mercoledì 25 ottobre 2023

IL LAVORO DEL LUTTO

 Appunti dalla lectio magistralis tenuta da Massimo Recalcati nell’ambito della rassegna “Il rumore del lutto”, 22 ottobre 2023

Di che cosa siamo fatti noi umani? Siamo fatti delle parole degli altri, non delle nostre parole, ma delle parole che abbiamo incontrato. Siamo fatti delle parole con cui gli altri hanno definito la nostra vita, a volte causandoci traumi e dolore, ma anche gioia, amore, amicizia.e poi siamo fatti degli incontri che ci sono capitati nella nostra vita, buoni e cattivi.

Siamo fatti però anche di tutti i nostri morti, delle perdite che hanno scavato nelle nostre vite, delle lacune e dei deficit, di persone significative che abbiamo incontrato e perduto. È importante dire che nella FORMA UMANA della vita la morte è sempre PREMATURA (non lo è per la foglia, per l’ape), è sempre INNATURALE, porta sempre con sè una dose di atrocità e ingiustizia. Noi vogliamo sempre vivere ancora (H. Arendt “Noi siamo fatti per nascere, non per morire”). La vita è un soffio, un battito di ciglia e i nostri giorni sono contati (Ecclesiaste), ma attenzione! Tutte le forme di vita hanno i giorni contati, ma solo la vita umana CONTA i giorni e questo fa la differenza.

Il lutto è una reazione emotiva alla perdita di un oggetto significativo per la nostra vita. Ma quale perdita? Ci sono due dimensioni della perdita: la prima è la perdita NEL MONDO. Non posso più incontrare, toccare, vedere, parlare con la persona cara perduta. Seppellire qualcuno in luogo implica il miraggio del contatto, il tentativo di mantenere il contatto con la persona perduta (“vado al cimitero a trovare la mamma”).

La seconda dimensione della perdita é il vuoto, il buco che si apre nel NOSTRO CUORE, NELLA NOSTRA ANIMA.Il mondo è quello di prima, ma per noi non è più quello di prima (leggi C.S. Lewis, Diario di un dolore, Adelphi). D’altra parte, l’esperienza della perdita struttura costantemente la nostra vita (la perdita dell’utero materno quando si nasce, la perdita della consolazione del seno materno con lo svezzamento fino alla rescissione del legame familiare per diventare adulti…)

Quali  sono i destini del lutto? 

- il destino MALINCONICO del lutto. Il nero è il colore del lutto perché con il lutto i colori del mondo si spengono, il tempo si pietrifica e si immobilizza, si viene proiettati in dimensioni di introversione. Ma se il tempo si blocca allora il soggetto viene come aspirato dall’oggetto che non c’è più, rendendo impossibile la separazione dall’oggetto perduto. È vero che l’esperienza della perdita non coincide con il tempo della separazione, i tempi sono necessariamente sfasati, ma in un tempo più o meno lungo (il tempo del lavoro del lutto)l’esperienza della perdita diventa esperienza della separazione. Nella melanconia questo tempo non c’è, non si chiude, consegnando il soggetto a un destino fortemente depressivo, a una vita senza fulcro.

- il destino MANIACALE è esattamente l’opposto di quello malinconico: “non sento niente”, sostituisco immediatamente la perdita con qualcos’altro, “morto un papa se ne fa un altro. La procedura è sostitutiva, si procede alla negazione del lutto, alla sostituzione dell’oggetto perduto con nuovi oggetti che riempiono il vuoto. È un destino del lutto molto congruente con le spinte della nostra società contemporanea.

- il destino delLAVORO DEL LUTTO : non c’è malinconia e non c’è mania, si usa un lasso di tempo per trasformare la perdita in separazione. In questo processo continuiamo a vivere, lasciamo andare, ma tratteniamo con noi un “resto” della perdita. Tre sono gli elementi fondamentali del lavoro del lutto: il TEMPO (non esiste un lavoro del lutto rapido), la MEMORIA (bisogna ricordare e non siamo noi i padroni del ricordo. I ricordi arrivano, si impongono) e il DOLORE (non esiste lavoro del lutto indolore). A un certo punto, però, il lavoro del lutto finisce e si torna a respirare, la vita si alleggerisce. Il lavoro del lutto finisce quando la perdita si trasforma da peso per la vita a linfa per la vita.

Bellissimo e ricostruttivo del lavoro del lutto è un piccolo pezzo tratto da “Così parlò Zarathustra” di Nietzche 

Arrivato nella città più vicina, che sorgeva ai margini della foresta, Zarathustra vi trovò una gran folla radunata sulla piazza del mercato: perché avevano detto che si sarebbe visto un uomo camminare sulla corda. E Zarathustra così parlò alla folla:

«Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto voi per superarlo?

Tutti gli esseri hanno finora creato qualcosa al di sopra di se stessi: e voi volete essere il riflusso di questo grande flusso e tornare piuttosto all’animale che superare l’uomo?

Che cos’è la scimmia per l’uomo? Una risata o una dolorosa vergogna. E proprio ciò dev’essere l’uomo per il superuomo: una risata o una dolorosa vergogna.

Voi avete fatto la strada dal verme all’uomo, e molto c’è ancora in voi del verme. Una volta eravate scimmie, e ancora adesso l’uomo è più scimmia di qualunque scimmia.

Ma anche colui che è più saggio tra voi, non è che un dissidio, un essere ibrido fra la pianta e Io spettro. Ma vi ordino io di diventare spettri o piante?

Vedete, io vi insegno il superuomo!

Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà dica: sia il superuomo il senso della terra!

Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di speranze ultraterrene! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no.

Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!

Una volta il sacrilegio contro Dio era il sacrilegio più grande, ma Dio è morto, e sono morti con Dio anche quei sacrileghi. Commettere sacrilegio contro la terra è ora la cosa più spaventosa, e fare delle viscere dell’imperscrutabile maggior conto che del senso della terra!

… Ma allora accadde qualcosa che fece ammutolire tutte le bocche e strabuzzare tutti gli occhi. Nel frattempo cioè il funambolo si era messo all’opera: era uscito da una porticina e camminava sulla corda, che era tesa fra due torri, così che era sospesa al di sopra del mercato e della folla. Ma quando era giusto a metà del percorso, la porticina si riaprì e ne saltò fuori un tipo variopinto simile a un buffone, il quale andò a rapidi passi dietro al primo. «Muoviti, sciancato» gridò con voce terribile «muoviti poltrone, impostore, faccia sbiancata! Se non vuoi che ti solletichi col mio calcagno! Che stai a fare qui fra le due torri? Dentro la torre, dovresti stare, lì ti si dovrebbe rinchiudere, te che sbarri la strada a uno che è migliore di te!» E a ogni parola che diceva gli si faceva più vicino. Senonché, quando non era più che a un passo da lui, avvenne la cosa terribile, che fece ammutolire tutte le bocche e strabuzzare tutti gli occhi: cacciò un urlo da indemoniato e superò con un balzo quello che gli impediva il cammino. Ma l’altro, vedendosi superato dal rivale, perse la testa e l’equilibrio; lasciò cadere l’asta e schizzò, più veloce di questa, giù nel vuoto con un mulinello di braccia e gambe. La piazza e la folla sembrarono il mare quando è investito dalla tempesta: tutti fuggivano da tutte le parti, ma poi si ritrovavano a calpestarsi, e ciò soprattutto là dove stava per schiantarsi il corpo.

Zarathustra invece rimase fermo, e proprio accanto a lui venne a cadere il corpo, malridotto e spezzato ma non ancora morto. Dopo un momento, lo sfracellato riprese coscienza, e vide Zarathustra inginocchiarsi accanto a lui. «Che cosa fai tu qui?» disse infine; «sapevo da un pezzo che il diavolo mi avrebbe dato lo sgambetto. Ora mi trascina all’inferno: vuoi forse impedirglielo?»

«Sul mio onore, amico» rispose Zarathustra «niente di quello che dici esiste: non esiste il diavolo e non esiste l’inferno. La tua anima morirà prima ancora del corpo: non aver dunque più paura di niente!»

L’uomo guardò Zarathustra con diffidenza. «Se tu dici la verità» disse poi «allora io perdendo la vita non perdo niente. Non sono molto più di un animale a cui è stato insegnato a ballare, a forza di bastonate e di bocconi striminziti».

«Ma no» disse Zarathustra «tu hai fatto del pericolo il tuo mestiere, e in ciò non c’è nulla da disprezzare. Ora perisci per il tuo mestiere: per questo ti seppellirò con le mie mani.»

Quando Zarathustra ebbe detto ciò, il moribondo non rispose più; ma mosse la mano, come cercando la mano di Zarathustra per ringraziarlo.

Frattanto si andava facendo sera e la piazza del mercato veniva avvolta dall’oscurità: allora la folla si disperse, giacché anche la curiosità e la paura si stancano. Zarathustra invece rimase seduto a terra accanto al morto, sprofondato nei suoi pensieri: e così non si accorse del tempo che passava. Ma alla fine si fece notte, e un vento freddo si mise a soffiare sul solitario. Allora Zarathustra si alzò e disse al suo cuore:

In verità, una bella pesca ha fatto oggi Zarathustra! Non ha preso nessun uomo, sibbene un cadavere.

Un mistero inquietante è l’esistenza umana e ancor sempre senza senso: un buffone può esserle fatale.

Voglio insegnare agli uomini il senso del loro essere: che è il superuomo, il fulmine che scaturisce dall’oscura nube uomo.

Ma ancora sono lontano da loro, e quel che io sento non parla ai loro sensi. Per gli uomini io sono ancora qualcosa di mezzo tra un pagliaccio e un cadavere.

Oscura è la notte, oscure sono le vie di Zarathustra. Vieni, freddo e rigido compagno! Ti porterò in un luogo dove ti seppellirò con le mie mani.

Detto che ebbe ciò al suo cuore, Zarathustra si caricò il cadavere sulle spalle e si mise in cammino. Ma non aveva fatto ancora cento passi che un uomo gli si accostò di soppiatto e prese a sussurrare al suo orecchio — e, guarda, colui che parlava era il buffone della torre! «Va via da questa città, Zarathustra» disse; «troppi qui ti odiano. Ti odiano i buoni e giusti, chiamandoti loro nemico e disprezzatore; ti odiano i seguaci della fede verace, chiamandoti il pericolo della moltitudine. È stata la tua fortuna che si sia riso di te: e veramente, hai parlato come un buffone. È stata la tua fortuna che tu ti sia accompagnato a questo cane morto; abbassandoti così, per oggi ti sei salvato. Ma va via da questa città — o domani salterò al di sopra di te, un vivo al di sopra di un morto.» E detto ciò, l’uomo sparì; ma Zarathustra continuò a camminare per i vicoli bui.

Alla porta della città incontrò i becchini: essi gli fecero luce in viso con la fiaccola, riconobbero Zarathustra e lo schernirono molto. «Zarathustra porta via il cane morto: ma bravo, Zarathustra si è fatto becchino! Perché le nostre mani sono troppo pulite per questo arrosto. Vuole forse Zarathustra rubare al diavolo il suo boccone? Ebbene, buon prò! E buon appetito per il pranzo! Purché il diavolo non sia miglior ladro di Zarathustra! Purché non li rubi entrambi, non li divori entrambi!» E sghignazzavano tra loro, celiando e confabulando.

… Dopo di ciò Zarathustra camminò per altre due ore, confidando nel sentiero e nel chiarore delle stelle: per abitudine era infatti nottambulo e amava guardare in faccia le cose che dormono. Ma quando cominciò ad albeggiare, Zarathustra si ritrovò nel profondo di una foresta, in cui non si vedeva più alcun sentiero. Allora depose la morte nella cavità di un albero, all’altezza della sua testa — volendo proteggerlo dai lupi — e si stese egli stesso per terra, sul muschio. E subito si addormentò, col corpo stanco ma con l’anima immota.

Zarathustra dormi a lungo, e non solo l’aurora passò sopra il suo viso, ma anche la mattinata. Alla fine però riaprì gli occhi. Guardò meravigliato la foresta e il silenzio, guardò meravigliato in se stesso. Poi si levò di scatto, come un navigante che scorga a un tratto la terra, ed esultò: giacché aveva scorto una verità nuova. E così parlò allora al suo cuore:

Mi si è fatta luce dentro: ho bisogno di compagni e di uomini vivi — non di compagni morti e di cadaveri da portare con me dove voglio.

Ma di compagni vivi, ho bisogno, che mi seguano perché vogliono seguire se stessi — e là dove io voglio.

Il grande filosofo Jean-Luc Nancy, quando morì, lasciò solo un biglietto con scritto “Portatemi con voi”, non pregate per me, non andate alla mia tomba,ma portatemi con voi.

Il passato non è semplicemente un cimitero, il passato DIPENDE DA NOI. Esercitiamo responsabilità verso il futuro, ma anche rispetto al passato. Ogni volta che andiamo avanti risignifichiamo e attingiamo al nostro passato, lo “poetiamo con noi.

PS: come mai c’è un odierno dilagare (si vede nella pratica clinica) di disagi legati alla malinconia? Ovvio  che il lutto malinconico è una patologia, ma evidenzia anche una verità: l’oggetto perduto è davvero insosituibile…

sabato 21 ottobre 2023

QUALCOSA DI BUONO (IN MEZZO ALLA MERDA)

 Ammetto che dell’affaire Giambruno-Meloni non volevo proprio occuparmene a parte qualche facile battuta sulla famiglia tradizionale e orpelli connessi. Ma scrivo due righe solo per sottolineare un aspetto a mio parere molto positivo che non mi sembra sia stato evidenziato, nel gran rumore e chiacchiericcio che circondano la notizia.

Giorgia Meloni in questi mesi ha fatto da scudo a diverse esternazioni dei suoi fedelissimi che certo si contengono parecchio, ma alla fine non possono fare a meno di vomitare qualche sprazzo della loro subcultura volgare, machista e patriarcale. Ha coperto La Russa, Lollobrigida, consiglieri comunali e regionali, Giambruno con le sue esternazioni in trasmissione, perfino quel mostro di plastica della Santanchè eccetera - senza dimenticare la sua solida alleanza con Orban  (“troppe donne laureate distruggono la nostra cultura”, “le donne devono stare a casa a fare più figli”, “le donne prima di abortire devono ascoltare il battito del feto” ecc,) e Trump (di cui non cito niente, non è necessario). [osservo per inciso che l’unico che mi sembra abbia tenuto comportamenti civili sulle tematiche culturali, di genere e di convivenza civile è stato Crosetto e onore a lui per questo, pur ovviamente nell’ambito di una cultura conservatrice e di destra]. Ho sempre avuto un senso di nausea a leggere queste notizie.

La novità di quest’ultima vicenda è che per la prima volta, nell’ambito della destra, sento levarsi una voce autorevole di condanna e scandalo per questi comportamenti e di questo do atto al coraggio di Giorgia Meloni. Speriamo sia un trend che vada consolidandosi nel tempo. Per il resto, solidarizzo con la Meloni non tanto sulle strumentalizzazioni alla sua sicuramente dolorosa vicenda personale (mi sembra che le strumentalizzazioni non siano state numerose) visto che lei stessa ha sbandierato ripetutamente al vento i suoi (ipocriti) valori. Solidarizzo invece al pensiero che anche lei avrà che quella bella bambina bionda tra qualche anno ritroverà sul web i comportamenti e le esternazioni del suo (forse amato) papà e a come potrà essere aiutata ad elaborarle.

L’intellighenzia di sinistra da salotto televisivo e non che ironizza sulla vita privata di Giorgia Meloni mi fa schifo. Sarei clinicamente interessato a verificare le situazioni affettive di coloro che si permettono di sparare giudizi. Piuttosto Meloni dovrebbe avere il coraggio di dedurre le conseguenze politiche di quello che sta dolorosamente vivendo abbandonando una rappresentazione retoricamente patriarcale della famiglia.

Post FB di Massimo Recalcati

Molto più caustica di me Chiara Valerio su Repubblica

Il presepe infranto di Meloni e Giambruno non sarebbe di alcun interesse politico se non rivelasse la triste finzione sulla quale si fonda questo governo. Questa distanza tra dire e fare, tra sé privato e sé pubblico, dimostra che non sono in grado, nemmeno in casa loro, di vivere come dicono si debba vivere per essere bravi, buoni e giusti cittadini e cittadine, e dunque ripetono parole e propongono forme di vita in cui non credono e legiferano su argomenti che per loro stessi sono improponibili. La vita privata di chi governa smentisce post dopo post, azione dopo azione, le parole di chi governa. Non somigliano a ciò che dichiarano, somigliano invece a noi che ogni giorno ci confrontiamo coi nostri tentennamenti sentimentali, morali e logici.

Mentre la sua solita realistica ironia prevale in Michele Serra (Amaca su Repubblica)

In seguito alle note vicende che hanno portato a un reimpasto in casa Meloni, ci si domanda se tra il radical-chic e il burino non si possa individuare una dignitosa via di mezzo che possa finalmentre riunificare l’Italia. Tra il mangiare con l’argenteria sfogliando cataloghi del Bauhaus e toccarsi ogni due minuti il pacco vantandosi del ciuffo e importunando le signorine, si individui per favore una terza viae la si imbocchi con unanime buona volontà.

Perdiradare gli equivoci già in partenza: la terza via non è sfogliare i cataloghi del Bauhaus toccandosi il pacco. Consiste nel darsi quel minimo di misura, di aplomb, di riserbo che potrebbe consentire a tutti di convivere un po’ più decentemente.

Alla destra frescona (il cui leader indiscusso in questi guorni non è più Pino Insegno ma l’ex-primo marito) non si chiede di diventare riflessiva e colta: sarebbe un orribile snaturamento. Ci va benissimo così: frescona, leggera, sempre di buon umore che tanto l’importante è la salute, mejo se con du’bucatini alla matriciana e un par de scarpe nove (spero che la citazione non sia troppo colta:Ettore Petrolini e Nino Manfredi)

La destra frescona è un antidoto alla nostra pensosa depressione, per carità non perda mai la sua innocenza. Le si chiede, banalmente solo se può essere un po’ meno cafona. Non si pretende che leggano Musil, solo che non si aggiustino le balle mentre parlano. In fondo è poco. Ce la possono fare.









venerdì 20 ottobre 2023

NON ANDRÀ MAI BENE

 Ho sentito stasera al Tg7 Biden che parlava in conferenza stampa con Netanhayu. Ovviamente sopra c’era la traduzione in italiano ma per la lieve distonia che c’è sempre ho sentito un pezzettino dell’originale in inglese pronunciato da Biden. In italiano “so che non è stata Israele” (a bombardare l’ospedale di Gaza), in inglese Biden ha detto “I know it wasn’t your team”. Team? Team! TEAM🤮. Ma come cazzo parlano gli americani? Se hanno ragione i linguisti che dicono che chi parla male pensa male e che senza le parole per dirlo i pensieri non possono essere formulati……e non lo spazzacamino (con tutto il rispetto per gli spazzacamini) ma IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI. Un altro “team” ha bombardato un ospedale e fatto 500 morti. Non andrà mai bene…

lunedì 16 ottobre 2023

EQUIDISTANZA?

 (Non volevo scriverne. Scriverne mi procura fatica e dolore, un senso di inutilità e di impotenza, una mancanza di senso, una impacciata vergogna. Ma sono arrabbiata, molto arrabbiata, delusa, piuttosto avvilita. Scriverne non mi darà sollievo, ma segnerà un punto, così i pensieri non continueranno a frullare incontrollati).

Ho incrociato opinioni e commenti sulla guerra (guerra? Sì, sembra proprio una guerra, una delle tante del conflitto tra palestinesi e israeliani, con contorno di Iran, Egitto, Paesi Arabi, USA, Russia, ONU… perfino ora le vuote parole del ministro cinese) che mi hanno fatto arrabbiare e che mi hanno fatto rabbrividire.

Cosa mi ha fatto arrabbiare? Al solito, le balle spaziali di coloro che per ideologia o per calcolo sparano affermazioni grossolanamente false. Le balle più spaziali riguardano la negazione delle atrocità della notte in cui Hamas ha aggredito gli ebrei (dico ebrei perché Hamas ha sempre sostenuto che il suo fine è di eliminare tutti gli ebrei, non solo lo Stato d’Israele, e la differenza non è sottile, ma ha spessore per interpretare quello che succede)  - loro stessi si sono efficacemente filmati mentre le compivano. Altre balle meno spaziali, ma subdolamente altrettanto pericolose, riguardano l’esagerazione e il voyeurismo parossistico di quelle stesse atrocità da parte di un giornalismo non degno di essere definito giornalismo e i ridicoli richiami allo “storico territorio palestinese” (non è mai esistito uno Stato palestinese, prima della prima guerra mondiale c’era l’Impero Ottomano e una popolazione arabo-musulmana in lotta tra di loro fra sciiti e sunniti. Nel 1948 abitavano l’attuale territorio circa 1 milione di Arabi musulmani, circa 150,000 arabi cristiani e circa 700.000 ebrei. Oggi abitano il territorio di Israele circa 10 milioni di abitanti , di cui circa 7 milioni di israeliani e circa 2,5 milioni di arabi israeliani. Rispetto ai palestinesi la stima - si parla di stima perché nella strisca di Gaza il sistema anagrafico praticamente non esiste, presso l’Autorità Palestinese il sistema anagrafico è sistematicamente gonfiato per avere più aiuti internazionali e nei campi profughi dislocati in Giordania, Libano e Siria solo in Giordania ai profughi sono riconosciuti i diritti civili - è di circa sei milioni). Interessante è anche la polemica che verte sulla scelta di molti media internazionali di non definire “terrorista” Hamas, dimenticando che tutti questi media argomentano che il terrorismo è solo uno degli elementi che definiscono Hamas, che è molto di più di una semplice organizzazione terroristica, ma un movimento che trova nella fanatica interpretazione di una religione belligerante e nelle relazioni e nei finanziamenti internazionali una dimensione istituzionale e geopolitica che non ne fa un gruppuscolo, ma un movimento che spinge per la guerra.

Cosa mi fa rabbrividire? Mi fanno rabbrividire tutti coloro che con analisi tutte contenenti elementi di verità affrontano però la situazione dalla prospettiva “o noi o loro”, che è la prospettiva dell’annientamento di un campo o dell’altro come soluzione finale. Non so come, ma tanti non si rendono conto di quello che vanno sostenendo, da una parte e dall’altra. È una prospettiva per me folle e inaccettabile.

E veniamo all’equidistanza. Personalmente, odio l’equidistanza, a mio parere solo uno strumento dietro al quale si celano coloro che non vogliono dire da che parte stanno per seminare zizzania liberamente senza dover dimostrare ciò che affermano o semplicemente coloro che se ne fregano. Io non sono equidistante, sto dalla parte di Israele perché non potrei mai stare dalla parte di chi usa (e addirittura apertamente teorizza) lo stupro come arma di guerra. Ma proprio perché sto dalla parte di Israele credo sia necessario definire i contorni di questa guerra e affermare che Hamas non è il popolo palestinese e che anzi Hamas è il peggiore nemico del popolo palestinese. Che Hamas usa il popolo palestinese come scudo umano, che non ha mai fatto niente per il popolo palestinese, perché avrebbe dovuto comprare dissalatori per l’acqua potabile, invece di armi, perché avrebbe dovuto implementare una politica di contenimento delle nascite in un paese ad altissima densità demografica invece che incitare a creare nuovi combattenti islamici, perchè avrebbe dovuto mostrare il popolo palestinese per quello che è, povera gente perseguitata da tanti decenni, divisa in tante piccole patrie inospitali, ostili e pericolose, vittima di apartheid da parte di un popolo che a sua volta di apartheid se ne intende parecchio e di una spirale di paura che deve, DEVE essere spezzata. Io non ti ammazzo, tu non mi opprimi e mi ammazzi. Israele ha diritto alla difesa, ma non all’annientamento. Israele è oppressore perché  Hamas è terrorista, Hamas è terrorista perché Israele è oppressore, anzi, diciamola meglio, l’oppressione di Israele (e la corruzione di Fatah) ha dato molto spazio e credito ad Hamas tra il popolo palestinese. E nessuno usi la stupida argomentazione che in guerra bisogna ricompattarsi e non criticare la propria parte: qui si tratta di capire contro chi o che cosa combattiamo e con quali limiti e prospettive.

Se non si spezza la spirale, non c’è speranza.  Ci sono refoli di speranza e realtà che bisogna cogliere. L’80% degli abitanti di Gaza vive di aiuti umanitari e gli aiuti umanitari vengono in gran parte dall’odiato Occidente (per non parlare degli ospedali).  In Israele molte voci anche estremamente lucide, efficaci ed autorevoli (purtroppo si è taciuta l’amorevole e potente voce di Bull, ma è rimasta la dolente e netta voce di Grossman) potrebbero alzarsi se il terrorismo non le azzittisse imponendo la sua realtà di violenza e paura. Nonostante la chiamata alla sollevazione dei palestinesi fuori dalla striscia di Gaza, insistentemente chiamata da Hamas, non c’è stata mobilitazione di massa, ma solo i soliti attentati di cellule dormienti. Cina e Iran abbaiano parecchio, ma hanno i loro guai e dei palestinesi non gliene frega niente. Gli altri Stati arabi compartecipano con Israele a quello che Amnesty ha chiamato (secondo me giustamente) l’apartheid del popolo palestinese (comprensibilmente non vogliono terroristi nel loro stesso paese).

Ma là nelle loro moschee e nelle loro sinagoghe salmodiano maschi che vogliono l’annientamento reciproco. E dappertutto, anche da noi, scrivono e parlano, in un mix di balle ed ipocrisie, uomini e donne accecate dall’odio, dall’ideologia e dall’intolleranza, incuranti di credere ai propri occhi e alla storia. A nessuno di loro dobbiamo cedere. 

“Ti solleverò tutte le volte che cadrai”

(Rileggo a distanza di soli cinque giorni questo post e mi rendo conto della misera inadeguatezza di queste parole di fronte a quello che succede, a tutto il dolore e la distruzione che stanno avvenendo, con l’evidente prevalenza al momento della linea o noi o gli altri. Mi consolerebbe leggere parole più adeguate, ma non ne ho trovate…)

mercoledì 11 ottobre 2023

QUEGLI ALTRI NEL NOME DI DIO

 Nel 1967 avevo tredici anni. Ricordo ancora Arrigo Levi, conduttore del telegiornale (uno solo; il TG2 arriverà nove anni dopo), che annuncia lo scoppio repentino della guerra dei Sei Giorni. Subito scese, in famiglia, quell’atmosfera di gravità che percepisci anche quando non sei ancora abbastanza grande per valutare fino in fondo il calibro della notizia. Guardi le facce degli adulti e capisci solo che la Storia si sta facendo, e disfacendo, esattamente in quel momento, come quando Cuba diventò la miccia che si temeva non potesse essere più spenta, come quando spararono a John Kennedy, come quando l’uomo mise piede sulla Luna, come quando le Brigate Rosse rapirono Moro.


Qualcuno, più esperto o più coinvolto di me, saprà sicuramente spiegare che cosa è cambiato, da allora, tra israeliani e palestinesi, e nello scenario internazionale che attorno a quel conflitto si dispiega, che lo arma e lo influenza. Ma nella mia percezione “Israele” e “Palestina” sono ancora rimaste quella stessa identica cosa; è come se i loro nomi facessero sempre lo stesso suono di quel telegiornale di più di mezzo secolo fa. Sono i due elementi di un problema insolubile, due pezzi non combaciabili eppure costretti l’uno contro l’altro, uno yin e uno yang disegnati da un incapace, destinati a non essere mai complementari.”
Dei grandi conflitti novecenteschi in mezzo ai quali sono cresciuto (Usa/Urss, capitalismo/comunismo, borghesi/operai, morale cattolica/libertà sessuale, e scendendo nel dettaglio geografico la guerra civile tra protestanti e cattolici in Irlanda del Nord, le bombe dell’Eta contro la sovranità spagnola, l’irredentismo sudtirolese contro la sovranità italiana) non ne rimane in piedi neppure uno. Si sono evoluti, o dissolti, o stemperati, o addirittura risolti. Israele/Palestina no, è come se quel nodo non appartenesse alla trama della Storia, fosse una specie di maledizione biblica in luoghi biblici.

Semmai, a peggiorare la situazione – con una battuta da miscredente: a renderla sempre più biblica – è la progressiva radicalizzazione religiosa delle due parti. Il prevalere dell’islamismo di Hamas tra i palestinesi, del nazionalismo ortodosso tra gli israeliani. I fanatici religiosi sono al governo in Israele e i fanatici religiosi indirizzano l'attacco di sabato nella striscia di Gaza. Sequestrano la scena a tutti gli altri e indirizzano la trama secondo il loro unico desiderio, che è annientare l’infedele. L’identità confessionale diventa irriducibile e furibonda. La distruzione del nemico una missione per conto di Dio.
Mi concedo questo pensiero. Il conflitto tra israeliani e palestinesi è la conferma del peso nefasto che il fondamentalismo religioso esercita nelle vicende umane. Non è la sola tara, il solo vizio che l’umanità si porta addosso, né, come è ovvio, il solo motore di quel feroce corpo a corpo tra due popoli. Ma è quello più indecente e più incivile. Dove vince la teocrazia (che vorrebbe dire, etimologicamente, dominio di Dio, nei fatti significa dominio di fanatici religiosi), sistematicamente perdono la libertà e la ragione. Così come esistono gli indiavolati, esistono gli indiati, ed è una forma di possessione ugualmente mortifera, con l’aggravante che in genere è socialmente accettata. 

L’imam feroce, il rabbino invasato, il reverendo pazzo non vengono additati, nei loro ambienti, come nemici da emarginare, o sobillatori ignobili: peccato, perché lo sono.
Solo un eventuale governo di atei o di agnostici (israeliani e palestinesi), conquistando il potere di qui e di là, potrebbe aprire una fessura di speranza in quel macigno di odio. Ma voi capite: è pura fantascienza. Non essendo gli atei e gli agnostici depositari di alcun potere politico e di alcun seguito popolare, Israele e Palestina continueranno a essere, in eterno, il nome della sconfitta di entrambi.

(Michele Serra, post di OK BOOMER, il Post, 9 ottobre 2023)

Strage degli innocenti. Il terrore di Hamas nel nome di Dio



sabato 7 ottobre 2023

EUROPA

Che cosa significa la parola Europa, da dove nasce?

Europa innanzitutto è una donna, è una asiatica e questa è una cosa su cui dovremmo riflettere - Europa è asiatica. È la nostra grande Madre, una donna benedetta dagli Dei perché il capo degli dei si fa carne in lei e anche ha a che fare con il Mediterraneo perché altrimenti nel mito greco non avremmo assistito a questo leggendario trasloco di una donna sulla groppa di un toro verso un’isola dell’Occidente. Questo ci dice molte cose, che, in traslato, la terra Europa è una terra che non è separabile dall’Asia, che ha visto quasi sempre le popolazioni che l’hanno formata venire da Oriente, che ha il Mediterraneo come suo centro naturale, e che è una gran terra, una terra benedetta da Dio perché voi, da qualsiasi parte arriviate, in Europa vedrete che improvvisamente il verde è visibile dal finestrino del vostro aeroplano. 

Prima avevi soltanto terre sterminate, non misurabili, lontanissime dal mare, in cui il colore giallo, o il colore bruno, trionfano. L’Europa è una terra fertile e quando io racconto ai miei nipotini cosa è l’Europa (questo l’ho fatto anche con l’Orchestra Giovanile Sinfonica Europea con la quale collaboro come voce narrante) dico ai miei nipotini che l’Europa è il proseguimento dell’Asia, che è una terra fortunata, una terra che ha il mare dappertutto, una terra piena di acqua, di monti, di fiumi, di città, un luogo misurabile, dove da un campanile vedi un altro campanile e da una montagna vedi un’altra montagna. Non è quello sterminato nulla che è la Piana Sarmatica che porta verso Mosca e oltre, o la Siberia. 

Ecco, quindi, trovo che noi si abbia completamente perso il senso dolce dell’appartenenza a questa patria comune dove il muezzin e il campanile possono vedersi da vicino, dove le diverse religioni si incontrano, dove tutto sommato tu puoi rincasare la sera senza essere aggredito o senza essere portato via dalla polizia per qualcosa che hai detto. Queste cose i miei nipotini le capiscono ed è una cosa che secondo me è avvertibile da chiunque se ne va dall’Europa. Come ti allontani, questa radice si consolida in te. È la lontananza che genera il desiderio di Europa, così come lo genera in questi migranti, ed Europa in questo suo passaggio avventuroso in groppa a un toro sul Mediterraneo è a tutti gli effetti una migrante, anzi lei è la capostipite di tutte le migranti.  Nella paura di questa ragazza aggrappata alle corna di questo toro tu vedi gli stessi occhi delle migranti africane o siriane che cercano di attraversare il mare.”

(Paolo Rumiz intervistato da Mario Calabresi, podcast Altre Storie, episodio 18 “Da Sarajevo a Mariupol, la lezione da imparare”, caldamente raccomandato)

“L’etimologia della parola Europa è incerta, forse deriva dall’antico fenicio, ereb (occidente), ma il fonema eu a inizio di parola ci trasporta a immaginare qualcosa di buono e positivo.

Così anche nella mitologia greca la discendenza di Europa è incerta: Esiodo la vuole figlia di Teti e Oceano, nell’Iliade è detta figlia di Fenicio, mentre per Erodoto era principessa di Tiro e figlia del suo re Agerone. Qualunque sia la sua famiglia, il mito racconta che un giorno Europa stava giocando sulla spiaggia quando fu notata da Zeus che se ne invaghì. Per prendere la ragazza, Zeus chiese ad Ermes di far muovere una mandria sulla spiaggia e, assunte le sembianze di un toro bianco si frammise tra i bovini e si avvicinò. Europa sorpresa dalla mansuetudine dell’animale, quando questo le si accucciò accanto, gli salì in groppa. Così Zeus potè rapire la fanciulla galoppando verso il mare che attraversò sempre in forma di toro per giungere fino all’isola di Creta dove forse con altro espediente vinse le resistenze della ragazza. Nacquero così i tre figli di Europa, Minosse, futuro re di Cnosso, Radamante, poi giudice nell’aldilà, e Sarpedonte, forte alleato di Troia. Prima di lasciare Europa, Zeus le fece tre doni: un fedele cane, un colosso di bronzo che proteggesse Creta e un giavellotto infallibile. Europa avrebbe quindi sposato il re di Creta, Asterio. Nel mentre i fratelli di Europa si affaticarono nella ricerca della sorella, mai trovandola, ma fondando numerose altre colonie nel Mediterraneo.”

Brutto, a pensarci con la sensibilità di adesso, ma dalla storia sembra che Europa sia stata vittima di un inganno, di un rapimento e di uno stupro ripetuto (anche questo la accomuna alle migranti di oggi). Non molto beneaugurante, anzi per niente. Però la narrazione di Rumiz è affascinante.


mercoledì 4 ottobre 2023

CATTIVI PENSIERI


 Stamattina verso le 8, scesa dalle scale appena uscita dal letto con il mio pigiamino azzurro e grigio e come sempre parecchio rintronata, entro in cucina per versarmi il provvidenziale caffè mattutino. La cucina è già abitata da ore dall’insonne marito, il caffè è nella moka e come ogni mattina la televisione è accesa su Rainews24. Appena metto piede in cucina, la notizia “I paesi della NATO sono preoccupati per gli arsenali ormai in carenza di munizioni da inviare in Ucraina e molti hanno preso provvedimenti per intensificare la produzione di munizioni”. Repentinamente, con la mia tazzina in mano, ho pensato (e ho anche avuto la sensazione fisica) che siamo prigionieri della follia, non importa se collettiva o di pochi a questo livello di ragionamento, siamo topi in trappola a reiterare comportamenti che sappiamo folli, ma sembra senza alternative. Chissà se quegli uomini e quelle donne “alacremente” impegnati a costruire munizioni pensano mai che a quelle munizioni corrispondono case, strade, persone (sogni) improvvisamente distrutte; chissà se hanno mai come me la sensazione di essere topi in trappola, costretti a girare sempre a vuoto. Impreco sottovoce e, rivolgendomi a Roberto, la metto così “Com’è che il caffè stamattina non ha il solito buon sapore?”. In realtà parlavo della vita, non del caffè…


PS Ho scritto questo post solo tre giorni fa, ma ieri Hamas ha deciso di aggredire Israele scatenando di fatto una pericolosissima guerra senza senso. E i topi continuano a girare a vuoto, ma sempre più freneticamente. Mi tappo le orecchie per non sentire il rumore assordante che generano.