venerdì 31 gennaio 2025

LA DISTANZA TRA DI NOI

 “Non racconti una storia solo a te stesso. C'è sempre qualcun altro. Anche quando non c'è nessuno.”

Margaret Eleanor Atwood

(newsletter di Mario Calabresi di oggi. Dice, o meglio le dice Colum McCann, cose di cui sono profondamente convinta da tempo. Ma le dice IMMENSAMENTE meglio di me)

La distanza più breve tra noi è una storia

di Mario Calabresi


«Le storie contano. Hanno il potere di cambiare il corso della Storia. Possono salvarci. Sono la colla che ci tiene uniti: senza storie non possiamo comunicare, e senza comunicazione non siamo nulla». Queste parole le ha pronunciate Colum McCann, scrittore irlandese americano autore di libri come “Questo bacio vada al mondo intero”, all’apertura del Giubileo della Comunicazione. Ero accanto a lui e il suo discorso sul potere salvifico delle storie mi ha incantato, mi è sembrato il manifesto perfetto per questa newsletter, per questo ve ne propongo alcune parti. McCann è anche il fondatore di “Narrative 4”, un’organizzazione globale no-profit che dà ai giovani il potere di creare cambiamenti attraverso il racconto e l’ascolto delle storie. «Abbiamo scoperto – ha spiegato - una formula semplice ma potente per avviare una trasformazione. Tu racconti la mia storia, io racconto la tua. In prima persona. Faccia a faccia». Una proposta che porta in giro per il mondo, partendo dai luoghi dove conflittualità e divisioni sono più aspre e profonde. 

Con Colum McCann in aula Paolo VI in Vaticano il 25 gennaio per il Giubileo del Mondo della Comunicazione. Con noi anche la premio Nobel per la pace Maria Ressa.

«Stiamo vivendo un’epoca straordinariamente umana e al contempo profondamente disumana. Da un lato, abbiamo raggiunto traguardi spettacolari nella scienza, nella medicina, nell’arte e nella tecnologia. Siamo in grado di connetterci istantaneamente gli uni con gli altri, di cogliere le sfumature delle vite altrui anche a grandi distanze. I nostri telefoni funzionano, i nostri interruttori rispondono, dai nostri rubinetti scorre l’acqua. I nostri satelliti orbitano. Le nostre medicine curano. Le macchine della nostra esistenza pulsano a un ritmo ininterrotto.
Eppure, nello stesso momento, questo progresso è accompagnato da un’epidemia di solitudine e isolamento. Spesso scegliamo di non ascoltarci. Chiudiamo le tende. Sigilliamo le finestre. Innalziamo barriere. Ci rifiutiamo di attraversare la strada per tendere una mano. Restiamo ancorati ai nostri angusti canali di certezze. Ci rifugiamo nel conforto impersonale dei nostri dispositivi, mentre gli spazi minuscoli che ci separano si dilatano sempre più con il trascorrere di ogni singolo istante. 
La tensione cresce. Si tende alle estremità, si tende...si tende...e si tende... finché, alla fine, avviene la rottura.

I tempi si spezzano. Ci troviamo ancora una volta a fare i conti con le stesse domande fondamentali: Come possiamo prevenire le guerre che minacciano di annientarci? Come possiamo contrastare gli effetti devastanti del cambiamento climatico? Come possiamo gestire le immense pressioni geografiche e sociali legate alla migrazione? Come possiamo imparare a riconoscerci e comprenderci l’un l’altro, nonostante le crescenti divisioni? E, soprattutto, come possiamo mettere al servizio della comunicazione e della comprensione reciproca la nostra indiscutibile genialità: la tecnologia, la medicina, l’intelligenza artificiale, la fede?


Un ritratto di Colum McCann (dal suo profilo Facebook)

Se il mondo è fatto di molecole e atomi, è anche fatto di storie. 
La distanza più breve tra noi non si misura in millimetri: è una storia. È attraverso le storie che ci connettiamo davvero. Le nostre vite si intrecciano. Le nostre idee risuonano. Ci alimentiamo reciprocamente. Creiamo nuova energia. 

Le storie contano. Hanno il potere di cambiare il corso della Storia. Possono salvarci. Sono la colla che ci tiene uniti: senza storie non possiamo comunicare, e senza comunicazione non siamo nulla.
Questo è ancora più vero quando ci prendiamo il tempo di comprendere le storie di chi sembra diverso o lontano da noi. Ci fermiamo. Ascoltiamo. Cresciamo, spingendoci oltre noi stessi. Il mondo, in fondo, è fatto delle storie degli altri, persino - e forse soprattutto -  di quelli che non conosciamo, o che non abbiamo ancora avuto modo di conoscere.

Chi può negare l’umanità di una persona dopo aver ascoltato la sua storia? Chi può lanciare un missile su un mercato dopo aver conosciuto la storia della donna che gestisce il banco della frutta? Chi può tollerare che i propri leader blocchino un camion carico di cibo di emergenza in una zona di guerra, dopo aver sentito la storia di un bambino che sta morendo di fame, al freddo e al buio? Chi può avere il coraggio di chiudere il cancello di confine in faccia a un ragazzo in sedia a rotelle che sta viaggiando per ricevere un trattamento salvavita?

Poniamoci questa domanda: Chi? Chi? Chi? E poi, prendiamoci un momento per riflettere sulla risposta. 
L'essenza del nostro attuale dilemma non risiede tanto nel silenzio, quanto nell'atto di zittire. Quando ci rifiutiamo di ascoltare le storie degli altri o, più dolorosamente, quando impediamo loro di raccontarle, o ancora peggio, quando cancelliamo del tutto quelle loro storie, il mondo si riduce a uno spettacolo di meschinità. Il nostro rifiuto di andare oltre noi stessi - o almeno oltre chi non ci somiglia, chi non parla come noi, chi non vota come noi - è il nucleo della nostra possibile rovina. Questa chiusura pericolosa ha il potere di annientarci. Come un'arteria ostruita, blocca il flusso vitale della nostra umanità. Il cuore si ferma. Non ci resta che confinarci nella prigione del nostro ego. Non riusciamo più ad amare il prossimo, perché abbiamo ridotto il concetto di “prossimo” alla nostra immagine riflessa. E quando non vediamo altro prossimo che noi stessi, perdiamo ogni significato che vada oltre il nostro sguardo solipsistico.

 

In "Apeirogon" McCann ha scritto le storie di due padri, uno israeliano e uno palestinese, Rami Elhanan e Bassam Aramin. Nonostante abbiano perso le loro figlie - Smadar uccisa da un’attacco suicida palestinese e Abir da un proiettile di gomma israeliano - sono diventati buoni amici. E ciò che rende la loro storia ancora più sorprendente, è che sono riusciti a mantenere questa amicizia e viaggiano insieme per il mondo, condividendo le loro esperienze

Senza una storia, la presenza e persino l’esistenza degli altri si dissolvono. Questo accade in modo evidente in molti luoghi: Ucraina, Gaza, Sudan. Ma accade anche vicino a noi, nel profondo dei nostri cuori.
L’annientamento delle storie di coloro che percepiamo come nemici – che in realtà non sono altro che il nostro prossimo – rappresenta una delle armi più insidiose al mondo. La nostra incapacità di accedere alle storie degli altri, ricche di sfumature e di significato, unita al rifiuto di creare spazi di ascolto e di dialogo, costituisce uno dei pericoli più gravi della nostra epoca. In questi tempi turbolenti, condividere le nostre storie e ascoltare quelle degli altri, potrebbe essere una delle poche cose in grado di salvarci.

Raccontare storie è un invito all’azione. Ascoltare storie è una forma di preghiera. La distanza più breve tra il nemico e il prossimo è una storia.
I cinici diranno che stiamo sbagliando. Che siamo degli ingenui sentimentali. Ma è davvero ingenuo e sentimentale rifiutare la speranza? I cinici sono intrappolati nelle loro convinzioni. Non sono disposti a intraprendere un cammino altrove. Restano immobili. Chiudono le tende. Spengono il GPS della loro immaginazione.
Significa forse che dovremmo isolare i cinici e lasciarli dove sono? No, certamente no. Al contrario: dobbiamo abbracciarli con fiducia, ascoltarli, chinare la testa. Condividere le nostre storie e ascoltare le loro. Trovare un terreno comune. E poi andare avanti, con la speranza di aver lasciato dietro di noi un’impronta di guarigione.

In questa era esponenziale, mentre la frattura continua ad ampliarsi, l'essenza stessa della riparazione risiede nella necessità di imparare a conoscerci. E per conoscerci davvero, dobbiamo ascoltarci e comunicare. E dopo aver ascoltato, dobbiamo cercare di comprendere. Solo allora, con rispetto, gioia e coraggio, potremo cominciare a innescare il cambiamento».

(Il testo è stato tradotto dall’inglese da Marinella Magrì)

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