Nel 1967 avevo tredici anni. Ricordo ancora Arrigo Levi, conduttore del telegiornale (uno solo; il TG2 arriverà nove anni dopo), che annuncia lo scoppio repentino della guerra dei Sei Giorni. Subito scese, in famiglia, quell’atmosfera di gravità che percepisci anche quando non sei ancora abbastanza grande per valutare fino in fondo il calibro della notizia. Guardi le facce degli adulti e capisci solo che la Storia si sta facendo, e disfacendo, esattamente in quel momento, come quando Cuba diventò la miccia che si temeva non potesse essere più spenta, come quando spararono a John Kennedy, come quando l’uomo mise piede sulla Luna, come quando le Brigate Rosse rapirono Moro.
Qualcuno, più esperto o più coinvolto di me, saprà sicuramente spiegare che cosa è cambiato, da allora, tra israeliani e palestinesi, e nello scenario internazionale che attorno a quel conflitto si dispiega, che lo arma e lo influenza. Ma nella mia percezione “Israele” e “Palestina” sono ancora rimaste quella stessa identica cosa; è come se i loro nomi facessero sempre lo stesso suono di quel telegiornale di più di mezzo secolo fa. Sono i due elementi di un problema insolubile, due pezzi non combaciabili eppure costretti l’uno contro l’altro, uno yin e uno yang disegnati da un incapace, destinati a non essere mai complementari.”
Semmai, a peggiorare la situazione – con una battuta da miscredente: a renderla sempre più biblica – è la progressiva radicalizzazione religiosa delle due parti. Il prevalere dell’islamismo di Hamas tra i palestinesi, del nazionalismo ortodosso tra gli israeliani. I fanatici religiosi sono al governo in Israele e i fanatici religiosi indirizzano l'attacco di sabato nella striscia di Gaza. Sequestrano la scena a tutti gli altri e indirizzano la trama secondo il loro unico desiderio, che è annientare l’infedele. L’identità confessionale diventa irriducibile e furibonda. La distruzione del nemico una missione per conto di Dio.
Mi concedo questo pensiero. Il conflitto tra israeliani e palestinesi è la conferma del peso nefasto che il fondamentalismo religioso esercita nelle vicende umane. Non è la sola tara, il solo vizio che l’umanità si porta addosso, né, come è ovvio, il solo motore di quel feroce corpo a corpo tra due popoli. Ma è quello più indecente e più incivile. Dove vince la teocrazia (che vorrebbe dire, etimologicamente, dominio di Dio, nei fatti significa dominio di fanatici religiosi), sistematicamente perdono la libertà e la ragione. Così come esistono gli indiavolati, esistono gli indiati, ed è una forma di possessione ugualmente mortifera, con l’aggravante che in genere è socialmente accettata.
L’imam feroce, il rabbino invasato, il reverendo pazzo non vengono additati, nei loro ambienti, come nemici da emarginare, o sobillatori ignobili: peccato, perché lo sono. (Michele Serra, post di OK BOOMER, il Post, 9 ottobre 2023) |
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