Quello che noi intendiamo come democrazia è un modello di organizzazione politica sviluppato per ottenere la maggiore partecipazione possibile dei cittadini e la migliore rappresentazione possibile dei loro interessi all’interno di e per gli stati nazionali. La democrazia come la conosciamo è un prodotto del diciannovesimo secolo. E’ legata in maniera inscindibile al nazionalismo, come d’altro canto la nascita delle nazioni è stata condotta dagli eroi dei movimenti popolari. La nostra democrazia, le nostre idee di democrazia, le nostre esperienze con la democrazia, le nostre aspettative nei confronti della democrazia, tutto ciò che consideriamo standard democratici auspicabili, tutto questo era ed è ancora adesso la democrazia nazionale – dobbiamo inventare una nuova democrazia che non sia vincolata all’idea di stato nazionale, transitando dal diciannovesimo al ventunesimo secolo. Senza cadere nella trappola e nella tentazione della supernazione, sul modello degli USA.
La storia è piena di forme di organizzazione democratica scomparse allo scomparire dei loro presupposti, per esempio la classica democrazia antica è giunta al termine col superamento della società fondata sullo schiavismo, sostituita da una nuova formazione sociale.
In Europa sta nascendo qualcosa di completamente nuovo: il primo continente postnazionale. Questo funzionerà solo se sviluppiamo anche un nuovo modello di democrazia che rispecchi questo sviluppo storico. I più grandi deficit democratici dell’attuale costruzione della UE si potrebbero eliminare senza difficoltà e con poca fatica: è vero che la Commissione europea ha un problema di legittimazione. Lo si risolverebbe subito se i Commissari fossero eletti dall’Europarlamento, ma questo richiede che l’Europarlamento ottenga tutti i diritti previsti dal parlamentarismo, in primo luogo l’autorità sul budget.
Nella situazione attuale, sempre più intrecciata e accavallata a livello globale, la semplice idea che una nazione possa imporre gli interessi della maggioranza della propria popolazione a scapito delle altre, trovando la felicità nella forma di una monade aggressiva e solipsistica, è del tutto assurda. Date le condizioni in cui possiamo organizzarci e dobbiamo costruire la nostra vita, tutto si verifica a livello transnazionale: la creazione di valore, i flussi finanziari, l’ecologia, la comunicazione, la cultura.
Questa crisi non è finanziaria o monetaria, bensì politica. Gli interessi nazionali dei singoli stati membri hanno impedito che insieme alla moneta comune, che ha rappresentato un grande passo avanti per l’integrazione, venissero decisi anche gli strumenti politici indispensabili: una comune politica finanziaria, fiscale ed economica. I singoli stati nazionali non hanno voluto cedere tanta sovranità.
Non si pensa a una supernazione e quindi per esempio non si pensa a una lingua comune. Una lingua comune è ambizione di uno stato nazionale. In Europa il tema non si pone, perché non si tratta di far nascere una nazione europea. La pluralità linguistica e culturale costituisce la ricchezza di questo continente, che produce identità a livello locale. L’identità europea altro non è che la certezza che il continente sia solido e compatto per quanto riguarda l’uniformità del quadro normativo, i diritti umani, lo stato di diritto, la pace, l’equità e la sicurezza sociale.
(Robert Menasse, Un messaggero per l’Europa, Sellerio)
(Robert Menasse, Un messaggero per l’Europa, Sellerio)
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