Da un po’ di tempo accarezzo l’idea di documentarmi un po’ di più sull’Europa e sulle varie cose che sento in giro la cui superficialità, pressapochismo e strumentalizzazione politica appaiono evidenti anche a chi non ha studiato abbastanza. Ho letto un po’ in giro e soprattutto ho trovato un libro molto interessante (Robert Menasse, Un messaggero per l’Europa, Sellerio) che tenta proprio di analizzare le “parole d’ordine” che vengono usate per l’Europa. In qualche post cercherò di spiegare quello che ho capito. Intanto il senso storico e politico che sta alla base dell’Unione Europea.
A metà del secolo scorso l’Europa giaceva di nuovo in macerie. L’ideologia della nazione autodeterminata, autocosciente e autocratica, le dinamiche del nazionalismo, le “storiche avversioni” tra nazioni, il tentativo di imporre a tutti i costi gli “interessi nazionali” a scapito degli altri stati sono costati la vita a milioni e milioni di persone, hanno inferto sofferenze senza fine ai sopravvissuti e il nazionalismo sfrenato ha trovato il proprio culmine in un atroce crimine contro l’umanità che oggi ha come simbolo Auschwitz. Quindi, se mai ci si fosse lasciati alle spalle quella miseria, sarebbe stato necessario far sì che le catastrofi prodotte dal nazionalismo e dagli interessi conflittuali delle nazioni non potessero più ripetersi. L’idea dei padri fondatori del progetto di pace europeo era di agevolare un tale intreccio istituzionale ed economico tra nazioni, rendendole interdipendenti, da impedire il perseguimento di qualsiasi interesse individuale, come accade nel commercio comunitario. Il motivo razionale e storico di quella che sarebbe diventata la UE è quindi l’ambizione, satura di esperienze sanguinose, di superare il nazionalismo mediante uno sviluppo postnazionale da organizzare e portare avanti attraverso istituzioni sovranazionali.
Ovvio che la UE, per come è impostata, è un progetto elitario. L’utopia consisteva nel costringere gradualmente gli stati nazionali a cedere sovranità intrecciando le loro economie, soffocarli passo dopo passo finchè non fossero scomparsi sfociando in un’Europa senza confini. Già allora questa idea della necessaria scomparsa degli stati nazionali non aveva la maggioranza, malgrado le catastrofiche esperienze di tipo nazionalistico fossero ancora fresche e ognuno avesse ben chiare davanti agli occhi le conseguenze dell’estasi nazionalista. Ma dalla critica del carattere “elitario” della UE emerge in realtà il malessere per la perdita strisciante di una identità che a ben vedere è sempre stata una chimera, ma che ha potuto tenere insieme le èlite e il popolo all’interno degli stati nazionali.
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