Ritorniamo all’inizio: l’idea era di creare un’Europa che trasse un insegnamento reale ed efficace dalla propria storia disastrosa ed è proprio questa grande idea comune che unisce, negata di continuo, il progetto europeo. Era un’idea geniale: : strappare le radici del nazionalismo mediante la limitazione e l’intreccio delle economie, e in questo modo non solo conciliare nazioni avversarie, ma anche superarle attraverso l’interdipendenza delle economie nazionali, creando così pace autentica e duratura. E si sa che tutto ciò che chiamiamo cultura o che associamo con la cultura si sviluppa meglio nella pace che nella deprivazione e nella distruzione provocate dalla guerra e dall’economia di guerra.
L’Unione europea come progetto di pace e libertà è quindi, a ben vedere, essenzialmente anche un progetto cultural- politico. E il peso dell’economia in questo progetto non è un problema, bensì la sua forza: è la base concreta che serve per qualsiasi idea, è la realtà che, come hanno più volte dimostrato gli ultimi decenni, non tiene testa all’idea e si modifica di continuo. Il problema, quindi, o semmai l’aspetto arrogante, non è quindi prefissarsi una politica culturale europea, bensì il fatto che oggi gli stati nazionali non le concedono il portafoglio. La Cultura è da ogni punto di vista il settore più povero della struttura dell’Unione europea. Manca di budget, di competenze, di peso: la politica culturale è rimasta alla sovranità dei singoli Stati membri.
(Robert Menasse, Un messaggero per l’Europa, Sellerio)
(Robert Menasse, Un messaggero per l’Europa, Sellerio)
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