venerdì 30 agosto 2019

PER RIFLETTERE: SOMIGLIANZE

SOMIGLIANZE
Cresce l’ossessione identitaria: noi contro di loro, Islam contro occidente, il populismo che si nutre di politiche identitarie (“prima gli italiani”). 
“Identità” è una parola avvelenata perché appena viene pronunciata crea istantaneamente l’alterità: l’altro da noi, il diverso, con il quale diventa poi difficile pensare di poter convivere. L’identità è una parola che serve a separarci, la sua logica impedisce la convivenza, al più permette la coabitazione.
Noi siamo fatti di SOMIGLIANZE, non di identità. Di somiglianze di NOI CON NOI STESSI: non siamo sempre identici, cambiamo nel tempo e di somiglianze DI NOI CON GLI ALTRI: gli altri non sono totalmente altri, sono simili – i nostri simili.
Noi avvertiamo l’esigenza di pensare a noi stessi come se non cambiasse nulla, ma nella realtà cambiamo sempre: facciamo finta di essere sempre la stessa persona, ma non è così. Nel Simposio Platone fa parlare Diotima, una sacerdotessa misteriosa che afferma come non solo il corpo, ma anche l’anima si trasformano “Modi, consuetudini, pareri, desideri, piaceri, dolori, timori, ognuna di queste cose non rimane mai la stessa nello stesso individuo, ma una nasce e l’altra perisce” e anche le idee “Alcune sorgono e altre muoiono in noi, sicché non restiamo mai gli stessi, neppure in fatto di cognizioni”.  A noi essere umani è precluso il “restare sempre assolutamente identici”: noi non siamo fatti di identità, siamo fatti di somiglianze, alcune cose permangono, altre cambiano.
Inoltre, noi abbiamo coltivato questa idea della persona come un individuo, un nucleo sostanziale, in-div-isibile (l”anima” cristiana ereditata da Platone, l’anima è eterna e divina, non si può scomporre) e le relazioni, se ci sono, vengono dopo: possono aggiungersi, ma sono ininfluenti ai fini dell’identità. Ma dentro di noi, non c’è una sostanza unica e non scomponibile, ma c’è una molteplicità: l’io è un noi, in una concezione relazionale e plurale di un essere umano – sono le relazioni che danno luogo alla mia persona.
Per buona parte dell’800 e per tutta la prima metà del 900 per identità si è pensato ad una sostanza di tipo BIOLOGICO – il concetto di razza appartiene ad un pensiero di tipo identitario. Oggi, alla sostanza di tipo biologico si è sostituita una sostanza di tipo STORICO-CULTURALE “Noi siamo fatti così perché abbiamo determinate radici culturali”.
Quindi, la prima operazione che il pensiero identitario fa è stabilire dei CONFINI: dentro/fuori, dentro il confine c’è l’identità, fuori c’è l’alterità.
Ma perché oggi sono così all’ordine del giorno? Perché le politiche identitarie hanno a che fare con la lotta per le risorse. Si tiene l’altro a distanza perché non si vuole con lui spartire risorse che sono limitate. Il fatto di appartenere a un’area del mondo che sta godendo delle risorse dell’umanità in maniera sproporzionata rispetto ad altre aree è la motivazione che alimenta le politiche identitarie.
Al venir meno delle somiglianze corrisponde sempre un aumento di disumanità nei rapporti sociali, perché prendere la strada dell’identità, cioè prendere la strada dell’erezione dei muri, della difesa dei confini, significa inesorabilmente prendere la strada dell’annientamento reciproco. Per evitare questo, bisognerebbe sostituire la politica dell’identità con la politica delle somiglianze, che non significa “vogliamoci bene”, ma rendersi conto che solo attraverso la politica della somiglianza si può pensare di realizzare una qualche forma di convivenza. 
Obiettivo del nostro tempo, inoltre, non è solo promuovere la convivenza tra noi umani. C’è un’altra convivenza, non meno importante, che dobbiamo realizzare: quella con la natura, promuovendo un discorso di somiglianza in primo luogo con la natura. Le attività umane sono diventate ormai talmente incisive non solo sul clima ma sui vari aspetti della vita della Terra che il mondo umano sta modificando in maniera irreversibile il mondo naturale (l’Antropocene di Paul Crutzen). Ci accapigliamo su politiche identitarie, tracciando confini e separazione, quando invece dovremmo riscoprirci simili e alle prese con un’agenda di sfide che è comune. Imparare a convivere, tra noi e con la natura: questa è la via da percorrere se vogliamo sopravvivere.
(appunti da Francesco Remotti, Somiglianze. Una via per la convivenza, 2019)

Da quello che vedo quasi ogni giorno, sull’autobus, al mercato, analizzando i dati del sociale, della scuola, delle nascite, dei nidi, mi sembra che “la strada dell’annientamento reciproco” che apparentemente pende a nostro favore, basta vedere la trasformazione del mar Mediterraneo in un grande cimitero, in realtà vede la silenziosa, pacifica, lenta e progressiva vittoria di una forza vitale, giovane e generativa su un paese vecchio, stanco, iperprotetto, lamentoso e privo di iniziativa, incapace di immaginare un futuro comune. Gli immigrati hanno solo i loro corpi e li portano qui ad occupare le nostre case ristrutturate, le nostre strade deserte, le nostre culle vuote, i nostri autobus, le speranze di futuro. Meno male e, per dirla con Sting, “they love their children too”.
Inoltre, nella prospettiva suggerita da Remotti, questi ragazzi sono fatti del noi delle loro famiglie, ma anche delle relazioni che intrecciano e muteranno ogni giorno, in questo paese e con noi,  forse un giorno trovando una nuova convivenza del noi.

lunedì 26 agosto 2019

SCENETTE DI VITA FAMILIARE: ANDRÈ

Nella composizione familiare dei Ranieri i nonni se ne sono andati, ma facciamo anche acquisizioni: da circa un anno è comparso (sdoganato dopo un periodo nelle retrovie) il compagno svizzero dell’Anna, un giovane uomo energico, dinamico e molto intelligente che ha legato molto rapidamente con tutti noi. Andrè come dicevo è svizzero e come spesso gli svizzeri multilingue: madrelingua il tedesco (nato e cresciuto nei dintorni di Zurigo) e con cognome tedesco, altra lingua madre (della mamma) il francese, un eccellente inglese con un po’ di accento british (studi in GB) e adesso sta imparando a tempo di record l’italiano (la mia ipotesi è che soprattutto lui vuole fare parte dei contesti affettivi in cui si trova e non sopporta barriere -e quella linguistica esiste - che lo separino o mettano da parte). Il suo italiano, con l’eccezione di coniugazioni di verbi irregolari che lo mettono in difficoltà e un vocabolario ovviamente in incremento, è decisamente molto buono. E inoltre gli piacciono le parole, nei pochi giorni in cui sono stati qui per Ferragosto continuava a ripetere con molta soddisfazione la parola “inconsolabile” che lo aveva piacevolmente colpito.
Ma veniamo alla scenetta familiare, descritta dall’Anna stamattina nella chat Whatsapp di famiglia

“Curva di apprendimento del verbo “scottare” nel vocabolario di Andrè. Ieri era la giornata del verbo scottare, c’era caldo eravamo al lago e l’ha ripetuto un paio di volte. Alla sera, momento dello spegnimento dello della luce in camera mi guarda e fa: “io mi sono scopato”, poi ripete “scopare”. Allora gli chiedo: ah dove hai imparato questo verbo, lo sai ha due significati ecc ecc. E lui dice ma io volevo dire mi sono scopato (scottato ovviamente voleva dire) dal sole al lago 😂😂 hahahahahaha”

Il mio commento è stato

“Doveva farti venire il dubbio il fatto che nessuno dei due significati di “scopare” prevede il riflessivo...”

Benvenuto tra i Ranieri ad Andrè

domenica 25 agosto 2019

L’URTO DEL TEMPO


Non so se eudaemonia, se il mio demone ha avuto una buona riuscita. Ho fatto ciò per cui ero nata? Non ci sarà mai modo di saperlo... Certo percepisco l’urto del tempo.

venerdì 23 agosto 2019

CRESCERE È NECESSARIO

Massimo Recalcati Se i 5S escono dalla pubertà La Repubblica, giovedì 22 agosto 2019
L’epilogo della crisi di governo ha un sapore felliniano: la maschera di Zorro giustiziere mascherato che si scioglie come cera in una festa di carnevale finita male. La sua imprevista solitudine politica come cifra di una ambizione cieca che, come spesso accade, genera attorno a se stessa solo il vuoto. Ma in questo scenario non può non colpire la metamorfosi comportamentale e psicologica in atto nel M5S. Evaporato nel giro di un anno il sodalizio contrattuale populista con i leghisti, il movimento si trova oggi, gioco forza, ad assumere una postura decisamente inusuale. I suoi rappresentanti parlamentari non sono più gli antagonisti irriducibili delle istituzioni ontologicamente marce nel nome del popolo, ma si trovano a farsi strenui difensori delle istituzioni aggredite dai fendenti scomposti di uno Zorro disperato che invoca alle sue spalle – come accedeva di fare a loro sino a poco tempo fa – il popolo ringhioso e fedele. In gioco per il M5S è quello che accade sempre nel passaggio psicologico tra la pubertà e l’età adulta. Conosciamo la critica cieca e ostinata che il mondo degli adolescenti rivolge a quello degli adulti. Il M5S ha assunto questa postura di fondo alla sua origine: la politica è in quanto tale corrotta, i politici, come gli adulti agli occhi dell’idealismo puberale dei figli adolescenti, sono tutti viziosi, marsi, intaccati da cinismo e egoismo. L’insulto sfacciato, la critica virulenta, il disprezzo per le istituzioni e i suoi simboli che hanno caratterizzato questo movimento sino dai suoi esordi – tutte marche del fantasma puberale che li ha generati – deve oggi fare i conti con il passaggio alla responsabilità che comporta trovarsi dall’altra parte della barricata, a tutela di ciò che sino a poco tempo fa aggredivano. Ascoltare le dichiarazioni posate, serie, convintamente schierate in difesa delle istituzioni democratiche e delle loro procedure da parte dei dirigenti di questo movimento non può che colpire positivamente. Si tratta di una metamorfosi in atto. La stessa che un figlio deve compiere quando la prova di realtà lo costringe a non rinunciare ai propri sogni – che il passaggio alla vita adulta coincida con la rassegnazione di fronte all’ordine costituito delle cose è ancora l’esito di una lettura solo puberale di questo passaggio – ma a trovare la strategia più adeguata per consentire la loro realizzazione. Il leader politico del M5S, Luigi Di Maio, è stato il simbolo del tempo puberale del M5S. Non solo anagraficamente e biograficamente, ma soprattutto politicamente. Alimentando una politica dell’odio verso i suoi antagonisti ha scavato un fossato attorno al Movimento che rappresenta consegnandolo al sovranismo di Salvini e cedendo su ogni passo del suo (inaffidabile e improbabile) socio. In questo modo ha relegato il Movimento che aveva vinto le elezioni in una posizione politica minoritaria e impotente. Psicologicamente Di Maio si è rivelato totalmente imprigionato nel fantasma puberale; la sua innocenza ha coinciso con la sua supponenza anti-politica e la sua retorica populista ha consegnato il paese alle forze della reazione. L’epilogo di questa crisi di governo offre però al M5S la possibilità di un cambiamento radicale di direzione. Le parole di Conte non sono state solo delle sferzate all’anti-istituzionalismo di Salvini e alla sua vocazione autoritaria, ma anche un ammonimento per il futuro del M5S. Si tratta di un compito difficile, di una vera e propria muta identificatoria; le identificazioni al partito anti-casta, anti-parlamentare, antipolitico, anti-europeista, sono destinate a cadere. Il M5S farebbe bene a spogliarsi di quelle insegne identificatorie per valorizzarne altre che pure appartengono alla sua sfaccettata identità: la giustizia sociale, il lavoro, la lotta alla povertà, la tutela dell’ambiente. Ma questa valorizzazione non sarà possibile se non attraverso un suo profondo rinnovamento. A partire da chi lo rappresenta. Il protagonista dell’accordo infausto con la Lega di Salvini siglato nel nome del populismo e prigioniero del fantasma puberale dell’anti politica, dovrebbe dimettersi come ha invocato che altri lo facessero all’indomani delle loro sconfitte politiche. È questa un’occasione unica per il M5S per definire la propria identità. Perché non basta sapere contro chi si è per sapere chi si è. È questa un’altra illusione del mondo adolescenziale destinata, in questa penosa e preoccupante crisi di governo di metà agosto, a dissolversi nel passaggio alla vita adulta.
Questo articolo mi è sembrato illuminante - mi chiedevo perchè fare adesso l’accordo con i Cinquestelle che un anno fa sembrava impossibile. Non che adesso sembri facile, ma forse un po’ più realistico, passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

lunedì 19 agosto 2019

CREATURE DI UN GIORNO

“Siamo tutti creature di un giorno; colui che ricorda e colui che è ricordato. Tutto è effimero, Tanto il ricordo che l’oggetto del ricordo. Vicino è il tempo in cui tutto avrai dimenticato; e vicino è il tempo in cui tutti avranno dimenticato te. Rifletti sempre sul fatto che presto non sarai nessuno, e non sarai da nessuna parte.”

Marco Aurelio, Pensieri

venerdì 16 agosto 2019

ESSERE A BAGNO NEL LINGUAGGIO

«Noi tutti siamo fatti di parole, siamo fatti di linguaggio, ma siamo fatti delle parole e del linguaggio dell'Altro, di come i nostri genitori – che sono il nostro primo grande Altro – ci hanno non solo chiamati, ma ci hanno offesi, ci hanno colpiti con le parole, ci hanno feriti, ustionati, ci hanno amati, ci hanno deliziati, ci hanno resi insostituibili. Noi siamo fabbricati, il nostro corpo, il nostro essere, la nostra anima sono fabbricati dalla parola dell'Altro. Questo significa "essere a bagno nel linguaggio". Siamo stati tutti a bagno nelle parole dell'Altro»

"Edipo, il figlio": la lectio magistralis che Massimo Recalcati ha tenuto lunedì 18 gennaio 2016, presso il Teatro Parenti di Milano.

E SERRA HA RISPOSTO


La risposta non mi è piaciuta: Serra non ha risposto nel merito, ma su una sua tesi, tra l’altro a mio parere discutibile. In realtà quello che volevo sostenere non era la parità delle donne di potere essere stronze come gli uomini, ma la necessità per chi sta nel campo del centro-sinistra di rimettere in prima linea la questione femminile. Immagino che questo faccia parte del gioco della rubrica, porre le questioni della propria agenda e non quelle di chi scrive - in questo caso sospetto senza darsi nemmeno la briga di capire che questione veniva posta. Curioso che il titolo fosse invece più centrato sulla mia lettera che sulla risposta di Serra.
Come ha notato la mia amica Giovanna, però, “cara Silvia Guidi” è una carineria che non ha usato per gli altri....

HO RISCRITTO A SERRA

Va bene, lo confesso, ho riscritto a Serra sull’onda della sua Amaca del 2 agosto
"Il tipetto in braghe corte e maglietta verde che, su un treno di Trenord, intima al "negro del cazzo" di mostrargli il biglietto, senza averne nessun titolo se non la sua maglietta verde, è solo l'inizio. Non fatevi illusioni. Non sperate che passi. Lui si sente lo Stato: il nuovo Stato, giovane e vigoroso, che sta per prendere il posto di quello vecchio, decadente e imbelle. La democrazia: che schifo, che inutile orpello.
Di tipi umani simili ce n'è a bizzeffe, maschi tra i trenta e i quaranta abbastanza rapati, piuttosto tatuati, aggressivi e ignoranti quanto basta per confondere la prepotenza con il diritto e il razzismo con la difesa della loro Patria (che non è la nostra). Miliziani per ora senza milizia, ma aspettate che l'umore sociale si abbassi di quel tanto che basta a scoprire qualche ulteriore ferita, che l'ordine pubblico si incrini quel tanto che serve a far salire la tensione, che il clima politico invelenisca ancora di qualche grado, e vedrete che le milizie si organizzano.
Sono già organizzate in rete, con tutta evidenza, e a dispetto di ogni possibile dubbio: basta che il Capo parli e indichi il bersaglio, e a migliaia (migliaia!) azzannano e bastonano, una muta di umani feroci che magari la sera accarezzano i bambini (sono "mamme" e "papà") e raccolgono nell'apposito sacchettino le merde del loro cane; ma se sul treno vedono "un negro" lo immaginano certamente a scrocco, magari "in un hotel a quattro stelle" come blatera la sconcia propaganda che li ha intronati ben bene, negli ultimi anni, e incattiviti, e incarogniti ad arte.
Non sperate che passi. Preparatevi. Presto si tratterà di capire, quando si va in giro, se è il caso di rischiare un pugno o uno sputo, nel nome, così logoro, della democrazia."
Con un pizzico di stizza perché si pensa sempre ai maschi - ormai la questione femminile è ai margini dell’irrilevanza. La mia lettera era così
Gentile Michele Serra, ho letto la sua Amaca del 2 agosto, un giorno ogni anno particolare per me nel ricordo della strage di Bologna e forse anche per questa coincidenza la sua Amaca mi ha davvero colpito. Da tempo anch’io percepisco come questo nostro affidarci, potrei dire aggrapparci alle nostre leggi, alla Costituzione, alla magistratura, alle istituzioni e alle regole contro l’ondata populista e rabbiosa che spesso sembra prevalere stia diventando sempre più debole e difficile e che ci aspettino tempi in cui il conflitto metterà a dura prova la pace e l’imperfetta democrazia raggiunta.
La sua Amaca mi sollecita diverse riflessioni: l’ancora incerta quantità di questa minoranza (minoranza?) urlante (molti amici pensano che siano ancora minoranza e che facciano molto rumore, ma che non siano l’atteggiamento prevalente del nostro popolo, che esista ancora la famosa maggioranza silenziosa e perbene), il dubbio della loro reale capacità di “farsi milizia” (in realtà sono persone fragili, ignoranti, non certamente notabili per il coraggio quando vengono messi davanti e non dietro le loro tastiere) e tanti altri dubbi. In particolare, però, mi attanaglia l’angoscia per quelle molte donne, madri, compagne, figlie, sorelle, amiche che stanno dietro o di fianco a questi maschi che lei ha così bene descritto. Donne che ammirano l’ignoranza, la protervia, che si sentono difese, “protette”, donne dei maschi alfa. Donne che si pensano emancipate e libere perché hanno un capo e un padrone, donne subalterne al pensiero di chi non ha pensiero. Donne che da questo clima sovrabbondante, volgare, eccitato, rabbioso hanno tutto da perdere e lo perdono ogni giorno, senza rendersene conto. 
Come fa una donna a stare in questo contesto? Me lo chiedo spesso, come fai ad avere fiducia in un uomo che sostiene il decreto Pillon, i fascisti antiabortisti, che non tollera nessun dissenso, nessuna diversità (né immigrati, né gay, né neri, né nomadi, né …. Donne). Come fa una donna a non vedere per cosa si sta schierando? Poi mi viene in mente che tutti questi maschi ben descritti nell’Amaca hanno avuto con loro una madre che li avrà allevati, facendo quel che poteva, usando quel che sapeva e  il futuro mi appare davvero gravido di incognite. 

lunedì 12 agosto 2019

UNA COSA BELLA

La prima cosa bella


DELITTO DI PATRIARCATO

Alcuni giorni fa è stata assassinata con diverse coltellate, nella tranquilla Reggio Emilia obnubilata dall’afa, una giovane barista cinese per mano di un balordo marocchino già oggetto di due decreti di espulsione ovviamente non eseguiti. Il bar, il Moulin Rouge, è proprio al Foro Boario, dove ogni giorno parcheggio la macchina, ma io non lo frequento, sia perché la clientela non mi rassicura granché sia perché il mio razzismo si manifesta chiaramente quando vedo un cinese a farmi il caffè - evito i bar con baristi cinesi, me ne vergogno un po’.
Non è ancora stato accertato il movente, ma alcuni media stanno già parlando di “delitto passionale”, un termine che odio perché identifica la passione a giustificare la violenza, confondendo tra l’altro la violenza con l’amore. Qualsiasi siano state (e saranno accertate) le motivazioni che hanno spinto un giovane uomo ad assassinare con tale violenza una giovane donna, quello che ancora una volta viene messo in scena è un uomo che chiede il controllo e la decisione - fino all’estremo limite - sulle donne e in particolare sul loro corpo. Ovviamente, se il femminicida è un italiano, è un italiano pazzo, se è uno straniero è il barbaro arrivato da lontano, ma la rivendicazione di proprietà sul corpo delle donne non ha confini geografici o etnici. La violenza maschile frantuma frontiere e classi sociali, travalica le comunità e chiama alla corresponsabilità ogni singolo uomo e ogni singola donna che magari si indignano e piangono per Hui, ma non mettono concretamente in discussione il sistema culturale del dominio maschile. La cultura patriarcale disprezza i corpi, alimenta sessismo e razzismo e disuguaglianza tra i sessi in modi evidenti ma in tanti altri più subdoli (vedi il decreto Pillon, vera bibbia della cultura patriarcale) armando di fatto la mano dei più disgraziati e fragili.

sabato 10 agosto 2019

UN UOMO MEDIOCRE E GROSSOLANO


IL FASCISMO

Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il Fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui. Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre.“

Ennio Flaiano, 1976

mercoledì 7 agosto 2019

SCENETTA DI VITA QUOTIDIANA -OSPEDALE

Mia madre, anni 84, è parkinsoniana, depressa cronica, ansiosa, sotto anticoagulanti e una miriade di molti altri farmaci. Una delle conseguenze della sua condizione sono abbastanza frequenti, seppur brevi, soggiorni in Geriatria in ospedale, sospettiamo con sua segreta ed inconscia soddisfazione nell’essere al centro dell’attenzione. Da un paio di giorni è in ospedale e davvero non c’è niente da ridere ed è faticoso per mio fratello e per me. Stasera però è successa una scenetta che mi ha fatto molto ridere. Intorno alle 19:30 sono seduta di fianco al letto di mia madre ed entra un signore di una certa età, tarchiato e bassotto e con la divisa da OSS e apostrofa mia madre con pesante accento calabrese “Allora signora, cambiamo il pannolino, eh.” (Nota di servizio : sarebbe il pannolone, ma non stiamo a sottilizzare). Mia madre comincia a balbettare che no, non ce n’è bisogno e mentre questo replica “ma come non ce n’è bisogno, l’abbiamo cambiata alle tre, non ha pisciato?” entra silenziosamente nella stanza anche il collega di questo (gli OSS in ospedale lavorano sempre in coppia): anche lui uomo, molto giovane (direi ventenne) e nero come la notte. Mia madre ammutolisce, spalanca gli occhi e io, che come tutti sanno sono carente in amorevolezza, ma fornita abbondantemente di stronzaggine “Allora io vado, mamma, ci vediamo domani” e lascio frettolosamente la stanza (anche perchè, devo dire, stavo soffocando dalle risate) lasciandola al suo destino....
Chissà cosa sarà successo...