sabato 30 gennaio 2021

DISORIENTAMENTI

 Nostra figlia Anna è in attesa di una bambina dal suo compagno svizzero, Andrè. Andrè ha 13 anni più di Anna e quindi ha un pezzo di vita di vita precedente al suo incontro con Anna, circa tre anni fa. La vita precedente ha avuto come risultato più importante tre splendidi bambini nati da un matrimonio concluso quasi otto anni fa. I bambini sono il Piccolo, 8 anni, la Media, 11 anni e la Grande, 12 anni. I bambini vivono con la mamma in un paese a un’ora e mezza di distanza e trascorrono un week end sí e uno no  e un pezzo delle varie vacanze con il padre e con Anna. Anna dice di avere con loro un buon rapporto e ne parla sempre con grande affetto (sulla ex moglie, a sua volta con un nuovo compagno, l’opinione e il rapporto sono più variegati).

Abbiamo chiesto come hanno reagito i bambini alla notizia del nuovo fratellino e Anna ci ha raccontato che hanno reagito bene, da bambini, con allegria. Solo due momenti sono stati da segnalare. Il Piccolo ha avuto un momento di autodifesa “Non prenderà i miei giochi, vero?” (Roberto ha giustamente osservato che la preoccupazione era del tutto giustificata, non essendo lui quotidianamente lí a fare la guardia ai suoi giochi). Immagino sia stato prontamente rassicurato che prima la nuova Baby dovrà occuparsi di molte altre questioni più urgenti, del tipo imparare a camminare, a parlare, a mangiare, a fare i suoi bisogni in luoghi idonei e che i suoi giochi sarebbero stati in salvo per molto tempo.

La seconda reazione che ci ha raccontato Anna è invece un momento di disorientamento che ha preso la Media che ha chiesto “Ma chi è il papà?”. Certo che la vita è davvero complessa, a volte, indispensabile avere con sè guide amorevoli.

martedì 26 gennaio 2021

CERCO LA PAROLA

Cerco la parola

Voglio con una parola

descriverli -

prendo le parole quotidiane, dai dizionari le rubo

misuro, peso e scruto –

Nessuna

corrisponde.

Le più ardite – sanno di codardia,

le più sdegnose – ancora sante.

Le più crudeli – troppo compassionevoli,

le più odiose – troppo poco violente.

Questa parola deve essere come un vulcano,

che erutta, scorre, abbatte,

come terribile ira di Dio,

come odio bollente.

Voglio che questa unica parola,

sia impregnata di sangue,

che come le mura tra cui si uccideva

contenga in sé tutte le fosse comuni.

Che descriva precisamente e con chiarezza

chi erano loro – tutto ciò che è successo.

Perché questo che ascolto,

perché questo che si scrive

è ancora tropo poco.

La nostra lingua è impotente,

i suoi suoni all’improvviso – poveri.

Cerco con lo sforzo della mente

cerco questa parola  –

ma non riesco a trovarla.

Non riesco.

Wislawa Szymborska (1923-2012)


giovedì 21 gennaio 2021

HO CAPITO QUALCOSA DI FONDAMENTALE

 Il nostro ultimo dottore in ordine di tempo della famiglia, Gigi, coltiva due passioni brucianti: la chimica in cui si è laureato alla triennale e di cui sta seguendo la magistrale all’Università di Bologna, e le lingue e in specifico il giapponese, di cui sta seguendo un corso che lo dovrebbe portare, a luglio, alla certificazione più o meno lower intermediate ( come ci si può aspettare, i livelli di certificazione del giapponese sono molto diversi dai livelli di certificazione delle lingue europee).

L’epopea di famiglia celebra e ha celebrato queste due passioni (per le lingue anche un talento davvero importante che l’ha portato finora a tre lingue europee fluenti oltre l’italiano, cioè inglese, francese e spagnolo), sempre un po’ nel dubbio sul come coniugarle.

Oggi, entrando nella sua stanza dove sta studiando per un esame dal titolo oscuro (“Sensori”) ho avuto finalmente una prima illuminazione sul quesito


Sulla scrivania, vicini, c’erano il suo quaderno di appunti dell’esame e il suo quaderno di esercizi di giapponese


Impossibile non notare le analogie....

mercoledì 20 gennaio 2021

QUANDO HO DISCUSSO CON J.


Ieri sera mi è venuta in mente quella volta che ho (quasi) litigato con J. Lui è un amico di lunga data inglese ammogliato con una finlandese ed entrambi erano nostri cari amici all’inizio degli anni ‘90 quando ci siamo incontrati in Messico e abbiamo condiviso un paio d’anni di (privilegiata) condizione migrante. 

J. è un inglese che, pur non avendo più vissuto in Inghilterra dopo la sua laurea e avendo abitato in diversi paesi (e continenti) del mondo, parlando diverse lingue, è rimasto molto british nel fisico, nell’accento, nell’atteggiamento, nella totale correttezza accompagnata da una rigidità un po’ imperiale che si ferma appena a un tratto prima dell’aggettivo imperialista. Persona molto intelligente, complessa, cosmopolita, con alto grado di self esteem. Le vicende della vita cosmopolita lo hanno portato vent’anni fa a vivere a Roma dove la moglie aveva vinto una posizione in una importante organizzazione internazionale. Negli anni romani ci ha intrattenuto molte volte sulle pazzie ed incongruenze dei Romani, di cui vedeva e raccontava con fine humor british tutte le infrazioni, il caos, l’essere indisciplinati e scorretti nei confronti dei beni pubblici e del vivere comune, rinforzando ad ogni narrazione stereotipi ben noti sugli italiani. Pur essendone leggermente infastidita, non ho mai combattuto contro questa onda in lui e sua moglie (finlandese) perché ne riconoscevo una parziale fondatezza e una difficoltà da parte loro di cogliere le sfumature. Solo una volta, quando in visita a casa mia ha (carinamente) commentato di come qui in Emilia e con noi gli sembrasse un’altra Italia rispetto a Roma sono sbottata e ho rilevato lo stereotipo, l’incapacità di vedere bellezza e le varie sfumature di cui è composta. Sono stata urbana, loro non si sono arrabbiati ed è andato avanti il tutto forse con appena un po’ più di cautela nei loro commenti.

Perché mi è venuto in mente ieri sera? Perché di fronte alla sceneggiata della fiducia al Senato con tutti i suoi risvolti e personaggi tragicomici da vera commedia all’italiana ho pensato che J., forse, descriveva un po’ la realtà più di quanto pensassi ed io ero più cieca ed ottimista di quello che pensavo.. 

Per fortuna J. adesso è in Finlandia da qualche anno. 

martedì 19 gennaio 2021

QUELLO CHE VORREMMO ESSERE

 Stamattina , la senatrice Liliana Segre è entrata in Parlamento per votare la fiducia al Governo, con il peso dei suoi 90 anni, ma dritta ed elegante come sempre.


Liliana Segre è come vorremmo essere noi - giusti, misericordiosi, accudenti e materni, ma al tempo stesso capaci di azione e di indignazione, con la schiena dritta e la mente funzionante. Onore ancora una volta a una grande donna!

lunedì 18 gennaio 2021

INTELLETTUALI E VACCATE

 Scrive Luca Sofri nel suo blog Wittgenstein (il titolo è VACCATE)

Ho provato a trovare una risposta al dubbio di Michele Serra, che nella sua rubrica di oggi si dice scettico sul funzionamento degli algoritmi, dal momento che sui siti che visita (immagino soprattutto quello del suo giornale) compaiono inserzioni pubblicitarie stupide, malfatte e ingannevoli che “NON sono calibrate sui miei interessi e i miei gusti”.

La figlia di Milly Carlucci è probabilmente la donna più bella del pianeta. E il figlio di Christian De Sica è l’uomo più bello che sia mai esistito. Perché vi dico queste due rimarchevoli scemenze? Perché compaiono da giorni, testuali, implacabili, sul mio computer, in calce a notizie anche serie, su pagine web anche serie. Si tratta di pubblicità, o meglio di “finte notizie” che hanno lo scopo di attirare l’attenzione: tu clicchi, sbadatamente, per vedere se davvero la figlia di Milly Carlucci è la donna più bella del pianeta, e il tuo schermo diventa una specie di suk.

La risposta “tecnica” è che un po’ è vero che gli algoritmi non siano sempre intelligentissimi, anzi, e lo vediamo tutti ogni giorno. Ma nel lavorare su tendenze maggiori, probabilmente non gliene frega niente di fallire occasionalmente su quote marginali di utenti come i gusti di Michele Serra (il quale peraltro confessa di cliccare “sbadatamente”, e l’algoritmo non distingue la sbadataggine eventuale dall’interesse reale). I servizi che offrono quelle pubblicità non lo prevedono proprio Michele Serra, e i loro algoritmi distribuiscono solo vaccate, senza alternative: al massimo indirizzano una vaccata piuttosto che un’altra, non hanno banner che invitano a cliccare per conoscere le nuove tendenze della letteratura francese. Ma neanche il significato di certe parole straniere. O un video dei Beatles a Dortmund. Producono solo vaccate, e i siti che li ospitano scelgono di ospitare vaccate. Al diavolo gli interessi e gusti di Michele Serra: è come lamentarsi che in via Montenapoleone non ci siano librerie.

E qui veniamo alla risposta “sociale”. Se tutto ormai soggiace alle leggi della domanda e a una specie di maggioritariouniversale che offre a tutti quello che ritiene vogliano le maggioranze, perché non è sempre stato così? L’economia capitalistica non è nata in questo secolo, e nemmeno la democrazia: ovvero i due meccanismi che più celebrano i desideri delle maggioranze. Come mai “il decrepito assetto dell’informazione novecentesca aveva, in questo senso, più capacità selettiva, e miglior marketing”, come sostiene Serra?

Ovvero: come mai Repubblica pubblica contenuti – pubblicitari, ma non solo: in quegli spazi sono mescolati con una selezione mirata del morboso/torbido del giornale – che nel secolo scorso non pubblicava? Certo, c’è la tecnologia che oggi lo permette e rende il meccanismo clic-ricavipubblicitari più efficiente, ma come dice Serra i contenuti da “Cronaca Vera o Bolero” esistevano anche nel Novecento e attraevano lettori. Ma stavano su Cronaca Vera o Bolero. Quindi i casi sono due: o oggi siamo diventati tutti più interessati a quei contenuti, oppure è saltata una selezione in alto.

Detta ancora più schematicamente: è peggiorata prima la domanda di noi lettori o l’offerta dei giornali? È un po’ l’uovo e la gallina, certo, ma una risposta secondo me c’è: è peggiorata sicuramente prima la domanda di noi lettori, che siamo naturalmente portati alla curiosità per le vaccate torbido/morbose; ma talmente prima, che la novità non è quella. La novità è la rinuncia dei giornali a fare da filtro sulla qualità.

E qui, mi perdonino gli annoiati che leggono queste cose da più di dieci anni(Cacciari mode: on), stiamo solo mettendo i quotidiani fastidi di Michele Serra dentro un problema universale e ubiquo: ovvero la rinuncia delle élite – intese come chiunque abbia maggior potere nei confronti degli altri – a moderare, attenuare, dirigere la naturale inclinazione di noi umani alla soddisfazione dei nostri istinti più spontanei, l’egoismo, la vanità, l’affermazione di noi stessi, la curiosità e la gratificazione per i fallimenti altrui, l’infantile meraviglia e attrazione di fronte alle vaccate e al morboso/torbido, eccetera.
Le nostre civiltà non sono progredite perché da un giorno all’altro grandi masse di persone e popoli hanno capito come fosse bello saper leggere e scrivere, o hanno scoperto quanto fossero ingiusti il razzismo e la sopraffazione sulle donne, o hanno firmato una petizione unanime per la limitazione delle guerre. Le nostre civiltà sono progredite perché queste e altre cose nobilissime che oggi noi grandi masse condividiamo (e ancora c’è da lavorare) sono state promosse con insistenza da poteri – politici, culturali, economici – che hanno avuto il privilegio o l’impegno di educazioni migliori e hanno scelto di trasmetterle: fossero uomini e donne di cultura e scienza, governanti illuminati, persone normali che avevano studiato e letto cose “di qualità”. La cultura, il progresso civile, il miglioramento delle vite di tutti sono sempre cresciuti poco a poco con contributi individuali, più forti e importanti quanto più forti erano i poteri degli individui impegnati a farli crescere. E più le crescite culturali si allargavano e raggiungevano più persone, più il meccanismo si perpetuava e ognuno ne diventava collaboratore: per questo lo abbiamo chiamato “progresso”.
Ed è un percorso autonomo dalle leggi del mercato e dalle regole della democrazia, anche se spesso ha avuto e ha sovrapposizioni con entrambe: ma non sempre. È stato indirizzato da altro, da un’idea di “bene comune” che – minoritaria – sta pure lei nelle inclinazioni umane, ma ha bisogno di essere motivata e promossa, perché è minoritaria. Di essere dopata, perché nella competizione con le altre inclinazioni perde: a doparla è stato il grande, contagioso e planetario lavoro di costruzioni di principi, valori, giusto e sbagliato, rispetto per il prossimo, idea di convivenza e solidarietà, e soprattutto i risultati di questo lavoro che hanno mostrato che ne vale la pena. Guardatevi intorno.

A un certo punto, da due o tre decenni, i risultati si sono persi di vista: non perché non ci siano – guardatevi intorno – ma perché ci abituiamo, alziamo l’asticella, ci viziamo, abbiamo più pretese. E le frustrazioni ci peggiorano a loro volta. E contemporaneamente – uovo o gallina – le élite suddette e le loro versioni contemporanee (il business televisivo, per fare l’esempio più palese) hanno rinunciato a quel lavoro di contagio culturale positivo: hanno rinunciato a fare la loro parte di doping, e hanno sostenuto che il meccanismo democratico e le leggi del libero mercato bastassero a fare e conservare un mondo giusto e migliore. Ma non era così: del meccanismo democratico si sono impadroniti in questi anni coloro che ne hanno capito i trucchi (una cattiva informazione, un lavoro di propaganda menzognera, una celebrazione dell’ignoranza e dell’egoismo, lo rendono sterile e fallimentare), e le leggi del libero mercato in assenza di principi etici generano mostri e ingiustizie, lo sappiamo da secoli.

Il risultato – nel suo piccolo, ci mancherebbe – sono i banner che Michele Serra vede sul sito del giornale per cui scrive: esemplare corto circuito di questa sottrazione di responsabilità nella formazione “culturale” della domanda e della consegna di tutto alle leggi “naturali” della domanda. Chi può cambiare questo sono ancora coloro che hanno più potere degli altri, soprattutto chi lo ha economico e politico: ma ogni anello della catena industriale che fa arrivare alle persone mediocrità invece che qualità, vaccate invece che bene comune, ha un pezzetto di responsabilità e un pezzetto di opportunità. La relazione tra le vaccate, le feste abusive sul lago di Garda e Donald Trump è stretta.

ti arrivano addosso, ugualmente, tonnellate di pubblicità di serie B, scritte in un italiano di serie C, con un livello culturale di serie D

sul Venerdì di Repubblica mi sembra però che Serra non abbia affatto rinunciato alla funzione “intellettuale” invocata da Sofri



 

venerdì 15 gennaio 2021

ADESSO (IL FUTURO)

 

Adesso, la poesia sul futuro da costruire insieme

Adesso è forse il tempo della cura.
Dell’aver cura di noi, di dire
noi. Un molto largo pronome
in cui tenere insieme i vivi,
tutti: quelli che hanno occhi, quelli
che hanno ali, quelli con le radici
e con le foglie, quelli dentro i mari,
e poi tutta l’acqua, averla cara, e l’aria
e più di tutto lei, la feconda,
la misteriosa terra. È lì che finiremo.
Ci impasteremo insieme a tutti quelli
che sono stati prima. Terra saremo.
Guarda lì dove dialoga col cielo
con che sapienza e cura cresce un bosco …

Mariangela Gualtieri

OSSERVAZIONI DI ETOLOGIA

 Ci sono due premesse, anzi tre.

La prima è che la sequenza di tanti gatti che abbiamo avuto negli scorsi trenta anni ha mostrato una caratteristica in comune (niente di eccezionale, per carità): catturano topi ed altre bestie immonde e ne lasciano sullo zerbino (o immediati dintorni) i cadaveri in bella mostra. Immaginiamo che vogliano far vedere come sono bravi.

La seconda premessa è che l’amorevole compagno svizzero di nostra figlia Anna, futuro padre della nipotina che arriverà tra tre mesi, tra i suoi regali di Natale per noi ci ha regalato una enorme stella di spesso cioccolato con mandorle intere (eccellente!) che ho appeso a decorare l’albero di Natale e, smontato l’albero (7 gennaio, rigorosamente) ho messo tra l’altra cioccolata da degustare.

La terza premessa è che il marito, invecchiando, è diventato particolarmente goloso di buona cioccolata e viziato dai liquorini fatti in casa (arancino, limoncino, bargnolino, mirto...) e quindi immancabilmente ogni sera lo si vede con un piuttosto abbondante pezzo di cioccolata che va a conquistarsi rovistando nella sempre rifornita scatola di latta che la contiene - e un bicchierino di liquorino nell’altra mano.

Il fatto è che Luigi ed io (i c.d. “Conviventi”) abbiamo appena assaggiato un pezzetto della grande bontà di cioccolata della enorme stella, il resto, in una manciata di sere, è stato protagonista delle incursioni golose di Roberto. Stamattina Luigi ed io, che facciamo colazione dopo che Roberto è uscito per andare al lavoro, abbiamo trovato sul tavolo della cucina l’involucro vuoto della stella di cioccolato - Roberto ci ha lasciato il cadavere da ammirare?





giovedì 14 gennaio 2021

MINISTRE STATE DIMESSE

 E poi sono veramente arrabbiatissima con la Bellanova e la Bonetti, che SONO STATE DIMESSE dal loro capo di partito dal ruolo di Ministre. Ancora una volta donne che, anche potenti, fanno le ancelle a un uomo che parla per loro. E che fino a un attimo prima dichiaravano soddisfatte sull’importante e “grande lavoro” che stavano conducendo nei loro amati Ministeri e un attimo dopo li hanno lasciati senza un rimpianto. E basta! Se volete dimettervi, dimettetevi MA FATELO VOI almeno...

GRRRR....


PS. Quindi alla fine la ministra alle Pari Opportunità ha dato le dimissioni come le ha ordinato l'uomo di casa.

[purtroppo]

SPINOZA.IT

mercoledì 13 gennaio 2021

SOGNO E SON DESTA

 Ecco, me lo vedo davanti, le braghe corte, le ginocchia sbucciate, la faccia gommosa da Pinocchio. Piange e fa le bizze, si butta per terra stringendo i pugnetti. Da brava educatrice, cerco di convincerlo, di rassicurarlo, di farlo ragionare che non è possibile, che non è il momento, che bisogna avere pazienza, costruire, creare le condizioni di fattibilità per avere le cose. Ma lui insiste, strepita, non si capisce nemmeno bene cosa vuole. Alla fine, stremata, mi arrendo e faccio finta di andarmene e lui aumenta gli strilli. Mi giro e contro ogni mia teoria e pratica precedente, gli ammollo uno schiaffone - una sconfitta come madre e mi viene perfino un po’ di senso di nausea, ma almeno posso urlargli “ Così fai i capricci e piangi per qualcosa, Matteo!”

lunedì 11 gennaio 2021

L’ANNO CHE VERRÀ (Alessandro D’Avenia)

“ Il tempo sprecato è spesso proprio quello che vorremmo risparmiare, accelerando e spuntando le liste di «cose da realizzare» nella speranza che, alla fine dell’elenco, il risultato sia la felicità... eppure nessuno di noi ascoltando la musica che ama a velocità doppia se la gode di più. E così l’ossessione di «ottimizzare» ci ha portato all’esito opposto. Volevamo affrancarci dalla lentezza della natura, avere il controllo totale e immediato della vita. E così si sono fatti strada l’affanno l’ansia: saliamo su una scala mobile che va in senso contrario, per star fermi dobbiamo muoverci, per avanzare dobbiamo correre. E correre è diventato così il senso della vita. E invece, se ci pensiamo, è proprio quando la vita riesce a toccarci che rallentiamo, respiriamo, «perdiamo» tempo, anzi lo «recuperiamo» perché solo la relazione profonda con le cose e le persone amplia e salva il tempo, che è vita che non ci può essere più tolta e risuona in noi anche a distanza di anni.


Questo mi e vi auguro per quest’anno: la vita torni a parlarci e noi ad ascoltare ciò che Baudelaire chiamava «il linguaggio dei fiori e delle cose mute», che altro non è che la relazione buona con tutto ciò che non pretendiamo di manipolare e consumare. Solo se smettiamo di voler dominare il mondo e diventiamo disponibili al miracolo, allora il miracolo «ac-cade» nel quotidiano. Lo aveva già cantato Dalla: «E se quest’anno poi passasse in un istante, / vedi, amico mio, / come diventa importante, / che in questo istante ci sia anch’io». Ciò che conta non è cosa accade in un anno (che noia la lamentela sul 2020 e la superstiziosa sicurezza di un 2021 migliore...), ma che ci siano relazioni profonde. Il 2021 sarà migliore solo se ci lasceremo amare e ameremo di più, perché solo l’amore libera il canto della vita incastrato in ogni angolo, anche il più dimenticato, del mondo.”
(L’ANNO CHE VERRÀ, Alessandro D’Avenia, 4 gennaio 2021, Corriere della Sera)

mercoledì 6 gennaio 2021

LO DICE MOLTO MEGLIO DI ME

 

La scomparsa del Caso

Massimo Gramellini | 06 gennaio 2021 

Ai tanti effetti della clausura prolungata che ha divelto le nostre abitudini mi permetto di aggiungerne uno di cui non si parla mai abbastanza: la scomparsa del Caso, dell’Inaspettato.

Nella vita di prima succedevano cose impensabili che oggi sono impossibili, mentre allora erano solo imprevedibili. Andavi a una cena e incontravi l’amore della vita oppure un cretino - statisticamente più il secondo che il primo - ma in entrambi i casi avevi aggiunto un nome in agenda e una riga al libro delle tue esperienze. Adesso puoi uscire di casa soltanto per vedere congiunti e amici in modica quantità. La sorpresa non è contemplata, anzi è temuta: se nel salotto della persona da cui sei in visita entra qualcuno che non conosci, il tuo primo pensiero non è «sarà simpatico?», ma «avrà fatto il tampone?». 

È come se dal film della nostra esistenza fossero state tagliate di colpo oltre la metà delle scene. E infatti se una volta, sugli schermi e nei libri, ci nutrivamo di storie per sognare le vite che non avremmo mai potuto avere, adesso andiamo a cercarvi quella che avevamo prima che ci venisse tolta: gli abbracci, le facce scoperte, i bar affollati, persino gli ingorghi e gli stadi pieni di tifosi arrabbiati, perché anche il caos fa parte dell’esperienza umana ed espellerlo per decreto non può essere considerata una soluzione soddisfacente. 

Siamo arrivati al punto che l’altra sera il primo ministro britannico Boris Johnson, riposti per sempre in un cassetto i proclami vitalisti del suo recente passato, è andato in tv a informare i suoi connazionali che d’ora in poi, e chissà fino a quando, si potrà uscire di casa solo per «fare la spesa essenziale, comprare le medicine e fuggire dagli abusi domestici». Avrebbe fatto prima a dire: «Solo per questione di vita o di morte».

Ci siamo persi l’Altro, ed è una mancanza che alla lunga comincia a dispiacere persino ai misantropi. Soprattutto ci siamo persi la possibilità di perderci: per strada, come dentro un contrattempo. Ho provato a fare una breve lista di tutti i piccoli eventi imprevedibili a cui abbiamo rinunciato da quando la nostra vita è diventata una ripetizione schedulata di gesti meccanici: lo sguardo di uno sconosciuto sulla metropolitana, un litigio tra automobilisti nevrotici, uno sfottò al bar. Casualità gradevoli o spiacevoli, ma comunque vive, perché quasi mai preventivabili. Ginnastica per la mente, costretta a misurarsi con stimoli inaspettati. Si può riprodurre tutto questo dentro lo schermo di un computer? Me lo chiedo ogni volta che penso agli adolescenti. Sono loro le prime vittime emotive di quanto ci sta succedendo. Da quasi un anno, non mettono più piede regolarmente dentro una scuola, un concerto o una festa. La giovinezza è uno stato d’animo che reclama la presenza, il contatto fisico. Vedersi «a distanza» è una condizione artefatta, un rito asettico che taglia fuori quasi tutti i sensi, a cominciare dall’olfatto: forse il più dirimente, almeno per gli innamorati. 

Provate a calare nel lockdown i due adolescenti più famosi della letteratura, Romeo e Giulietta. Nella Verona di questi giorni non si conoscerebbero neanche: Romeo non riuscirebbe a imbucarsi in casa Capuleti, neppure se fosse munito di regolare autocertificazione. Così resterebbe congelato nelle sue passioni sbagliate ma conosciute, finendo per andare a prendere inutilmente freddo sotto il balcone della sdegnosa Rosalina, purché entro e non oltre le dieci di sera. Probabilmente lui e Mercuzio si ubriacherebbero di continuo e andrebbero a fare a botte con la banda rivale per dare un senso alla noia. Certo, i due amanti non morirebbero più per le conseguenze del loro amore. Però morirebbero dentro, per non averlo vissuto. Ed è proprio questanon-vita che oggi tormenta una intera generazione a cui sono stati tolti gli spazi dello studio e quelli della convivialità, oberandola di debiti che toccherà a lei pagare in cambio di servizi che neanche la riguardano, dal momento che il Recovery Fund ideato - si fa per dire – da un governo di dinosauri e camaleonti si occupa di tutto tranne che dei giovani. 

Immagino stuoli di psicologi al lavoro per studiare le conseguenze di questa pena, che non dà certezze neanche sulla sua fine. Non sarà facile tornare alle vecchie abitudini, e neanche immediato. Quando tutto il mondo avrà fatto il vaccino (compresa l’Italia, sia pure qualche mese dopo) ci sentiremo come chi è reduce da un grave incidente. Da bambino mi ruppi malamente un braccio cadendo dalla bici e ricordo ancora benissimo la sensazione che provai appena mi tolsero il gesso. Il mio cervello si rifiutava di credere che certi gesti, un tempo normali, fossero tornati possibili, e continuava a rivolgersi all’altro braccio per ogni evenienza. A quello ingessato non bastò guarire. Dovette reimparare a esserlo. La lunga inattività aveva ristretto la sua zona di conforto: temeva qualsiasi contatto e qualsiasi imprevisto, scambiandolo per un’invasione di campo in grado di attentare alla sua integrità ritrovata. Anche a noi toccherà reimparare (o imparare tout court) ad avere fiducia negli altri, e prima ancora in noi stessi. Sarà durissima, non vedo l’ora.