Ieri è morta la mamma ottantanovenne di Roberto, la splendida Bianca, la mamma che ho sempre invidiato a mio marito - amorevole, svanita, passata leggera sulla vita (il suo primo ricovero ospedaliero l’ha avuto a 88 anni, per esempio).
Non è morta di Coronavirus, ma ha avuto non si sa bene come definirlo giusto, un ictus? Un malore? Un collasso? Che l’ha fatta morire in un attimo, nel suo bagno mentre stava facendo la pipì.
Ha avuto una lunga e buona vita e anche una buona morte. Era terrorizzata e confusa da questo periodo che non capiva - non capiva perché non poteva uscire e perché noi non andavamo più se non parlando sulla porta o dal balcone e tutta la gente che moriva.... facciamo fatica noi, figuriamoci lei che aveva allentato per motivi anagrafici l’aderenza alla realtà.
Continua questo stillicidio di dolore di perdere persone amate e, di più, pezzi importanti della nostra vita che ci hanno accompagnato per tanto tempo e per un tempo fondamentale. Mi ricordo una vignetta che avevo visto su Facebook lo scorso Natale che diceva “ Il mio Natale preferito è quando c’eravamo ancora tutti” - sembrava impossibile, ma quei Natali sono finiti per sempre.
Oggi abbiamo fatto il “ funerale” ai tempi del Coronavirus. Ieri è venuta l’agenzia di pompe funebri a vestirla e comporla e a portare la cassa, ma non l’hanno messa dentro per paura di non passare per le scale. La Bianca ha quindi passato l’ultima notte nel suo letto e non nell’apposita “Sala del Commiato”, poi stamattina l’hanno portata giù, messa nella bara nell’ingresso del condominio, sigillato e poi avvitato la bara, posto sulla bara un bel mazzo di fiori, messa sul carro funebre seguito dalle nostre due macchine per i trecento metri che separano casa di mia suocera dal cimitero di Colorno. Al cimitero, che è chiuso, siamo entrati da un’entrata laterale, qui ci ha raggiunto il parroco di Colorno che ha impartito una breve benedizione cui abbiamo assistito in tre: io, Roberto e la badante della Bianca tutti ben distanziati e con mascherine e guanti. Il signore delle pompe funebri ha sfilato due rose dal mazzo e le ha infilate nel crocifisso incollato sopra la bara, hanno infilato la bara nell’avello e poi sono rimasti due operai (li conoscevamo entrambi, entrambi in pensione e quindi probabilmente lí come volontari AUSER) a chiudere l’avello.
La giornata era spettacolare e calda, il cimitero pieno di fiori in boccio, il silenzio regnava sovrano tranne le poche chiacchiere, fatte anche a voce bassa, di noi che eravamo presenti.
Mia suocera non sarebbe stata contenta: lei partecipava finché ha potuto a tutti i funerali dove incontrava parenti e amici che da lungo tempo non vedeva, abbracciava con le lacrime agli occhi i parenti del defunto, apprezzava le belle corone di fiori, la visita alla salma, il rito funebre e le parole di commemorazione del parroco (e il rosario la sera prima). Io invece odio i funerali, il chiacchiericcio, odio il rito funebre e ancora di più la commemorazione tranne pochi dignitosi casi, non capisco la fede, non piango quasi mai, non mi piace la pressione sul dolore che inevitabilmente ogni funerale esercita. Devo essere strana, lo so, non me ne vanto, anzi a volte mi preoccupo.
Così questo addio ai tempi del Coronavirus l’ho trovato più adatto a me, quieto, raccolto, nel sole e nel silenzio, senza orpelli e rumori di sottofondo, la malinconia che prevale, l’assenza che si fa vento, silenzio e profumo. Addio, nonna Bianca, che il passo ti sia lieve.
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