Alcuni giorni fa è stata assassinata con diverse coltellate, nella tranquilla Reggio Emilia obnubilata dall’afa, una giovane barista cinese per mano di un balordo marocchino già oggetto di due decreti di espulsione ovviamente non eseguiti. Il bar, il Moulin Rouge, è proprio al Foro Boario, dove ogni giorno parcheggio la macchina, ma io non lo frequento, sia perché la clientela non mi rassicura granché sia perché il mio razzismo si manifesta chiaramente quando vedo un cinese a farmi il caffè - evito i bar con baristi cinesi, me ne vergogno un po’.
Non è ancora stato accertato il movente, ma alcuni media stanno già parlando di “delitto passionale”, un termine che odio perché identifica la passione a giustificare la violenza, confondendo tra l’altro la violenza con l’amore. Qualsiasi siano state (e saranno accertate) le motivazioni che hanno spinto un giovane uomo ad assassinare con tale violenza una giovane donna, quello che ancora una volta viene messo in scena è un uomo che chiede il controllo e la decisione - fino all’estremo limite - sulle donne e in particolare sul loro corpo. Ovviamente, se il femminicida è un italiano, è un italiano pazzo, se è uno straniero è il barbaro arrivato da lontano, ma la rivendicazione di proprietà sul corpo delle donne non ha confini geografici o etnici. La violenza maschile frantuma frontiere e classi sociali, travalica le comunità e chiama alla corresponsabilità ogni singolo uomo e ogni singola donna che magari si indignano e piangono per Hui, ma non mettono concretamente in discussione il sistema culturale del dominio maschile. La cultura patriarcale disprezza i corpi, alimenta sessismo e razzismo e disuguaglianza tra i sessi in modi evidenti ma in tanti altri più subdoli (vedi il decreto Pillon, vera bibbia della cultura patriarcale) armando di fatto la mano dei più disgraziati e fragili.
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