giovedì 19 marzo 2020

C’È

Non voglio fare della retorica, che è la nostra malattia nazionale, né delle considerazioni politiche: a crisi finita, si vedrà chi ha agito bene e chi ha sbagliato. La retorica è però particolarmente insidiosa, vischiosa, ti si appiccica addosso senza che tu lo voglia e sono quasi sicura di non riuscire -ahimè - ad evitarla del tutto. Le considerazioni politiche, inoltre, non sono solo posizionamenti politici, ma anche occhi e occhiali con cui si “legge” il mondo quindi anche queste non posso evitarle del tutto. Diciamo che cerco di parare il problema cercando di capire quello che mi piace, limitando al massimo i distinguo e le polemiche, anche se c’è molto (e molto insito negli stessi mi piace) che mi infastidisce.
Incomincerei dicendo che a me questa Italia spaventata, reclusa, desolata ma dignitosa piace molto. Mi sembra che finalmente stiamo tornando ai fondamentali del vivere civile che il rumore di sottofondo di ogni giorno spesso copre, azzera, mette in scena come finiti e antiquati.
Mi piacciono, è perfino banale dirlo, i medici e gli infermieri che non sono affatto “gli eroi”, come si dice con troppa enfasi e superficialità,  ma uomini e donne che fanno il loro dovere con semplicità  e rispettando i loro sacri giuramenti, la loro dirittura morale e anche probabilmente gli insegnamenti e gli esempi di bravi genitori e maestri (sí, esistono ancora, ne sono certa).  Adesso sforo consapevolmente nella retorica: l’altra  sera al Tg1 c’era una giovane medico di Parma cui facevano il tampone e che sperava che fosse negativo non per sé ma perché, diceva con assoluta semplicità, “vorrei tornare in corsia prima possibile”. In quel momento l’ho sentita vicina, quasi figlia mia.
Mi piace che si parli più di doveri che di diritti, spesso immaginari o assurdi o semplicemente privilegi. Mi piace che si parli del dovere di pagare le tasse come connesso al diritto alla salute. Mi piace che la banale ma fondamentale circostanza che è prioritario non danneggiare gli altri diventi opinione generale, sentire comune. Mi piace che finalmente nel novero degli “altri” ci siano i più fragili, i più deboli e che finalmente non se ne parli come un peso, ma come una parte a pieno diritto della nostra vita. Mi piace che si riscoprano le basi classiche, cristiane e umaniste delle nostra civiltà, in  fondo non tanto lontano dalle basi confuciane della società cinese, per cui l’idea di fare morire qualche migliaia di vecchi per salvare l’economia è indecente, impensabile, oscena. Mi piace la pietas verso chi soccombe, i deboli, i malati. Mi piace che non si pratichi la selezione naturale che sacrifica i deboli per rafforzare i forti.  È l’Italia, come qualcuno ricordava, di Enea, ma anche di Francesco d’Assisi e di Giovanni Pico della Mirandola.
Mi piace, e lo dico da atea,  che si torni a impetrare l’aiuto divino, inginocchiandosi agli stessi altari dei padri e dei padri dei padri. Servirà? Io credo di no, ma ha forte senso simbolico che il vescovo di Roma vada a piedi come un semplice pellegrino a pregare Dio di fermare il virus, la paura, il buio del significato della vita.
Mi piace che sui balconi spunti il Tricolore e si canti l’Inno. Mi piace che i social siano inondati di video e di messaggi d’amore per questo Paese di incomparabile splendore spesso offuscato da questa idea funesta di essere il meglio (e il peggio) del mondo.  Questi momenti non hanno niente a che fare con il nazionalismo: il nazionalismo è triste, diffidente, si nutre di nemici e di senso di superiorità, mentre la comunità, la condivisione, la vicinanza, servono a rassicurarci, a mettere in comune le angosce e la speranza di tutti.
La tragedia di una certa parte culturalmente minoritaria cui appartengo è quella di amare davvero e fuori di retorica l’Italia senza però stimarla troppo nei suoi vizi e nelle sue cialtronerie, ma adesso posso amarla anche con un pizzico di orgoglio.  E spero che qualcosa rimanga, anche dopo la fine dell’emergenza, quando la notizia principale tornerà ad essere l’ennesima sparata di Salvini e quanto sia cattiva l’Europa e quanto vada male l’economia. E i neri che ci invadono. Almeno, so che c’è e almeno potrò continuare a cercarla.

(Da un  post Facebook di Federico Mattioli, con mie integrazioni)

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