il solito buon sapore?”. In realtà parlavo della vita, non del caffè…


PS Ho scritto questo post solo tre giorni fa, ma ieri Hamas ha deciso di aggredire Israele scatenando di fatto una pericolosissima guerra senza senso. E i topi continuano a girare a vuoto, ma sempre più freneticamente. Mi tappo le orecchie per non sentire il rumore assordante che generano. 

venerdì 15 settembre 2023

ELLY O NON ELLY

 

Elly o non Elly

domenica 3 settembre 2023

FOLLE

 C'era una volta una giovane donna che urlava alle folle: “Elimineremo le accise, perché quando vado a fare 50€ di benzina, io non voglio darne la metà allo Stato. Io non voglio pagare questo pizzo".

Le folle, a loro volta applaudivano e urlavano:

"Si brava, basta più tasse, è te che vogliamo".

Nella piazza successiva, la giovane urlatrice, aizzava sempre più chi la stava ad ascoltare: "Basta migranti, faremo il blocco navale. Se ne stiano a casa loro e se vogliono, vengano in aereo".

Le folle, ancora una volta applaudivano e urlavano:

"Si brava, basta più migranti, è te che vogliamo".

Oramai l'urlatrice aveva ben compreso che le folle volevano le sue parole, quindi nella piazza dopo continuò urlando: "1000 euro a tutti e subito, con un click. Bisogna aiutare chi ha bisogno".

Le folle, oramai entusiaste applaudivano e urlavano:

"Si brava,1000 euro a tutti, è te che vogliamo".

La giovane urlatrice era oramai inarrestabile (i suoi un po' meno, perché nel frattempo qualcuno finiva ammanettato) e continuava a urlare: "basta con questa Europa, basta con la legge Fornero, basta con l'agenda Draghi..."

Le folle erano in delirio, applaudivano sempre più e urlavano:

"Si brava, basta, basta, basta! E te che vogliamo".

Così la giovane donna fu eletta e divenne il capo.

e le folle, adesso, urlano: “E quindi?"

La giovane donna -che nel frattempo era divenuta IL presidente- urlò alle folle: "Datemi tempo, un conto è fare opposizione e dire e urlare, un altro è fare".

E le folle? Continuano ad applaudire e urlare:

"Si brava, più tempo! Più tempo! È te che vogliamo".

Folle... vero?

Attilio Ela Durante da FB



venerdì 1 settembre 2023

APPUNTI DI VIAGGIO: SCORCI DI TEDESCHI

 Di ritorno da un bel viaggio di dieci giorni in Germania (Berlino, mar Baltico isola di Rügen, Lubecca, Amburgo, Potsdam, Cottbus Schloss Branitz, Berlino) capita di ricordare gli aneddoti di viaggio che, come é ovvio, riguardano i tedeschi. 

Ora, i tedeschi non sono uno dei popoli che si nominerebbe nella classifica dei più simpatici, sia per carattere nazionale (sono chiusi, felpati, difficilmente acchiappabili) sia soprattutto dopo la visita ai musei di Berlino (abbiamo visto il DDR Museum sulla vita nella DDR, il Topographie des Terrors che racconta la storia, l’ascesa, l’ideologia e le azioni del nazismo e soprattutto lo straordinario Jewish Museum che tenta di narrare l’inenarrabile, le atrocità, l’Olocausto di sei milioni di ebrei, mezzo milione di gipsy e rom, duecentomila oppositori politici) che implacabilmente, con dettagliata e dolorosissima durezza, narrano di un popolo completamente avvolto nella follia, nella violenza, nell’inimmaginabile crudeltá,coinvolto e complice, protagonista.

Nel nostro viaggio abbiamo incontrato Michael e sua moglie Sissy (ugandese) che ci hanno invitato a cena una sera a Berlino in un ristorante quasi eccessivamente lussuoso. Michael é un vecchio cliente di Roberto con cui ha lavorato a lungo e sono diventati amici, tanto che anni fa li abbiamo invitati a cena (c’era con loro il bambino di Sissy, splendido) a casa nostra ed é stata una serata veramente piacevole. Altrettanto piacevole la cena a Berlino in cui abbiamo parlato di Uganda e di nuovi progetti, di cibo e affetti. Roberto ed io eravamo particolarmente rilassati dopo dieci giorni di bella vacanza e abbiamo riso e scherzato. Certo, le battute partivano principalmente da noi, ma i due sono stati allo scherzo, hanno riso più che volentieri. Siamo stati bene. Certo, loro non sono proprio i tedeschi medi, ma Michael é evidentemente tedesco fino al midollo ed é un uomo gentile e una brava persona.

Vorrei raccontare due altri episodi che ovviamente non fanno statistica, ma qualcosa narrano.

Il primo episodio ci é capitato all’isola di Rügen, il giorno dopo il nostro arrivo. Prenotiamo on line il viaggio in barca che ci avrebbe portato alle famose scogliere di gesso. Arriviamo sul posto con un’ora di anticipo e ci mangiamo la prima mezz’ora strolicando da dove partiva il battello. Il luogo era attrezzato per i turisti ma i turisti erano tutti tedeschi, quindi tutto era indicato solo in tedesco (e noi ne abbiamo una conoscenza elementare) e ci siamo accorti lì subito il primo giorno che la maggior parte dei tedeschi non parla l’inglese (contrariamente a quello che si pensa). Poi abbiamo cercato il parcheggio per la macchina e ne abbiamo trovato uno abbastanza vicino al molo, piccolo, ma con un posto libero.  Qui é iniziato il calvario. Il parcheggio si paga ad una macchinetta con istruzioni solo in tedesco che non riusciamo a decifrare. Arriva una signora che paga rapidamente la sua sosta (la prima ora era automatica, il casino era impostare la sosta per le tre ore che ci servivano). Roberto chiede aiuto alla signora e qui primo miracolo della giornata: la signora (in compagnia di un’amica) parla perfettamente l’inglese e ce ne siamo accorti quando ha cominciato ad inveire in inglese perché non riusciva ad impostare il tempo di sosta che ci serviva (l’amica intanto cominciava ad innervosirsi…). Dopo diversi tentativi ci é riuscita, ma un altro ostacolo ci attendeva: la macchinetta malefica e dispettosa non accettava la nostra carta di credito. Prova e riprova niente. Proviamo a vedere se avevamo abbastanza monete (la macchinetta accettava solo le monete) ma non abbiamo dieci euro in moneta. E mancavano dieci minuti alla partenza del battello! Ormai sull’orlo del crollo nervoso chiedo alla gentile signora se puó usare la sua carta di credito e noi le diamo dieci euro in contanti. La signora accetta sorridente e facciamo. L’avrei baciata: ha sprecato mezz’ora del suo tempo ad aiutare due sconosciuti stranieri ed imbranati (e la sua amica era molto innervosita).

Se abbiamo preso il battello? Sì, dopo una corsa a perdifiato (il molo era lungo almeno 500 metri) con Roberto lanciato sulle sue lunghe gambe che mi ha preceduto allungando “Tratterrò la barca, non li lascerò partire senza di noi”. Quando sono arrivata senza più fiato il marinaio che controllava i biglietti mi ha guardato un po’ canzonatorio “No need to hurry, Ma’am”. Siamo partiti dieci minuti dopo e le scogliere erano bellissime.

Il secondo episodio ci é capitato alla Rathaus (municipio, ma anche sede del Governo in quanto Amburgo é una città Stato e la Germania é una Repubblica Federale) di Amburgo, bell’edificio con una storia molto interessante raccontata da una guida (essendo sede operativa di Governo e Parlamento si gira solo con le guide): ragazza tedesca molto entusiasta dall’eccellente inglese - bella visita. Mi ha fatto pensare però un particolare: ha raccontato tutta la storia dell’edificio e della forma di governo come una storia evidentemente propria, del proprio popolo. Ad un certo punto però “quando sono arrivati i nazisti hanno fatto coprire con una mano di bianco gli affreschi della sala del Parlamento perché a loro non piacevano i fronzoli e hanno fatto tirare  via tutte le postazioni dei parlamentari perché loro non avevano bisogno di rappresentanti eletti”. Sono arrivati i nazisti, “loro”, come un’invasione dall’esterno, come se non fossero tedeschi, come solo una parentesi di una storia altrimenti tedesca. Ci ha fatto pensare.

Conclusioni? Nessuna, ovvio, tranne l’ennesima prova dell’estrema complessità di cui siamo circondati.