Oggi pomeriggio l’umore di Gigi si è risollevato, per fortuna sua e di tutta la famiglia. La storia è piccola, ma tenera e emblematica di questo tempo di sogni ridimensionati o proprio infranti, grandi o piccoli.
Il 3 gennaio Gigi è partito per Parigi per il suo periodo di Erasmus di Chimica, alcuni esami da dare e il tirocinio pre laurea, con ritorno a fine giugno. È partito con qualche preoccupazione nel periodo degli scioperi francesi per la riforma previdenziale (sembrano così lontani ed irreali, adesso) ma ben organizzato, il suo piccolo appartamento e un francese in vertiginosa crescita. Contemporaneamente, la sua amatissima morosa dai grandi occhi chiari e dai capelli biondi, Nina, è andata ad Amsterdam per il suo Erasmus in Relazioni internazionali.
Si sono visti a Parigi a febbraio e poi è cambiato il mondo. Il week end del 14 marzo avevamo un appuntamento tutti da Anna a Zurigo, ma noi ovviamente non siamo riusciti a partire. Luigi è andato ed è rimasto bloccato a Zurigo dai vari lockdown - noi abbiamo insistito che non tornasse a Parigi e non rimanesse lì bloccato da solo e che rimanesse da sua sorella dove la situazione era meno pesante che da noi. Nina è tornata rocambolescamente da Amsterdam (taxi Amsterdam - Bruxelles, volo Bruxelles- Fiumicino, volo Fiumicino - Milano, treno da Milano) a casa a fine marzo e Luigi è voluto tornare da Zurigo l’8 aprile (l’Anna l’ha accompagnato in macchina alla frontiera e Roberto lo è andato a prendere - armato di apposita autocertificazione - a Chiasso). Si è poi “autodenunciato” all’ASL e ha fatto le sue due settimane di quarantena isolato al terzo piano della casa (camera e bagno, pasti portati con il vassoio lasciato sulle scale), libera uscita in giardino. Ora sono finite e sono finite anche quelle della Nina, ma non sono più riusciti a vedersi di persona, ma solo in remoto - lei vive a Parma, quindi in altro Comune, e non vi sono motivi di necessità e urgenza per lo spostamento. La speranza era nelle riaperture della mobilità ventilate per la fase 2 dal 4 maggio, speranze però raggelate ieri sera dalla conferenza stampa di Conte - solo visite ai congiunti. Gigi ha dichiarato la volontà di adeguarsi alle regole, ma si è visibilmente intristito.
Oggi pomeriggio, finalmente, l’interpretazione che i “congiunti” includono i fidanzati ha finalmente posto un po’ di colla e un po’ ricomposto questi cocci di piccoli e positivi sogni rovinati da questo terribile nemico. Riusciranno a rivedersi tra una settimana ed è almeno un’inizio. Immagino sarà bello e consolante rivedersi. Gli esami saranno in remoto e il tirocinio sarà una ricerca bibliografica invece che una ricerca in laboratorio, la roba personale di Gigi (dalle mutande, per fortuna comprate a Zurigo perché qui non avrebbe potuto nemmeno comprarle, alle lenzuola ai prediletti maglioni di cachemire) bloccata a Parigi fino alla fine del lockdown, ma pazienza - ci sono cose più importanti, è una lezione - almeno quella - che abbiamo imparato.
lunedì 27 aprile 2020
IL DITO E LA LUNA
Smettiamola di guardare il dito, chiediamo dov’è la luna.
Una pericolosa sensazione si è fatta strada tra noi e dentro di noi: che questo virus sia meno pericoloso e forse sia mezzo sconfitto.
I dibattiti si incentrano sulla possibilità di andare a messa, dal parrucchiere, a trovare la nonna ma non la fidanzata, su chi potrà fare il bagno e se sarà più sicura la spiaggia o lo scoglio.
È un abbaglio colossale. Il virus è lo stesso di prima, continua a contagiare e a uccidere e non abbiamo ancora evidenze che abbia perso forza. Uscire di casa la prossima settimana potrebbe avere lo stesso tasso di pericolo della prima settimana di marzo. L’unica differenza la faranno la nostra consapevolezza e le nostre cautele.
Non mi interessa che il governo faccia l’elenco delle attività che possono riaprire e con che scadenza se non mi garantisce che è stata messa in piedi una rete che ci rende più sicuri. E di questa rete non c’è traccia. Bisogna fare tamponi, test sierologici e solo allora si potrà pensare che la app potrà avere un senso e che ognuno di noi si possa sentire protetto dalle Istituzioni.
Uno dei miei fratelli ha avuto una settimana di febbre alta e tosse, poi ha perso completamente gusto e olfatto per una decina di giorni, ha chiamato il medico di base svariate volte e ha ricevuto il consiglio di stare in casa. Nessuna visita ma soprattutto nessun tampone. Sono passate due settimane e non abbiamo idea se sia ancora positivo e contagioso (ci sono casi in cui lo si è per svariate settimane dopo la fine dei sintomi), per sicurezza nessuno di noi lo incontra e, a turno, continuiamo a lasciargli la spesa sulla porta di casa.
Mia madre dopo aver ascoltato la conferenza stampa di Conte, che permette le visite ai nonni, ci ha chiamato e ha detto: “Vi voglio bene ma non vi avvicinate, io continuo la mia quarantena, come posso pensare di incontrare mio figlio se nemmeno a Milano è ancora possibile fare un tampone? Mi spiace ma finché non ci daranno qualche sicurezza per me sarà sempre marzo”.
La penso come lei, senza le tre T (test, tracciamento e trattamento) continuerò a tagliarmi i capelli da solo davanti allo specchio. Dobbiamo pretendere reti di sicurezza, non dei contentini alla nostra voglia di normalità.
La fase che inizia adesso, in mancanza di una infrastruttura di garanzia che individui e isoli gli infetti, sarà quella della responsabilità individuale. Finché non ci sarà un vaccino o un protocollo di cura efficace, ognuno di noi si dovrà difendere da solo, con attenzioni, precauzioni e una buona dose di sano scetticismo
(Post Facebook di Mario Calabresi, 27 aprile 2020)
Una pericolosa sensazione si è fatta strada tra noi e dentro di noi: che questo virus sia meno pericoloso e forse sia mezzo sconfitto.
I dibattiti si incentrano sulla possibilità di andare a messa, dal parrucchiere, a trovare la nonna ma non la fidanzata, su chi potrà fare il bagno e se sarà più sicura la spiaggia o lo scoglio.
È un abbaglio colossale. Il virus è lo stesso di prima, continua a contagiare e a uccidere e non abbiamo ancora evidenze che abbia perso forza. Uscire di casa la prossima settimana potrebbe avere lo stesso tasso di pericolo della prima settimana di marzo. L’unica differenza la faranno la nostra consapevolezza e le nostre cautele.
Non mi interessa che il governo faccia l’elenco delle attività che possono riaprire e con che scadenza se non mi garantisce che è stata messa in piedi una rete che ci rende più sicuri. E di questa rete non c’è traccia. Bisogna fare tamponi, test sierologici e solo allora si potrà pensare che la app potrà avere un senso e che ognuno di noi si possa sentire protetto dalle Istituzioni.
Uno dei miei fratelli ha avuto una settimana di febbre alta e tosse, poi ha perso completamente gusto e olfatto per una decina di giorni, ha chiamato il medico di base svariate volte e ha ricevuto il consiglio di stare in casa. Nessuna visita ma soprattutto nessun tampone. Sono passate due settimane e non abbiamo idea se sia ancora positivo e contagioso (ci sono casi in cui lo si è per svariate settimane dopo la fine dei sintomi), per sicurezza nessuno di noi lo incontra e, a turno, continuiamo a lasciargli la spesa sulla porta di casa.
Mia madre dopo aver ascoltato la conferenza stampa di Conte, che permette le visite ai nonni, ci ha chiamato e ha detto: “Vi voglio bene ma non vi avvicinate, io continuo la mia quarantena, come posso pensare di incontrare mio figlio se nemmeno a Milano è ancora possibile fare un tampone? Mi spiace ma finché non ci daranno qualche sicurezza per me sarà sempre marzo”.
La penso come lei, senza le tre T (test, tracciamento e trattamento) continuerò a tagliarmi i capelli da solo davanti allo specchio. Dobbiamo pretendere reti di sicurezza, non dei contentini alla nostra voglia di normalità.
La fase che inizia adesso, in mancanza di una infrastruttura di garanzia che individui e isoli gli infetti, sarà quella della responsabilità individuale. Finché non ci sarà un vaccino o un protocollo di cura efficace, ognuno di noi si dovrà difendere da solo, con attenzioni, precauzioni e una buona dose di sano scetticismo
(Post Facebook di Mario Calabresi, 27 aprile 2020)
venerdì 24 aprile 2020
REPORTAGE DAL GIARDINO : OGGI
REPORTAGE DAL GIARDINO: OGGI
REPORTAGE DAL GIARDINO OGGI
REPORTAGE DAL GIARDINO OGGI
mercoledì 22 aprile 2020
FORSE LA PAURA AVRÀ PIÙ COSE DA DIRE
So che possiedi una grande forza d’animo, Lucilio mio. La vita ti ha già messo alla prova numerose volte, ma tu non ti sei mai arreso: ti sei risollevato e hai lottato con più energia. Il coraggio, quando è già stato sfidato, può solo crescere; tu però accetta da me un aiuto che, spero, potrà farti sentire più forte.
Dunque: certe cose ci angosciano più di quanto dovrebbero; altre prima di quando dovrebbero, altre cose ci angosciano e non dovrebbero affatto. E così ingigantiamo il nostro dolore, o lo anticipiamo, o addirittura lo creiamo dal nulla. È così, Lucilio mio: troppo in fretta ci facciamo convincere dalle supposizioni. Le cose che ci fanno paura non le esaminiamo razionalmente, e nemmeno ce ne allontaniamo: non so come, ma le chiacchiere sono quelle che ci spaventano maggiormente. Ciò che è fondato possiede una propria misura, mentre tutto ciò nasce dall’incertezza viene lasciato in balìa di ansiose congetture. Proprio per questo non c’è forma di paura più pericolosa e più dannosa del panico. Le paure sono irrazionali; il panico è folle.
Tu concentrati sul bene. Succede spesso che la mente si riempia di pensieri ingannevoli. Ma davvero non c’è motivo di vivere, non c’è nessun limite all’infelicità, se temiamo tutto quello che si può temere: è qui che deve aiutarti la razionalità, è qui che devi respingere la paura, anche quella fondata, con la forza d’animo. Oppure scaccia l’impulso con un altro impulso: calma la paura con la speranza. Nulla sembra più certo di quel che ci fa paura; ma è molto più vero che le cose temute svaniscono e quelle attese ci ingannano. Osserva bene paura e speranza, e ogni volta che sarai nell’incertezza, fatti un favore: abbi fiducia in ciò che ti fa sentire meglio. Forse la paura avrà più cose da dire; tu, comunque, scegli la speranza.
Dunque: certe cose ci angosciano più di quanto dovrebbero; altre prima di quando dovrebbero, altre cose ci angosciano e non dovrebbero affatto. E così ingigantiamo il nostro dolore, o lo anticipiamo, o addirittura lo creiamo dal nulla. È così, Lucilio mio: troppo in fretta ci facciamo convincere dalle supposizioni. Le cose che ci fanno paura non le esaminiamo razionalmente, e nemmeno ce ne allontaniamo: non so come, ma le chiacchiere sono quelle che ci spaventano maggiormente. Ciò che è fondato possiede una propria misura, mentre tutto ciò nasce dall’incertezza viene lasciato in balìa di ansiose congetture. Proprio per questo non c’è forma di paura più pericolosa e più dannosa del panico. Le paure sono irrazionali; il panico è folle.
Tu concentrati sul bene. Succede spesso che la mente si riempia di pensieri ingannevoli. Ma davvero non c’è motivo di vivere, non c’è nessun limite all’infelicità, se temiamo tutto quello che si può temere: è qui che deve aiutarti la razionalità, è qui che devi respingere la paura, anche quella fondata, con la forza d’animo. Oppure scaccia l’impulso con un altro impulso: calma la paura con la speranza. Nulla sembra più certo di quel che ci fa paura; ma è molto più vero che le cose temute svaniscono e quelle attese ci ingannano. Osserva bene paura e speranza, e ogni volta che sarai nell’incertezza, fatti un favore: abbi fiducia in ciò che ti fa sentire meglio. Forse la paura avrà più cose da dire; tu, comunque, scegli la speranza.
da Seneca, Lettere a Lucilio, 62 d.C.
domenica 19 aprile 2020
IN RICORDO
Oggi abbiamo avuto la notizia della morte da Coronavirus del nostro amato fotografo di fiducia, Dante Boschini, un signore gentile CIRCA SETTANTACINQUENNE, alto ed elegante, che ha comiciato trentacinque anni fa a sviluppare le nostre foto e ci ha sempre seguito con professionalità ed amicizia. In particolare, aveva sviluppato una amicizia con Roberto e si fermavano a chiacchierare volentieri un po’. Roberto ci ha descritto sulla chat Whatsapp di famiglia due episodi che Boschini gli aveva raccontato. Copio qui i suoi due messaggi:
“ Stamane sono andato a ritirare le foto per la lapide del nonno da Boschini. Era preso da Photoshop e mi ha detto che stava aprendo gli occhi ad una fotografia per la lapide di una persona deceduta da poco. Mi ha detto che gli capita spesso di fare questi servizi. Ha bisogno di un’altra foto con gli occhi aperti e li inserisce nelle foto con gli 👀 chiusi.
Mi ha anche riferito che gli capita di avere, sempre per la lapide, una foto con la faccia che va bene, ma con vestiti dimessi o di colore non graditi. Occorre pertanto adottare lo stesso processo degli occhi utilizzando delle foto con i vestiti buoni. Però il processo può costare 50-70 euro. In questo caso a volte i parenti si lamentano del costo. Boschini per assecondare le richieste del cliente propone un servizio più economico. Utilizza infatti delle sue foto personali in giacca e cravatta e aggiunge il suo corpo alle teste dei deceduti. Orgoglioso mi diceva che le foto del suo corpo sono già in una decina di lapidi a Colorno. 😂🤣😂🤣”
“Boschini padre mi ha raccontato di essersi formato da Vaghi, fotografo di Parma, 50 anni fa. Mi ha detto che gli è capitato solo una volta di rovinare totalmente uno sviluppo fotografico di un evento a causa di un corto circuito avvenuto nella camera oscura, appunto quando era apprendista da Vaghi. Questo corto circuito provocò un lampo di luce nella camera oscura che fece fallire tutte le foto di un matrimonio. Il Sig. Vaghi organizzò di nuovo tutto l’evento in chiesa e al ristorante, entro un mese, a sue spese!!! Gente d’altri tempi. 👍🏻“
Due belle storie - una morte assurda di cui non ci capacitiamo, sapevamo che era malato, ma a casa a curarsi ed era lucido, in forma, un persona quieta e contenta che continuava a lavorare perché si divertiva. Ci mancherà.
RIP
“ Stamane sono andato a ritirare le foto per la lapide del nonno da Boschini. Era preso da Photoshop e mi ha detto che stava aprendo gli occhi ad una fotografia per la lapide di una persona deceduta da poco. Mi ha detto che gli capita spesso di fare questi servizi. Ha bisogno di un’altra foto con gli occhi aperti e li inserisce nelle foto con gli 👀 chiusi.
Mi ha anche riferito che gli capita di avere, sempre per la lapide, una foto con la faccia che va bene, ma con vestiti dimessi o di colore non graditi. Occorre pertanto adottare lo stesso processo degli occhi utilizzando delle foto con i vestiti buoni. Però il processo può costare 50-70 euro. In questo caso a volte i parenti si lamentano del costo. Boschini per assecondare le richieste del cliente propone un servizio più economico. Utilizza infatti delle sue foto personali in giacca e cravatta e aggiunge il suo corpo alle teste dei deceduti. Orgoglioso mi diceva che le foto del suo corpo sono già in una decina di lapidi a Colorno. 😂🤣😂🤣”
“Boschini padre mi ha raccontato di essersi formato da Vaghi, fotografo di Parma, 50 anni fa. Mi ha detto che gli è capitato solo una volta di rovinare totalmente uno sviluppo fotografico di un evento a causa di un corto circuito avvenuto nella camera oscura, appunto quando era apprendista da Vaghi. Questo corto circuito provocò un lampo di luce nella camera oscura che fece fallire tutte le foto di un matrimonio. Il Sig. Vaghi organizzò di nuovo tutto l’evento in chiesa e al ristorante, entro un mese, a sue spese!!! Gente d’altri tempi. 👍🏻“
Due belle storie - una morte assurda di cui non ci capacitiamo, sapevamo che era malato, ma a casa a curarsi ed era lucido, in forma, un persona quieta e contenta che continuava a lavorare perché si divertiva. Ci mancherà.
RIP
venerdì 17 aprile 2020
USCIREMO DAL NOSTRO SPLENDIDO GIARDINO
Legge, nel sole, con i capelli lunghissimi che brillano. È in quarantena, bloccato in ogni sua attività, con il suo piccolo sogno di Erasmus a Parigi spezzato e con la primavera dei suoi 22 anni che non doveva trascorrere così. Ma è tranquillo, operoso, e aspetta, i suoi sogni e desideri decolleranno ancora
STORIE (ANCHE NON MIE!)
LO STRANO CASO DELLA POLTRONA BLU
Oggi ho ricevuto un messaggio di auguri del compleanno da un’amica che si scusava per il ritardo (il mio compleanno è stato il 14, credo che oggi sia il 16) e commentava con la faccina divertente l’affermazione che in questi giorni il tempo è uno strano tiranno.
In realtà c’è poco da ridere perché, almeno per quel che mi riguarda, il tempo è strano (e tiranno) sempre.
Io sono uno di quelli che nella vita reale è sempre in ritardo. Un ritardatario patologico, dice mia moglie. Mia figlia Valeria quest’anno fa la prima media, e si è finalmente affrancata dal dover essere accompagnata da me a scuola. Ma fino all’anno scorso ogni giorno era una lotta, perché lei voleva arrivare puntuale e con me non era possibile. Già in prima elementare mi disse che non voleva essere accompagnata da me, perché le avrei fatto fare tardi; quando vide che ci ero rimasto un po’ male ammorbidì la sentenza: mi disse che potevo accompagnarla, ma se le avessi fatto fare tardi in giorno avrei dovuto saltare i tre giorni successivi. Una specie di accompagnatore in prova.
Si perché ai Ritardatari, quelli veri, succede sempre qualcosa, qualcosa a cui i puntuali ovviamente non credono. Il fatto è che a volte si ha la sensazione che tutto l’universo cospiri contro il malcapitato Ritardatario, al fine di fargli fare tardi una volta di più.
Sarebbe inutile ricostruire la variegata e bizzarra casistica delle disavventure quotidiane che portano il Ritardatari a non essere puntuali, anche perchè ogni Ritardatario (e ogni compagno di vita di un Ritardatario, che tanto spesso è un Puntuale) ha la sua personalissima collezione di improbabili eventi che contribuiscono al ritardo: oggetti che spariscono e malignamente si nascondono (di solito chiavi, occhiali e telefono, ma anche scarpe, portafogli, e naturalmente quando si tratta di cose di lavoro anche importanti documenti) automobili che cambiano posto (eppure avrei giurato di averla parcheggiata lì ieri sera) moto che non partono (ma che cazzo, proprio oggi), inspiegabili accelerazioni temporali.
Questa delle accelerazioni temporali forse va spiegata, perché a questa i Puntuali non credono mai, ma succede.
Mettiamo che il Ritardatario abbia appuntamento con il Puntuale alle 18, e che per raggiungerlo abbia bisogno di 15 minuti. Il Ritardatario premuroso non vuole assolutamente arrivare tardi, perché sa quanto è puntuale il Puntuale, e decide pertanto di muoversi con largo anticipo, diciamo alle 17,30. Bè state pur certi che alle 17,35 quando sta per uscire (in lieve ritardo sulla sua tabella di marcia, ma comunque con un ottimo margine) il Ritardatario riceverà una telefonata, che sbrigherà in cinque minuti. Contento di avere ancora un buon margine il Ritardatario si incamminerà e, soddisfatto, controllerà l’orologio, dove scoprirà con sgomento che un salto temporale contrario a tutte le leggi delle spazio-tempo lo ha portato alle 17,56, col risultato che si metterà correre e arriverà al suo appuntamento trafelato, sudaticcio e scompigliato. E ovviamente in ritardo. E sarà cazziato.
Si dice che la vita di un Puntuale sia un inferno di solitudini immeritate.
E’vero. Ma è vero anche che la vita di un Ritardatario è una lunga collezione di cazziatoni immeritati.
Poi è arrivata la quarantena, e tutto è cambiato.
Tranne il tempo per i ritardatari, quello è rimasto uno strano tiranno, e continua a deformarsi a suo piacimento.
Noi abbiamo in salone una Poltrona Blu che in questi giorni viene spostata spesso, più volte al giorno: la mattina quando usiamo il salone per fare ginnastica, il pomeriggio quando la sposto vicino alla finestra per leggere, la sera quando vediamo un film o giochiamo alla play, la notte quando mi metto a leggere vicino al giradischi. La poltrona non ha i feltrini sotto i piedini, e negli spostamenti la si sente grattare in maniera sgradevole sul pavimento.
In realtà i feltrini li abbiamo, sono in un cassetto al terzo piano, e ogni volta che sposto la Poltrona Blu, penso: “Mannaggia, ho scordato di nuovo i feltrini, devo andarli a prendere”. Ma poi succede sempre –SEMPRE!- qualcosa, e la Poltrona Blu è ancora senza feltrini.
E questa scena succede almeno quatto volte al giorno. Ogni giorno. Da ormai più di trenta giorni.
E in effetti sto iniziando credere che la Poltrona Blu sia una sorta di emblema, il simbolo di tutti i mille lavoretti non fatti, o tutte quelle incombenze più o meno fastidiose che nella vita precedente rimandavamo sempre perché non avevamo mai il tempo di risolvere, e che ora che il tempo ce l’abbiamo per un motivo o per l’altro continuiamo a non fare.
Mentre scrivevo maturava in me la determinazione di andare a mettere i benedetti feltrini e sistemare una volta per tutte la Poltrona Blu.
Ma mi stanno chiamando per cena, ho già detto due volte “cinque minuti!” e Valeria alla terza chiamata ha usato una formula definitiva, di quelle che non ammettono repliche o ulteriori tentennamenti:
“Papà, abbiamo fame, ma com’è che sei SEMPRE in ritardo!”
Mi sa che anche a questo giro la Poltrona Blu rimarrà senza feltrini.
(Post Facebook di Andrea Sylos Labini, 16 aprile 2020)
Siccome è il ritratto di mio marito, ho mandato il post alla famiglia intera. Tutti si sono divertiti, tranne Anna che risponde con le faccine arrabbiate e “la storia mi provoca la frustrazione del puntuale”. Lei in effetti era la figlia puntuale sottoposta alla tortura mattutina di un padre sempre al limite del ritardo nell’accompagnarla a scuola, proprio come nella storia. Alle medie ha finalmente ottenuto di andarci col pulmino scolastico...
Oggi ho ricevuto un messaggio di auguri del compleanno da un’amica che si scusava per il ritardo (il mio compleanno è stato il 14, credo che oggi sia il 16) e commentava con la faccina divertente l’affermazione che in questi giorni il tempo è uno strano tiranno.
In realtà c’è poco da ridere perché, almeno per quel che mi riguarda, il tempo è strano (e tiranno) sempre.
Io sono uno di quelli che nella vita reale è sempre in ritardo. Un ritardatario patologico, dice mia moglie. Mia figlia Valeria quest’anno fa la prima media, e si è finalmente affrancata dal dover essere accompagnata da me a scuola. Ma fino all’anno scorso ogni giorno era una lotta, perché lei voleva arrivare puntuale e con me non era possibile. Già in prima elementare mi disse che non voleva essere accompagnata da me, perché le avrei fatto fare tardi; quando vide che ci ero rimasto un po’ male ammorbidì la sentenza: mi disse che potevo accompagnarla, ma se le avessi fatto fare tardi in giorno avrei dovuto saltare i tre giorni successivi. Una specie di accompagnatore in prova.
Si perché ai Ritardatari, quelli veri, succede sempre qualcosa, qualcosa a cui i puntuali ovviamente non credono. Il fatto è che a volte si ha la sensazione che tutto l’universo cospiri contro il malcapitato Ritardatario, al fine di fargli fare tardi una volta di più.
Sarebbe inutile ricostruire la variegata e bizzarra casistica delle disavventure quotidiane che portano il Ritardatari a non essere puntuali, anche perchè ogni Ritardatario (e ogni compagno di vita di un Ritardatario, che tanto spesso è un Puntuale) ha la sua personalissima collezione di improbabili eventi che contribuiscono al ritardo: oggetti che spariscono e malignamente si nascondono (di solito chiavi, occhiali e telefono, ma anche scarpe, portafogli, e naturalmente quando si tratta di cose di lavoro anche importanti documenti) automobili che cambiano posto (eppure avrei giurato di averla parcheggiata lì ieri sera) moto che non partono (ma che cazzo, proprio oggi), inspiegabili accelerazioni temporali.
Questa delle accelerazioni temporali forse va spiegata, perché a questa i Puntuali non credono mai, ma succede.
Mettiamo che il Ritardatario abbia appuntamento con il Puntuale alle 18, e che per raggiungerlo abbia bisogno di 15 minuti. Il Ritardatario premuroso non vuole assolutamente arrivare tardi, perché sa quanto è puntuale il Puntuale, e decide pertanto di muoversi con largo anticipo, diciamo alle 17,30. Bè state pur certi che alle 17,35 quando sta per uscire (in lieve ritardo sulla sua tabella di marcia, ma comunque con un ottimo margine) il Ritardatario riceverà una telefonata, che sbrigherà in cinque minuti. Contento di avere ancora un buon margine il Ritardatario si incamminerà e, soddisfatto, controllerà l’orologio, dove scoprirà con sgomento che un salto temporale contrario a tutte le leggi delle spazio-tempo lo ha portato alle 17,56, col risultato che si metterà correre e arriverà al suo appuntamento trafelato, sudaticcio e scompigliato. E ovviamente in ritardo. E sarà cazziato.
Si dice che la vita di un Puntuale sia un inferno di solitudini immeritate.
E’vero. Ma è vero anche che la vita di un Ritardatario è una lunga collezione di cazziatoni immeritati.
Poi è arrivata la quarantena, e tutto è cambiato.
Tranne il tempo per i ritardatari, quello è rimasto uno strano tiranno, e continua a deformarsi a suo piacimento.
Noi abbiamo in salone una Poltrona Blu che in questi giorni viene spostata spesso, più volte al giorno: la mattina quando usiamo il salone per fare ginnastica, il pomeriggio quando la sposto vicino alla finestra per leggere, la sera quando vediamo un film o giochiamo alla play, la notte quando mi metto a leggere vicino al giradischi. La poltrona non ha i feltrini sotto i piedini, e negli spostamenti la si sente grattare in maniera sgradevole sul pavimento.
In realtà i feltrini li abbiamo, sono in un cassetto al terzo piano, e ogni volta che sposto la Poltrona Blu, penso: “Mannaggia, ho scordato di nuovo i feltrini, devo andarli a prendere”. Ma poi succede sempre –SEMPRE!- qualcosa, e la Poltrona Blu è ancora senza feltrini.
E questa scena succede almeno quatto volte al giorno. Ogni giorno. Da ormai più di trenta giorni.
E in effetti sto iniziando credere che la Poltrona Blu sia una sorta di emblema, il simbolo di tutti i mille lavoretti non fatti, o tutte quelle incombenze più o meno fastidiose che nella vita precedente rimandavamo sempre perché non avevamo mai il tempo di risolvere, e che ora che il tempo ce l’abbiamo per un motivo o per l’altro continuiamo a non fare.
Mentre scrivevo maturava in me la determinazione di andare a mettere i benedetti feltrini e sistemare una volta per tutte la Poltrona Blu.
Ma mi stanno chiamando per cena, ho già detto due volte “cinque minuti!” e Valeria alla terza chiamata ha usato una formula definitiva, di quelle che non ammettono repliche o ulteriori tentennamenti:
“Papà, abbiamo fame, ma com’è che sei SEMPRE in ritardo!”
Mi sa che anche a questo giro la Poltrona Blu rimarrà senza feltrini.
(Post Facebook di Andrea Sylos Labini, 16 aprile 2020)
Siccome è il ritratto di mio marito, ho mandato il post alla famiglia intera. Tutti si sono divertiti, tranne Anna che risponde con le faccine arrabbiate e “la storia mi provoca la frustrazione del puntuale”. Lei in effetti era la figlia puntuale sottoposta alla tortura mattutina di un padre sempre al limite del ritardo nell’accompagnarla a scuola, proprio come nella storia. Alle medie ha finalmente ottenuto di andarci col pulmino scolastico...
giovedì 16 aprile 2020
IN MEMORIA DI LUIS SEPULVEDA
“E se è tutto un sogno, che importa. Mi piace e voglio continuare a sognare"
Che il passo ti sia lieve, Luis Sepulveda
Che il passo ti sia lieve, Luis Sepulveda
STORIE DI QUESTO TEMPO
Su imbeccata di uno scambio avuto con un vecchio amico, ho pensato che la storia del figlio dei mie vicini di casa potesse interessare al giornale locale, la Gazzetta di Parma, e quindi ho scritto alla mia amica Giovanna
“Mi è venuta in mente questa cosa. So che sei amica della Katia Golini che io avevo incontrato ai tempi della nascita del PD e forse anche altri giornalisti. Volevo segnalarle una storia carina dei tempi Coronavirus che coinvolge la famiglia dei miei vicini di casa di Sanguigna di Colorno. Il ragazzo, Gianmarco Avanzini, 24 anni, dopo il diploma universitario in tecnico di radiologia è andato a lavorare in Inghilterra per suoi motivi personali e per fare un’esperienza di vita. Lavora a sud di Londra appunto come tecnico radiologo da alcuni mesi. Con l’emergenza Covid-19 i suoi genitori, titolari di azienda agricola e di un negozio di macelleria, gli hanno chiesto di tornare. Gianmarco non ha voluto assolutamente tornare perché lì c’è assoluto bisogno di lui, il lavoro è di molto aumentato e lui non può lasciare i suoi colleghi e i pazienti. La trovo una bella piccola storia di un giovane parmigiano non eroico, ma con il coraggio di esserci e fare il proprio dovere. Puoi pensarci tu, Giovanna, a segnalare questa storia per la Gazzetta? loro a volte pubblicano storie di questo genere. Mi sono fatta dare dal genitori a cui ho spiegato la mia iniziativa (e sono d’accordo), il cellulare del ragazzo GIANMARCO AVANZINI xxxxxx. Grazie Giobz!”
La mia amica Giovanna (detta Giobz) ha fatto gentilmente da tramite e oggi è uscito questo articolo
Nella chat della comunità di Sanguigna, frazione di Colorno, sono stati tutti entusiasti. Il commento che mi è piaciuto più di tutti è stato “ complimenti! Meno male, una notizia bella!”
“Mi è venuta in mente questa cosa. So che sei amica della Katia Golini che io avevo incontrato ai tempi della nascita del PD e forse anche altri giornalisti. Volevo segnalarle una storia carina dei tempi Coronavirus che coinvolge la famiglia dei miei vicini di casa di Sanguigna di Colorno. Il ragazzo, Gianmarco Avanzini, 24 anni, dopo il diploma universitario in tecnico di radiologia è andato a lavorare in Inghilterra per suoi motivi personali e per fare un’esperienza di vita. Lavora a sud di Londra appunto come tecnico radiologo da alcuni mesi. Con l’emergenza Covid-19 i suoi genitori, titolari di azienda agricola e di un negozio di macelleria, gli hanno chiesto di tornare. Gianmarco non ha voluto assolutamente tornare perché lì c’è assoluto bisogno di lui, il lavoro è di molto aumentato e lui non può lasciare i suoi colleghi e i pazienti. La trovo una bella piccola storia di un giovane parmigiano non eroico, ma con il coraggio di esserci e fare il proprio dovere. Puoi pensarci tu, Giovanna, a segnalare questa storia per la Gazzetta? loro a volte pubblicano storie di questo genere. Mi sono fatta dare dal genitori a cui ho spiegato la mia iniziativa (e sono d’accordo), il cellulare del ragazzo GIANMARCO AVANZINI xxxxxx. Grazie Giobz!”
La mia amica Giovanna (detta Giobz) ha fatto gentilmente da tramite e oggi è uscito questo articolo
Nella chat della comunità di Sanguigna, frazione di Colorno, sono stati tutti entusiasti. Il commento che mi è piaciuto più di tutti è stato “ complimenti! Meno male, una notizia bella!”
mercoledì 15 aprile 2020
DIARIO DAL LOCKDOWN
Siamo qui, ancora qui nelle nostre case, io fortunatamente nella mia bella casa, con alcune delle persone che amo.
Qual è il momento più difficile? Per me sicuramente il risveglio. Ho un risveglio in due tappe: mi sveglio , ingurgito l’Eutirox e poi mi riaccuccio per un’altra mezz’ora prima di scendere (dormo al primo piano e la cucina è a piano terra) a fare colazione con il mio tè verde e i miei sontuosi biscotti. Il risveglio è in questo periodo il momento più difficile perché al risveglio mi riapproprio della realtà, mi immergo di nuovo in questo periodo così strano, segnato dalla paura, dalla morte, dalla solitudine. Mi ri-concentro stupita su quello che non posso fare, mi metto in attesa della tempesta che sta già imperversando sulle nostre teste.
Il resto del giorno trascorre bene, leggo, mi intrufolo nelle notizie, pulisco casa, vado in giardino, chiacchiero con Luigi e Roberto, faccio un po’ di esercizio fisico, cucino cose buone, faccio dolci, vedo un film, faccio montagne di chiacchiere su Whatsapp o al telefono. È bello avere in casa un marito che in periodo “normale” è sempre alla conquista del mondo - adesso è sempre al telefono o in videochiamata, ma nelle pause ci si fa un sorriso e si scambia small talk. È bello avere in casa, sia pure in quarantena, un giovane uomo con tanti desideri, tanti progetti al via.
Non mi annoio per niente, anzi, trovo che sia un periodo buono, mi sento operosa - poco utile, ma operosa.
Le 18, la conferenza stampa della Protezione civile, segna un altro appuntamento che influenza la mia serata. Ci sono stati giorni in cui passavo la serata ammutolita, concentrata su una speranza che a volte era davvero duro tenere alimentata. Negli ultimi giorni, un cauto ottimismo, controbilanciato da previsioni economiche catastrofiche e dalla ripresa delle solite liti (il MES, le case di riposo e la “strage degli anziani”, le riaperture sì e le riaperture no) rendono le mie sere meno scure ed introverse.
Poi arriva il momento che tutto tace, che solo i gufi come me vegliano, ed è un altro momento difficile: decidere di andare a letto, chiudere con questa giornata, mi sembra impossibile: è come se qualcosa di irrisolto permanga in me e attorno a me. Anche oggi più di 500 persone decedute, anche oggi aumenta il contagio, anche oggi tutti a casa.....Poi vado a letto e sprofondo in un altro mondo.
Non ricordo quasi mai i sogni, ma ricordo un brandello di sogno che ho fatto la notte scorsa.
Stavo andando con Roberto a prendere un caffè al bar e continuavo insistentemente a chiedergli “ma perché questo bar è aperto? Come mai proprio questo? Ma gli altri sono aperti?”. Lui non rispondeva e sorrideva...
Qual è il momento più difficile? Per me sicuramente il risveglio. Ho un risveglio in due tappe: mi sveglio , ingurgito l’Eutirox e poi mi riaccuccio per un’altra mezz’ora prima di scendere (dormo al primo piano e la cucina è a piano terra) a fare colazione con il mio tè verde e i miei sontuosi biscotti. Il risveglio è in questo periodo il momento più difficile perché al risveglio mi riapproprio della realtà, mi immergo di nuovo in questo periodo così strano, segnato dalla paura, dalla morte, dalla solitudine. Mi ri-concentro stupita su quello che non posso fare, mi metto in attesa della tempesta che sta già imperversando sulle nostre teste.
Il resto del giorno trascorre bene, leggo, mi intrufolo nelle notizie, pulisco casa, vado in giardino, chiacchiero con Luigi e Roberto, faccio un po’ di esercizio fisico, cucino cose buone, faccio dolci, vedo un film, faccio montagne di chiacchiere su Whatsapp o al telefono. È bello avere in casa un marito che in periodo “normale” è sempre alla conquista del mondo - adesso è sempre al telefono o in videochiamata, ma nelle pause ci si fa un sorriso e si scambia small talk. È bello avere in casa, sia pure in quarantena, un giovane uomo con tanti desideri, tanti progetti al via.
Non mi annoio per niente, anzi, trovo che sia un periodo buono, mi sento operosa - poco utile, ma operosa.
Le 18, la conferenza stampa della Protezione civile, segna un altro appuntamento che influenza la mia serata. Ci sono stati giorni in cui passavo la serata ammutolita, concentrata su una speranza che a volte era davvero duro tenere alimentata. Negli ultimi giorni, un cauto ottimismo, controbilanciato da previsioni economiche catastrofiche e dalla ripresa delle solite liti (il MES, le case di riposo e la “strage degli anziani”, le riaperture sì e le riaperture no) rendono le mie sere meno scure ed introverse.
Poi arriva il momento che tutto tace, che solo i gufi come me vegliano, ed è un altro momento difficile: decidere di andare a letto, chiudere con questa giornata, mi sembra impossibile: è come se qualcosa di irrisolto permanga in me e attorno a me. Anche oggi più di 500 persone decedute, anche oggi aumenta il contagio, anche oggi tutti a casa.....Poi vado a letto e sprofondo in un altro mondo.
Non ricordo quasi mai i sogni, ma ricordo un brandello di sogno che ho fatto la notte scorsa.
Stavo andando con Roberto a prendere un caffè al bar e continuavo insistentemente a chiedergli “ma perché questo bar è aperto? Come mai proprio questo? Ma gli altri sono aperti?”. Lui non rispondeva e sorrideva...
martedì 14 aprile 2020
SERATA BISCOTTI GALORE
Ieri sera è stata la serata biscotti
Biscotti con gocce di cioccolato e biscottini mandorle e cannella. Dureranno una settimana? Bisogna concedersi qualche coccola...
Biscotti con gocce di cioccolato e biscottini mandorle e cannella. Dureranno una settimana? Bisogna concedersi qualche coccola...
lunedì 13 aprile 2020
GIGI SCRIVE
In questo periodo, Gigi è in quarantena al terzo piano della casa perché ritornato dalla Svizzera mercoledì scorso. Abbiamo optato per una vera quarantena, senza contatti diretti, soprattutto per proteggere me, che non ho avuto niente di niente finora e sono un soggetto con qualche rischio maggiore (una malattia cronica: ipotiroidismo e già tre polmoniti virali alle spalle) - Roberto ha avuto il virus in forma leggera ormai più di un mese fa e Gigi sta bene.
In questo isolamento, Gigi tiene intensi contatti da remoto con i suoi amici e la sua ragazza e una delle cose che hanno organizzato è un contest (intitolato Decameronzolo) di scrittura di racconti a tema o a tema libero. Gigi mi ha fatto leggere il suo e ho deciso di pubblicarlo qui - mi è piaciuto
“ Settimana 1 – Tema Libero
Granellini di sabbia
Il mio lavoro è semplice: guardare quegli esserini che brulicano dentro quella piccola scatola ogni santo giorno. Sono così insignificanti, sembrano gironzolare senza meta su quel terriccio economico che il precedente proprietario ha loro procurato. Ammetto che di tanto in tanto vorrei pulire il loro contenitore una volta per tutte, ma poi mi ricordo che ciò significherebbe prelevarli uno ad uno, metterli in una base temporanea, eseguire il lavoro, e poi riportare tutti a casa. Subito dopo però, mi rendo conto di quanto siano fragili e di come non resisterebbero nemmeno un secondo in un posto che non sia casa loro, quindi cambio idea. Non è comunque un lavoro di troppo impegno. Il posto di supervisore mi è stato assegnato solo qualche tempo fa e sono sicura che non durerà ancora a lungo. Le creature che stiamo osservando sono ostili tra di loro e presto non sarà più possibile fornire loro le risorse necessarie alla loro sopravvivenza, ed il progetto dovrà presto essere abbandonato. Onestamente, mi sento molto fortunata a non essere uno di quei piccoli puntini che mi trovo a dover osservare ogni volta che vado al lavoro. I dati sembrano mostrare che sono estremamente territoriali, orgogliosi, e capaci anche di andare contro ogni logica, a volte possono anche essere spaventosi.
La vita è abbastanza noiosa quassù. Un lavoro monotono che non porta altro che angosce e agitazione. Per distrarmi, mi trovo spesso a pensare all’universo, a quanto sia grande e a quanti misteri esso ci nasconda tutt’ora. Ci consideriamo la specie che è arrivata il più vicino possibile a comprenderlo nella sua interezza, eppure è possibile che ci siano popolazioni molto più avanzate, in una qualche galassia lontana, che conoscono più segreti di noi. Tutto ciò mi fa sentire estremamente piccola: capisco che tutto quello che studio, tutto quello che considero importante non è altro che un minuscolo ingranaggio nella grande macchina dell’universo e che, alla fine, la mia vita non sarà nient’altro che un insignificante granellino di sabbia nella grande clessidra del tempo. Alla fin fine, non sono molto diversa da quei puntini che si muovono disordinatamente sul terreno di fronte a me: anch’io agisco secondo una logica oscura, dettata dalle mie necessità, che per un osservatore esterno potrebbe essere insensata. Siamo tutti dei granellini di sabbia.
Persa tra questi pensieri la fine del mio turno arriva presto. Mi alzo e cedo il mio posto al mio successore, come ogni giorno, da più di dieci miliardi di anni. Lo vedo sorgere, splendente, mentre io tramonto, sola, dall’altra parte dell’orizzonte. È l’alba di un nuovo giorno per i nostri granellini, e per me, la fine di una pensierosa notte di lavoro.”
Non male per uno che LEGGE TROPPO POCO! Pensa se leggesse...
P.S. PANE DI TUMMINIA
P.S. al post precedente.
Fantastico il pane di Tumminia, intensamente profumato, integrale, con basso contenuto di glutine, maggiore digeribilità, maggiore durata (sono andata a vedere le caratteristiche della farina), ma soprattutto buonissimo, un conforto da assaporare.
E, diciamolo, il profumo del pane che cuoce riempie la casa...
Altre tre pagnotte oltre a questa.
Fantastico il pane di Tumminia, intensamente profumato, integrale, con basso contenuto di glutine, maggiore digeribilità, maggiore durata (sono andata a vedere le caratteristiche della farina), ma soprattutto buonissimo, un conforto da assaporare.
E, diciamolo, il profumo del pane che cuoce riempie la casa...
Altre tre pagnotte oltre a questa.
sabato 11 aprile 2020
GIORNATA DI QUARANTENA
Giornata di quarantena:
-raccolte e pulite e lavate le ortiche. Adesso sono ad asciugare
Poi le trasformerò seccandole (= polvere da aggiungere alla pasta fatta in casa) o stufandole appena ( per il risotto)
- E ho fatto la pasta per la pizza da fare stasera per cena
- E la pasta per il pane fatta con una farina di grano duro speciale (la siciliana Tumminia)
E poi cucinato il pranzo, potato le clivie in maglietta, letto il giornale, controllato Facebook, trepidato per i dati della Protezione civile, tenuto i contatti via Whatsapp con gli amici - una giornata di quarantena, con Roberto e con Gigi e il cane e il gatto - anche le tartarughe (due su tre) si sono svegliate.
-raccolte e pulite e lavate le ortiche. Adesso sono ad asciugare
Poi le trasformerò seccandole (= polvere da aggiungere alla pasta fatta in casa) o stufandole appena ( per il risotto)
- E ho fatto la pasta per la pizza da fare stasera per cena
- E la pasta per il pane fatta con una farina di grano duro speciale (la siciliana Tumminia)
E poi cucinato il pranzo, potato le clivie in maglietta, letto il giornale, controllato Facebook, trepidato per i dati della Protezione civile, tenuto i contatti via Whatsapp con gli amici - una giornata di quarantena, con Roberto e con Gigi e il cane e il gatto - anche le tartarughe (due su tre) si sono svegliate.
venerdì 10 aprile 2020
LA FELICITÀ SI RICONOSCE SOLO A POSTERIORI
giovedì 9 aprile 2020
mercoledì 8 aprile 2020
DIALOGARE CON I FASCISTI
”Raccontavo a mio figlio ventunenne delle mie numerose litigate in rete con neofascisti e le mie fantasmagoriche strategie retoriche ed argomentative.
Lui, guardandomi con pietà filiale ma anche con il dovuto schifo generazionale di ha detto: Sbagliato! Tutto! Dimentichi la regola principale del dialogo con i fascisti: con i fascisti non si dialoga!
Loro ti sparano uno slogan che ti costringe a lunghissime frasi per spiegarne la non fattualità. Quando hai finito ti sparano il secondo slogan e tu ricominci i tuoi sermoni inutili. Chi segue certe ideologie raramente fa una scelta intellettuale mentre spesso è solo affascinato dalla semplicità e dalla energia di certe espressioni: ruspa! Prima gli italiani! Me ne frego!
Negativo è quindi anche qualsiasi tentativo di convincere con argomenti perché in una cultura intrisa di vittimismo e dietrologie ti si risponde con assurdità ancora più astruse degli slogan. L‘unica cosa positiva da fare è invece rivolgersi agli altri ascoltatori e spiegare tipo „questo fascista ha detto ciò, che però è sbagliato perché...[argomentazione]...“.
Mai parlare in prima persona con il fascista, mai accettare il dialogo, mai provare a redimerlo. Bisogna limitarsi a sfruttare la situazione per spiegare agli altri o agli indecisi.
Solo così si fa. Il resto sono stronzate.
Hai capito?
Ho annuito, incassato e portato a casa.”
(Post FB di Hubert Lehmann)
Lui, guardandomi con pietà filiale ma anche con il dovuto schifo generazionale di ha detto: Sbagliato! Tutto! Dimentichi la regola principale del dialogo con i fascisti: con i fascisti non si dialoga!
Loro ti sparano uno slogan che ti costringe a lunghissime frasi per spiegarne la non fattualità. Quando hai finito ti sparano il secondo slogan e tu ricominci i tuoi sermoni inutili. Chi segue certe ideologie raramente fa una scelta intellettuale mentre spesso è solo affascinato dalla semplicità e dalla energia di certe espressioni: ruspa! Prima gli italiani! Me ne frego!
Negativo è quindi anche qualsiasi tentativo di convincere con argomenti perché in una cultura intrisa di vittimismo e dietrologie ti si risponde con assurdità ancora più astruse degli slogan. L‘unica cosa positiva da fare è invece rivolgersi agli altri ascoltatori e spiegare tipo „questo fascista ha detto ciò, che però è sbagliato perché...[argomentazione]...“.
Mai parlare in prima persona con il fascista, mai accettare il dialogo, mai provare a redimerlo. Bisogna limitarsi a sfruttare la situazione per spiegare agli altri o agli indecisi.
Solo così si fa. Il resto sono stronzate.
Hai capito?
Ho annuito, incassato e portato a casa.”
(Post FB di Hubert Lehmann)
domenica 5 aprile 2020
CHIACCHIERE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS TRA VECCHIE AMICHE
Con tre vecchie amiche, un’amicizia dai tempi del lice e dell’Università, ho una chat di Whatsapp chiamata le Mancusiane perchè andiamo (ahimè, andavamo) insieme a Bologna a frequentare il Laboratorio di Etica tenuto da Vito Mancuso.
Le mie amiche sono Giovanna e Albertina. Questa qui riportata e ridotta è la nostra chat di oggi.
IO : Credo di avere fatto una cosa terribile: ho letto l’articolo di Mancuso su Repubblica di ieri. Il titolo è : I giorni del congiuntivo
Dopo averlo letto sono andata sulla pagina Facebook di Mancuso dove c’era postato l’articolo e l’ho criticato (non è terribile? Come ci ha detto lui i maestri non si discutono) perché mi ha infastidito. Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà non sono congiuntivo, ma IMPERATIVO (sia pure esortativo) e quindi il discorso cambia di molto. Lui non ha risposto, hanno risposto piccate alcune sue fan (il maestro non può sbagliare..). Ho fatto una cosa terribile, secondo voi? Peró anche lui diceva che i maestri devono essere molteplici e io ho avuto una bravissima maestra elementare...
GIOVANNA :Mah, potrebbe essere un congiuntivo esortativo, quasi un invito, è una preghiera, ma non offenderti se Mancuso non ha risposto, deve avere molto da fare.
IO :Ma carissima non sono per niente offesa, non aspettavo risposte e non asserivo che il modo fosse imperativo e basta. Cercavo di spiegare che la gamma delle sfumature era più ampia di quella evidenziata nell’articolo di Mancuso e che il ruolo delle religioni nella storia le ha percorse e tuttora le percorre tutte, dal passivo teologico, all’invito, al desiderio, all’esortazione, all’imperio. Tutto qui, niente di drammatico, solo una riflessione che però mi ha procurato (gentili) reprimende da seguaci di Mancuso. Vi copio qui una delle 12 risposte che ho avuto
SIGNORA XX: Provo a spiegare. "Sia santificato" è un passivo teologico. Per esempio, nel testo biblico il verbo al passivo, spesso ha come soggetto agente Dio stesso (passivo teologico) . In questo caso, l'espressione significa: "Padre, rivela all'uomo la tua santità al punto che l'uomo stesso se ne renda conto".
In questo passivo teologico c'é Dio che ci cerca, che sta alla porta e bussa e noi, nella nostra libertà, rispondiamo. La chiamata e la risposta
È una preghiera, un'invocazione espressa attraverso il nostro congiuntivo esortativo che non ha alcuna valenza impositiva. Pregare é un atto libero in cui ci spogliamo delle nostre umane certezze e ci affidiamo. Quando c'é Dio nella nostra vita, accettiamo i nostri umani limiti. Quando non crediamo togliamo la lettera D a Dio e rimane il nostro io, l'ego, con tutte le nostre umane imperfezioni e sopraffazioni.
Pregare é un atto di umiltà che ci aiuta a dare un senso a tutto questo dolore che, in questo momento storico, ci sovrasta.
"Signore, non abbandonarci in questa tempesta" In questa invocazione che Papa Francesco ha rivolto al Signore, c'é tutta la nostra vulnerabilità. La preghiera ci fa riscoprire vulnerabili ma desiderosi di amore da ricevere e poi dare.
IO: Ho risposto a questa signora rassicurandola che pur non avendo Dio e la preghiera nella mia vita cerco umilmente di non vivere solo per il mio ego, ma secondo principi di etica.
GIOVANNA :Giusta risposta Silvia👏e la preghiera è meglio che resti nei ns cuori, è quello il suo posto, e come dici tu si prega eticamente, cioè come ci si comporta
ALBERTINA: Non posso seguire e tantomeno entrare in disquisizioni del genere, per educazione e per convinzione. Le religioni e i loro riti mi interessano solo per le conseguenze sociali e politiche che hanno avuto e hanno. Continuo a credere che troppe volte le manifestazioni di fede abbiano allontanato e in ogni caso sviato la responsabilità individuale dalla responsabilità collettiva. Dall' etica? Esempio: In questi giorni provo molto fastidio per le continue manifestazioni di rinnovata consapevolezza verso l' altro, la 'certezza' che dopo saremo tutti migliori, fastidio per i bellissimi temini proposti da giornalisti e pensatori. Alla prima occasione di senso civico, di responsabilità verso la comunità ( lo stato sociale?) in massa ci si è precipitati a chiedere la propria parte di bonus, a prendere anziché a lasciare ad altri quello di cui non si ha, forse, poi tanto bisogno. Il congiuntivo che congiunge esortativo o no resta una bella disquisizione fine a se stessa. Il difficile è 'essere conseguenti'.
IO :Non sono d’accordo con quello che scrivi, Albe, anzi, (e mi permetto di scriverlo forte di una vecchia amicizia che mi fa essere certa che non ti offenderai) trovo questo moralismo “laico “ molto contiguo al “passivo teologico”. Mi sono rassegnata da diverso tempo (troppo rapidamente? Troppo semplicisticamente? Può essere) alle contraddizioni tra etica e realtà sia a livello collettivo sia a livello individuale - per tutti noi. Tutti. Faccio un esempio (piccolo) su me stessa: so perfettamente di non dover prendere per diletto voli aerei altamente inquinanti, ma lo faccio e so già che non riuscirò a farne a meno. Continuo peró a credere molto nella forza delle parole. Le parole costituiscono i pensieri, senza parole non ci sono pensieri. La (banale) osservazione sul modo del verbo si è trasformata in quelle che tu chiami “disquisizioni” e che invece sono pensieri su come concepiamo sfumature dell’etica. Lo stesso fiume di parole che ci inonda in questi giorni, parole anche banali, anche ambigue, sicuramente ridondanti, articolano però pensieri, a volte anche consolatori, forse a volte che richiamano altri pensieri. Poi la pratica è sicuramente contraddittoria e vile, mi stupirebbe il contrario. Altrimenti non si capirebbe perché non si è riusciti a mettere in pratica quello che Ambrogio Lorenzetti aveva già dipinto con chiarezza nel 1300 sul Buon Governo. Dopo quasi 1000 anni non ci siamo riusciti, ma le parole ancora sono lì a consentirci costruzione di pensiero (e di poesia, aggiungo)
ALBE: Hai ragione certo, ma ci sono giorni, momenti in cui mi è più faticoso sopportare. Le persone come te e spero anche come me, almeno, forse, hanno il beneficio di un po’ di senso critico. Anche verso il proprio non essere conseguenti.
E poi dicono che le sessantenni parlano solo di torte e nipoti...
Le mie amiche sono Giovanna e Albertina. Questa qui riportata e ridotta è la nostra chat di oggi.
IO : Credo di avere fatto una cosa terribile: ho letto l’articolo di Mancuso su Repubblica di ieri. Il titolo è : I giorni del congiuntivo
Dopo averlo letto sono andata sulla pagina Facebook di Mancuso dove c’era postato l’articolo e l’ho criticato (non è terribile? Come ci ha detto lui i maestri non si discutono) perché mi ha infastidito. Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà non sono congiuntivo, ma IMPERATIVO (sia pure esortativo) e quindi il discorso cambia di molto. Lui non ha risposto, hanno risposto piccate alcune sue fan (il maestro non può sbagliare..). Ho fatto una cosa terribile, secondo voi? Peró anche lui diceva che i maestri devono essere molteplici e io ho avuto una bravissima maestra elementare...
GIOVANNA :Mah, potrebbe essere un congiuntivo esortativo, quasi un invito, è una preghiera, ma non offenderti se Mancuso non ha risposto, deve avere molto da fare.
IO :Ma carissima non sono per niente offesa, non aspettavo risposte e non asserivo che il modo fosse imperativo e basta. Cercavo di spiegare che la gamma delle sfumature era più ampia di quella evidenziata nell’articolo di Mancuso e che il ruolo delle religioni nella storia le ha percorse e tuttora le percorre tutte, dal passivo teologico, all’invito, al desiderio, all’esortazione, all’imperio. Tutto qui, niente di drammatico, solo una riflessione che però mi ha procurato (gentili) reprimende da seguaci di Mancuso. Vi copio qui una delle 12 risposte che ho avuto
SIGNORA XX: Provo a spiegare. "Sia santificato" è un passivo teologico. Per esempio, nel testo biblico il verbo al passivo, spesso ha come soggetto agente Dio stesso (passivo teologico) . In questo caso, l'espressione significa: "Padre, rivela all'uomo la tua santità al punto che l'uomo stesso se ne renda conto".
In questo passivo teologico c'é Dio che ci cerca, che sta alla porta e bussa e noi, nella nostra libertà, rispondiamo. La chiamata e la risposta
È una preghiera, un'invocazione espressa attraverso il nostro congiuntivo esortativo che non ha alcuna valenza impositiva. Pregare é un atto libero in cui ci spogliamo delle nostre umane certezze e ci affidiamo. Quando c'é Dio nella nostra vita, accettiamo i nostri umani limiti. Quando non crediamo togliamo la lettera D a Dio e rimane il nostro io, l'ego, con tutte le nostre umane imperfezioni e sopraffazioni.
Pregare é un atto di umiltà che ci aiuta a dare un senso a tutto questo dolore che, in questo momento storico, ci sovrasta.
"Signore, non abbandonarci in questa tempesta" In questa invocazione che Papa Francesco ha rivolto al Signore, c'é tutta la nostra vulnerabilità. La preghiera ci fa riscoprire vulnerabili ma desiderosi di amore da ricevere e poi dare.
IO: Ho risposto a questa signora rassicurandola che pur non avendo Dio e la preghiera nella mia vita cerco umilmente di non vivere solo per il mio ego, ma secondo principi di etica.
GIOVANNA :Giusta risposta Silvia👏e la preghiera è meglio che resti nei ns cuori, è quello il suo posto, e come dici tu si prega eticamente, cioè come ci si comporta
ALBERTINA: Non posso seguire e tantomeno entrare in disquisizioni del genere, per educazione e per convinzione. Le religioni e i loro riti mi interessano solo per le conseguenze sociali e politiche che hanno avuto e hanno. Continuo a credere che troppe volte le manifestazioni di fede abbiano allontanato e in ogni caso sviato la responsabilità individuale dalla responsabilità collettiva. Dall' etica? Esempio: In questi giorni provo molto fastidio per le continue manifestazioni di rinnovata consapevolezza verso l' altro, la 'certezza' che dopo saremo tutti migliori, fastidio per i bellissimi temini proposti da giornalisti e pensatori. Alla prima occasione di senso civico, di responsabilità verso la comunità ( lo stato sociale?) in massa ci si è precipitati a chiedere la propria parte di bonus, a prendere anziché a lasciare ad altri quello di cui non si ha, forse, poi tanto bisogno. Il congiuntivo che congiunge esortativo o no resta una bella disquisizione fine a se stessa. Il difficile è 'essere conseguenti'.
IO :Non sono d’accordo con quello che scrivi, Albe, anzi, (e mi permetto di scriverlo forte di una vecchia amicizia che mi fa essere certa che non ti offenderai) trovo questo moralismo “laico “ molto contiguo al “passivo teologico”. Mi sono rassegnata da diverso tempo (troppo rapidamente? Troppo semplicisticamente? Può essere) alle contraddizioni tra etica e realtà sia a livello collettivo sia a livello individuale - per tutti noi. Tutti. Faccio un esempio (piccolo) su me stessa: so perfettamente di non dover prendere per diletto voli aerei altamente inquinanti, ma lo faccio e so già che non riuscirò a farne a meno. Continuo peró a credere molto nella forza delle parole. Le parole costituiscono i pensieri, senza parole non ci sono pensieri. La (banale) osservazione sul modo del verbo si è trasformata in quelle che tu chiami “disquisizioni” e che invece sono pensieri su come concepiamo sfumature dell’etica. Lo stesso fiume di parole che ci inonda in questi giorni, parole anche banali, anche ambigue, sicuramente ridondanti, articolano però pensieri, a volte anche consolatori, forse a volte che richiamano altri pensieri. Poi la pratica è sicuramente contraddittoria e vile, mi stupirebbe il contrario. Altrimenti non si capirebbe perché non si è riusciti a mettere in pratica quello che Ambrogio Lorenzetti aveva già dipinto con chiarezza nel 1300 sul Buon Governo. Dopo quasi 1000 anni non ci siamo riusciti, ma le parole ancora sono lì a consentirci costruzione di pensiero (e di poesia, aggiungo)
ALBE: Hai ragione certo, ma ci sono giorni, momenti in cui mi è più faticoso sopportare. Le persone come te e spero anche come me, almeno, forse, hanno il beneficio di un po’ di senso critico. Anche verso il proprio non essere conseguenti.
E poi dicono che le sessantenni parlano solo di torte e nipoti...
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