SOMIGLIANZE
Cresce l’ossessione identitaria: noi contro di loro, Islam contro occidente, il populismo che si nutre di politiche identitarie (“prima gli italiani”).
“Identità” è una parola avvelenata perché appena viene pronunciata crea istantaneamente l’alterità: l’altro da noi, il diverso, con il quale diventa poi difficile pensare di poter convivere. L’identità è una parola che serve a separarci, la sua logica impedisce la convivenza, al più permette la coabitazione.
Noi siamo fatti di SOMIGLIANZE, non di identità. Di somiglianze di NOI CON NOI STESSI: non siamo sempre identici, cambiamo nel tempo e di somiglianze DI NOI CON GLI ALTRI: gli altri non sono totalmente altri, sono simili – i nostri simili.
Noi avvertiamo l’esigenza di pensare a noi stessi come se non cambiasse nulla, ma nella realtà cambiamo sempre: facciamo finta di essere sempre la stessa persona, ma non è così. Nel Simposio Platone fa parlare Diotima, una sacerdotessa misteriosa che afferma come non solo il corpo, ma anche l’anima si trasformano “Modi, consuetudini, pareri, desideri, piaceri, dolori, timori, ognuna di queste cose non rimane mai la stessa nello stesso individuo, ma una nasce e l’altra perisce” e anche le idee “Alcune sorgono e altre muoiono in noi, sicché non restiamo mai gli stessi, neppure in fatto di cognizioni”. A noi essere umani è precluso il “restare sempre assolutamente identici”: noi non siamo fatti di identità, siamo fatti di somiglianze, alcune cose permangono, altre cambiano.
Inoltre, noi abbiamo coltivato questa idea della persona come un individuo, un nucleo sostanziale, in-div-isibile (l”anima” cristiana ereditata da Platone, l’anima è eterna e divina, non si può scomporre) e le relazioni, se ci sono, vengono dopo: possono aggiungersi, ma sono ininfluenti ai fini dell’identità. Ma dentro di noi, non c’è una sostanza unica e non scomponibile, ma c’è una molteplicità: l’io è un noi, in una concezione relazionale e plurale di un essere umano – sono le relazioni che danno luogo alla mia persona.
Per buona parte dell’800 e per tutta la prima metà del 900 per identità si è pensato ad una sostanza di tipo BIOLOGICO – il concetto di razza appartiene ad un pensiero di tipo identitario. Oggi, alla sostanza di tipo biologico si è sostituita una sostanza di tipo STORICO-CULTURALE “Noi siamo fatti così perché abbiamo determinate radici culturali”.
Quindi, la prima operazione che il pensiero identitario fa è stabilire dei CONFINI: dentro/fuori, dentro il confine c’è l’identità, fuori c’è l’alterità.
Ma perché oggi sono così all’ordine del giorno? Perché le politiche identitarie hanno a che fare con la lotta per le risorse. Si tiene l’altro a distanza perché non si vuole con lui spartire risorse che sono limitate. Il fatto di appartenere a un’area del mondo che sta godendo delle risorse dell’umanità in maniera sproporzionata rispetto ad altre aree è la motivazione che alimenta le politiche identitarie.
Al venir meno delle somiglianze corrisponde sempre un aumento di disumanità nei rapporti sociali, perché prendere la strada dell’identità, cioè prendere la strada dell’erezione dei muri, della difesa dei confini, significa inesorabilmente prendere la strada dell’annientamento reciproco. Per evitare questo, bisognerebbe sostituire la politica dell’identità con la politica delle somiglianze, che non significa “vogliamoci bene”, ma rendersi conto che solo attraverso la politica della somiglianza si può pensare di realizzare una qualche forma di convivenza.
Obiettivo del nostro tempo, inoltre, non è solo promuovere la convivenza tra noi umani. C’è un’altra convivenza, non meno importante, che dobbiamo realizzare: quella con la natura, promuovendo un discorso di somiglianza in primo luogo con la natura. Le attività umane sono diventate ormai talmente incisive non solo sul clima ma sui vari aspetti della vita della Terra che il mondo umano sta modificando in maniera irreversibile il mondo naturale (l’Antropocene di Paul Crutzen). Ci accapigliamo su politiche identitarie, tracciando confini e separazione, quando invece dovremmo riscoprirci simili e alle prese con un’agenda di sfide che è comune. Imparare a convivere, tra noi e con la natura: questa è la via da percorrere se vogliamo sopravvivere.
(appunti da Francesco Remotti, Somiglianze. Una via per la convivenza, 2019)
Da quello che vedo quasi ogni giorno, sull’autobus, al mercato, analizzando i dati del sociale, della scuola, delle nascite, dei nidi, mi sembra che “la strada dell’annientamento reciproco” che apparentemente pende a nostro favore, basta vedere la trasformazione del mar Mediterraneo in un grande cimitero, in realtà vede la silenziosa, pacifica, lenta e progressiva vittoria di una forza vitale, giovane e generativa su un paese vecchio, stanco, iperprotetto, lamentoso e privo di iniziativa, incapace di immaginare un futuro comune. Gli immigrati hanno solo i loro corpi e li portano qui ad occupare le nostre case ristrutturate, le nostre strade deserte, le nostre culle vuote, i nostri autobus, le speranze di futuro. Meno male e, per dirla con Sting, “they love their children too”.
Inoltre, nella prospettiva suggerita da Remotti, questi ragazzi sono fatti del noi delle loro famiglie, ma anche delle relazioni che intrecciano e muteranno ogni giorno, in questo paese e con noi, forse un giorno trovando una nuova convivenza del noi.
Inoltre, nella prospettiva suggerita da Remotti, questi ragazzi sono fatti del noi delle loro famiglie, ma anche delle relazioni che intrecciano e muteranno ogni giorno, in questo paese e con noi, forse un giorno trovando una nuova convivenza del noi.