domenica 26 dicembre 2021

DI DOLCI NATALIZI E SENTENZE FINALI

 La premessa è che ho un vecchio amico dei tempi dell’università con cui sono rimasta in amichevole contatto, con alti e bassi, per tutti questi anni, contatto rafforzato in questi ultimi anni dalla pandemia e dal fatto che il nostro tempo libero è enormemente aumentato. L’amico Michele è di Udine, anzi tenacemente friulano, avendo lavorato molto sul territorio cui appartiene. 

Nel tradizionale scambio di pacchetti regalo per Natale io gli ho mandato una delle mie spongate (sembra che a loro piaccia molto) e altre leccornie home made e lui mi ha mandato una bella scatola con due gubane (dolce delle grandi occasioni, in Friuli, tra cui anche il Natale) e un sacchettino di strucchi (altro dolce locale, piccoli morsels ripieni e fritti). Gli strucchi sono finiti presto, nel sacchettino tutti in vari momenti hanno pescato, passandoci accanto.

Ieri sera alla fine della cena  ho detto: “Adesso apriamo la gubana” e non ho avuto gli entusiasmi alle stelle del resto della famiglia (“Ma cos’è?”, “Ma è enorme”, “Ma addirittura due?”) e ho scelto autonomamente (dai buzzurri non si può ottenere aiuto) una delle due, alle noci, ricetta più tradizionale. Al taglio, gli entusiasmi della truppa si sono un po’ alzati perché il dolce è bello, soffice, rotondo e stratificato, si vede subito che è buono. Poi ne abbiamo mangiato generose fette ed è piaciuto un sacco a tutti. L’unica voce semi critica è stata la mia di totale astemia “Ma voi non sentite il sapore di alcool?” E gli altri “Sì, sì, un sacco, una bontà…” (ho controllato, contiene grappa, messa prima della cottura, ovviamente, sennò non sarei riuscita a mangiarla). 

Stamattina secondo round a colazione. Tutto bene, dunque, ma il suggello finale, come sempre, l’ha dato il Padre (Roberto) che, mangiando la gubana, ha sentenziato “Certo che i friulani senza alcool non riescono a fare niente”. 

Sipario

sabato 25 dicembre 2021

REGALI - IO

 Vorrei i miei figli, la mia nipotina e mio marito sempre qui con me. Vorrei tutto l’anno la casa splendente di lucine, decorazioni, piccoli presepi, risuonante in sottofondo molto basso di musica natalizia, odorosa dell’umami del brodo per i cappelletti e del lesso che sobbolle. Vorrei tutto l’anno lo scrocchiare della carta e dei fiocchetti dei regali che vengono aperti e le espressioni di piacere (a volte i gridolini) per tutte le belle, pensate, spesso superflue cose che vengono donate.

Vorrei che il calore della mia grande stufa e l’incanto quasi ipnotico dell’albero carico di addobbi e lucine potessero essere caricati in una batteria interna e durare dentro di me per lungo tempo, vorrei che il cioccolato e la spongata e il panettone permanessero nelle mie papille gustative. Vorrei sentire sempre la tenerezza e la gioia di un/una bimbo/bimba appena nato/a, ma vorrei anche non vedere più scene di povertà, disperazione e guerra, crudeltà e ferocia, freddo e gelo e tempesta che sembrano la musica di sottofondo di questa povera, magnifica Terra.

Vorrei passeggiare sul lungomare tra Lerici e San Terenzo con un tiepido sole a scaldarmi il collo e la schiena, vorrei viaggiare nell’enorme vuoto della Patagonia centrale ascoltando il senso del mondo, vorrei contare i mille arcobaleni della cascata di Sellfoss in Islanda, vorrei immergermi nell’atmosfera magnifica di Monterrey e della costa pacifica tra Los Angeles e San Francisco, vorrei sostare in silenzio per molto tempo nel Cenacolo Francescano, vorrei vedere le mille meraviglie che ancora non ho visto del mondo…

Ma soprattutto vorrei le cose impossibili da avere: vorrei più Natali a venire di quelli che riesco ad immaginare, vorrei gli occhi limpidi con cui riuscivo a scrutarli e memorizzarli e goderli in altri decenni, vorrei sopra ogni cosa i Natali in cui c’eravamo tutti, tutte le persone amate e ora mancanti.

So però di dovere ringraziare anche per questo Natale, per quello che ho e non possiedo, per il brodo che comincia a bollire in attesa dei cappelletti e per i messaggi di auguri che arrivano numerosi, tutti sinceri, tutti affettuosi. È difficile dire qualcosa di originale per fare gli auguri di Natale - molti poeti e molte citazioni lo testimoniano. È più facile però scrutare e condividere i fili di amore e di affetto che si intrecciano dentro di noi e intorno a noi. Buon Natale!



REGALI -ELASTI

 

regali

vorrei cinque tamponi senza cinque ore di coda davanti a una farmacia, una terza dose dietro l’angolo, abbracci per tutti, assaggiare il dolce nel piatto altrui, la fine della paura dell’aria che respiriamo.

vorrei cose sceme, futili e materiali perché hanno il sapore buono delle big babol e quel loro colore psichedelico che rende euforici: orecchini piccolissimi, il libro di un pasticcere francese, rossetto, ombretto, un faretto per leggere al buio, un paio di orecchie da coniglio, di occhiali rosa, di guanti che suonano il canone in re maggiore di pachelbel, la borsa di eta beta, una casa di bambole grande come un pollice.

vorrei il super potere dei monaci zen, saltare tra le mani senza piantarmi a metà strada, camminare a testa in giù, ballare il tango argentino, liberarmi dall’ansia di disturbare. vorrei la pancia piatta o almeno non curarmene, la lucidità di pensiero di mister i, la sua sicurezza, l’ottimismo da vispa teresa che già ho, la fiducia in me stessa che mi manca, la capacità di non curarmene. 

vorrei la felicità per tutti i maschi che mi stanno intorno e grandi amori e scelte giuste e passioni travolgenti e lo stupore delle cose fino a quando avranno cent’anni e oltre.

vorrei un cane, un gatto, un pesce rosso. no, i pesci rossi mi fanno impressione e hanno un odore strano. vorrei concentrarmi. vorrei la mia stanza. vorrei capire meglio. vorrei la consapevolezza di me e del mondo. vorrei sapere la storia e la fisica ma anche il diritto. vorrei essere un medico. vorrei non soffrire di vertigini. vorrei essere più gentile, più paziente, più generosa. vorrei non sentirmi sempre in ritardo. vorrei godermela di più. vorrei dare i consigli giusti. 

vorrei essere qui, adesso, con tutto quello che c’è da tenere e da cambiare. e dire grazie perché non ho bisogno di niente più di quello che già c’è e perché il mio desiderare fa quasi sempre rima con giocare.

tanti auguri. ai desideri, ai giochi, alle speranze, a noi che diventiamo grandi, nonostante tutto.

(Dal blog di Elasti alias Claudia De Lillo, Nonsolo mamma)

mercoledì 8 dicembre 2021

ANALISI PRET A PORTER

 Siamo in macchina, Roberto ed io, nel viaggio di quattro ore e mezzo per raggiungere la bella casa svizzera di Anna, Olivia e Andre. Chiacchieriamo di varie cose, spesso sollecitate da quello che stiamo vedendo. Vediamo a un certo punto un elegante edificio della società elettrica ticinese e inizio io “Mi chiedo se la Svizzera compra il gas russo, perché loro di gas ne usano poco, hanno le caldaie elettriche e le piastre elettriche per cucinare” (posta poi la questione ad Andre, l’ho visto trattenere il disgusto per una domanda così cretina: lui ha la caldaia elettrica ma le caldaie sono spesso a gas e soprattutto il gas serve per le numerose aziende svizzere).

Continua Roberto “Però secondo me gli svizzeri almeno con l’elettricità sono autosufficienti, hanno molta energia idroelettrica” (vero, confermato in seguito da Andre) “Eh, sì, sono efficienti con l’elettricità, ma hanno fatto diventare i pesci culani!” [culano= espressione volgare, tipicamente parmigiana, per significare persona omosessuale].

Alla mia espressione probabilmente espressivamente stupita mi ha spiegato che si riferiva ad un articolo che aveva letto sul fatto che i pesci sviluppano comportamenti sessuali inusuali per colpa di inquinamento o deviazioni dei corsi d’acqua. 

La fine della storia stasera, di ritorno da Zurigo in un viaggio completamente sotto la neve, stretti intorno alla stufa che stava rapidamente riscaldando la casa fredda ognuno sbirciando il cellulare o IPad “Ecco, vedi, gli albatross, animali da sempre considerati il prototipo della monogamia e fedeltà, sempre più spesso, a causa dell’inquinamento, divorziano e cambiano compagna. Come i pesci culani”.

Beh, non fa una piega, no?

lunedì 29 novembre 2021

FIORI INVERNALI

 Oggi, in una bella giornata di terso sole invernale, passeggiando nel mio giardino, mi sono imbattuta in insoliti, ma non meno magnifici, fiori invernali





STREET ART

 Street Art  (Ginko Biloba di trentatré anni, foglie di Ginko Biloba autunnali/invernali e trattorino domestico) da un promette artista italiano, categoria Late Bloomers, Roberto Ranieri




sabato 27 novembre 2021

OLIVIA E IL NIDO: EPISODIO 3

 Ed è arrivato, alla fine della prima settimana di inserimento, il momento di passare un’intera ora senza la mamma e con le tate (anche un tato maschio) all’asilo. L’ora è filata liscia, nessuna crisi “Si è guardata un po’intorno per vedere se c’era la mamma, ma poi si è messa a giocare, impegnatissima e sorridente. È una bambina molto socievole, vedrà che non avrà problemi.”

Certo però che un’ora da protagonista, reggendosi solo sulle proprie forze e risorse, stanca davvero moltissimo. Tra l’asilo e casa solo cinque minuti in passeggino e questo è il momento dell’arrivo a casa


Ps. E comunque, ancora e sempre BABY POWER!

OLIVIA E IL NIDO:EPISODIO 2

 E così, lunedì scorso Olivia e la sua mamma hanno incominciato l’inserimento al nido. I primi giorni, un’ora con la mamma, tutto bene, ma poi è arrivata la prima mezz’ora da sola, con la mamma in un’altra stanza e la prima crisi. La crisi della mamma, non di Olivia, la mamma che si è messa perfino a piangere, sentendosi abbandonata e terrorizzata di lasciare la sua bambina in altre mani. L’assistente pedagogica l’ha un po’ consolata e tutto si è risolto. Olivia ha reagito bene, ma Anna, la sera in videochiamata, parlandone, ha detto che lei vorrebbe stare con la bambina e non vorrebbe che Olivia crescesse. E quale mamma pescando nei suoi ricordi non solidarizzerebbe con Anna?

È inevitabile, crescerà e andrà al nido e andrà tutto bene.


BABY POWER!

giovedì 25 novembre 2021

GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

 La verità è che un uomo violento con le donne ammette la sua inferiorità, al cospetto delle donne e - soprattutto - degli altri uomini. 

Senza alibi.

(Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne)



lunedì 22 novembre 2021

LEGGERE DANTE 2

Secondo incontro leggendo Dante, peccato fosse l’ultimo per il momento, ma abbiamo cercato a gran voce di averne altri. Stavolta, Ulisse e Conte Ugolino.

Ulisse,  canto XXVI, è un canto perfetto che celebra l’ardore, la passione di conoscenza, e che chiude con 4 versi drammatici, plastici, perfetti. In mezzo, “fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtude e canoscenza”

Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica; 87

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: "Quando 90

mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse, 93

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta, 96

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore; 99

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. 102

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna. 105

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi 108

acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111

"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 114

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
". 120

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti; 123

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino. 126

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo. 129

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo
132

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna. 135

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto. 138

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque, 141

infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".

E il Conte Ugolino, al Canto XXII, emozionante, dolente, ambiguo

Poi cominciò: "Tu vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ’l cor mi preme
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
 

…..

Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi, 72

già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno". 75
……
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove 'l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti, 81

muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona! 


DELLA MADRE

 



Finalmente a teatro, dopo lungo tempo, e anche solo il ritorno vale la pena, soprattutto in una bomboniera di teatro come l’Arena del Sole di Roccabianca, paesino sperduto nella Bassa Parmense, bellissimo e antico, 2870 abitanti.

Sullo spettacolo in sé devo dire che le mie aspettative erano piú alte del risultato: tratto dal discorso sulla madre di Recalcati, che conosco bene, é sicuramente un bello spettacolo, con soluzioni e idee sceniche anche molto originali, ma a mio avviso piú crudele di quello che poteva essere sulle madri - in certi punti ho avuto una stretta al cuore e la tensione comunque non mollava mai. Mi era piaciuta molto di piú la scrittura scenica di “In nome del padre” che avevamo visto al teatro di Ragazzola (piú piccolo di Roccabianca, ma gremito) nella primavera del 2019, quando non sapevamo ancora niente del Covid. La mano era piú leggera, allora, per quanto senza negare le spinositá. Ebbene, siamo qui, reduci e non sconfitti, ancora a teatro con le nostre maschere e mascherine. Un abbraccio.

venerdì 19 novembre 2021

DELLA MIA GASTRITE

 Soffro di gastrite e come è noto la gastrite a sua volta soffre di una componente psicologica importante. Negli ultimi giorni, infatti, si è accentuata (a onor del vero lo fa ad ogni passaggio di stagione) e ne aveva ben donde con le notizie di cui può nutrirsi: uno o due femminicidi al giorno, addirittura in questo periodo collegati agli infanticidi dei propri figli, violenti, folli, inaccettabili (osservo come siano spesso uomini di origine straniera, a dar conto di una nascosta epidemia di disagio mentale collegata al fenomeno migratorio) e stamattina anche la notizia di un bimbo siriano di un anno morto di freddo - DI FREDDO! - al confine polacco della ricca Europa, una notizia crudele e inaccettabile, se sia colpa di Lukashenko o dell’Europa è abbastanza marginale di fronte ad una notizia del genere.

Nutrimento alla mia gastrite lo ha anche fornito la notizia di stamani riguardante il governo che è andato sotto in due emendamenti con i voti in Senato di tutto il centrodestra con i voti di Italia Viva di Renzi. Non è tanto la notizia in sè, piuttosto marginale anche se ha cominciato a scatenare i commentatori sulla fine dell’esperienza Draghi e lo sfilacciamento della sua maggioranza, quanto il pensiero che ho avuto e che nessun commentatore sottolinea: i “voti di Italia Viva” sono i voti di elettori del PD che hanno eletto quei senatori, visto che Italia Viva non c’era come soggetto alle scorse elezioni. E questo alimenta la mia gastrite…

SUI NO VAX

 

L’amico no vax e il solco incolmabile

di Emanuele Trevi (Corriere della Sera 19 novembre 2021)

È all’opera una parodia dell’intelligenza, priva di empatia che rende ormai spuntate le armi della persuasione

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Dovessi campare mille anni, leggendo e analizzando una per una le argomentazioni contro i vaccini e contro quel loro necessario complemento che sono i green pass, non riuscirei ad assimilare nemmeno un minimo frammento di quella maniera di pensare e di comportarsi. Come alla stragrande maggioranza dei miei simili, più di ogni singola polemica, più di ogni manipolazione dei dati, più di ogni infantile enormità stile «dittatura sanitaria» e «grande reset» è il tono di questa gente, capace di negare anche i numeri dei morti pur di godersi un posticino nel sole del dibattito, che mi infastidisce profondamente. Ci vedo all’opera un’intelligenza, sarebbe meglio dire una parodia dell’intelligenza, priva di empatia: mancanza orribile, non meno dannosa per l’umanità, a lungo andare, degli effetti del monossido di carbonio o delle carestie da siccità. 

Basta guardare come parlano, ripetendo le loro frottole, con lo sguardo vitreo di chi ritiene che le parole, e la loro apparente concatenazione logica, bastino da sole ad annullare la realtà. E il bello è che, in fin dei conti, sui due fatti centrali potremmo essere tutti d’accordo: i vaccini sono uno strumento ancora lontano dalla perfezione, non garantendo l’immunità in modo totale; e i green pass non andranno impiegati un giorno più del necessario, perché è vero, l’ombra del controllo pesa su tutte le società e non è certo una cosa da prendere sottogamba. Ma è proprio di fronte a queste constatazioni elementari che il discrimine tra gli esseri umani non è più l’intelligenza, ma l’empatia. Prendiamo il sentimento più elementare e comprensibile: la paura del vaccino. Chi di noi non l’ha provata ? Ebbene la finta intelligenza, lasciata sola, è capace di costruire intorno al puro e semplice fatto della paura, che è difficile accettare ed ammettere in quanto tale, tutto un reticolato di motivazioni che possiedono l’apparenza di un ragionamento conseguente e supportato da fatti. È così che ci si condanna a vivere in quello che una grande scrittrice cattolica americana, Flannery O’ Connor, ha definito «un mondo che Dio non ha mai creato». L’empatia, tutto al contrario, è una consigliera più prudente e insieme più aperta alle infinite possibilità della vita. Non esige da te che superi la paura del vaccino, non zittisce le tue eventuali preoccupazioni filosofiche sull’opportunità del green pass. Ti suggerisce solo di collegare la tua singola esistenza a ciò che è umano in te come negli altri. E di adottare strumenti imperfetti perché altri, per adesso, non ce ne sono. Perché molti medici possano tornare a occuparsi di tutte le altre patologie necessariamente trascurate, per esempio. Perché sia garantita la possibilità di visitare i malati nei luoghi di cura, per dirne un’altra, che è una parte irrinunciabile dei processi di guarigione. E dunque, ci provi, assieme a milioni di persone come te: anche se sai che vaccini e green pass hanno i loro limiti, sono strumenti imperfetti, lo fai perché l’alternativa è terribile, perché chi vive assoggettato alla propria psiche individuale, ancora prima che nocivo agli altri, è come uno condannato in vita alle pene dell’Inferno.

Per quanto mi riguarda, mi sarei vaccinato e userei il green pass anche se ritenessi attendibili alcune delle fanfaluche dei negatori. Perché il rischio esistenziale, ovvero la perdita di connessione empatica con l’umano, peserebbe sulla bilancia molto più di un supposto effetto collaterale o di una momentanea perdita di libertà. Credo di avere descritto un sentire così comune da rischiare di essere banale; molto meno banale, e degno dell’attenzione di un grande romanziere, è uno scenario sociale in cui la mancanza di empatia, di compassione, di rispetto per il sapere autentico si infiltra nelle case, nella cerchia degli affetti, addirittura nelle relazioni d’amore. Perché, al netto della tragedia pandemica, è questo il dramma psicologico che siamo costretti a vivere, ed è ogni giorno più evidente. Sarà una minoranza di pazzi, ma è una minoranza troppo numerosa: conosciamo tutti persone che non si sono vaccinate, o che pensano che mostrare il green pass in treno sia un attentato alla Costituzione. 

Siamo legati a loro da lunghi affetti e consuetudini, o siamo parenti stretti, nutriamo stima nei loro confronti, li ammiriamo per il loro lavoro. Non possiamo usare gli idranti per disperderli, non possiamo cambiare canale se li sentiamo affermare un’idiozia, e ogni giorno che passa ci cascano le braccia alla sola idea di discutere con loro. Perché ormai, è inutile che lo neghiamo, le armi della persuasione si sono totalmente spuntate. Mi sorprende che qualcuno di buona volontà le invochi ancora, quando è evidente che chi si doveva persuadere, si è già persuaso e aspetta la terza dose. Queste persone di cui parlo, questi nostri amici e consanguinei, anche se arrivasse un angelo nel loro soggiorno a scongiurarli di rinunciare all’egoismo e al narcisismo che li possiedono, non lo starebbero nemmeno a sentire. Non sono nemmeno no vax, se intendiamo con questa formula una specie di attivismo. Al contrario, loro non amano affatto parlarne, anche a causa di un elementare sentimento di vergogna, e sperano sempre che il discorso non cada sull’argomento. Sul loro profilo Instagram non troverete immagini di Draghi con i baffetti di Hitler, ma copertine di bei libri, cuccioli, tramonti. Sono capaci di andare a cena da qualcuno e trasformare quella casa in un focolaio, ma sono angosciati per la sorte delle donne in Afghanistan e per il global warming. Sperano che la buriana passi senza costringerli a mettersi in gioco, sperano addirittura di prendersi il Covid in forma lieve, come una riserva privata di anticorpi. Non se lo potranno mai confessare, ma noi lo vediamo bene: a sorreggerli c’è il turpe, inconfessato sentimento che tanto a vaccinarsi ci abbiano pensato gli altri. Ma l’esperienza ce lo insegna: noi non togliamo l’affetto a chi si macchia di comportamenti altrettanto incivili, se è possibile: quando mai abbiamo troncato con qualcuno perché guida in modo imprudente, e magari ci beve sopra un paio di bicchieri ? Quando mai abbiamo rinunciato a frequentare qualcuno che non fa la raccolta differenziata, o si fa pagare al nero un lavoretto ? Per dirla con la Bibbia, non siamo noi i guardiani dei nostri fratelli, e anche se a dirlo era Caino, in questo caso aveva ragione. Sono solo le leggi, e le istituzioni preposte a farle rispettare, che ci possono salvare. La norma è impersonale, e non distingue tra chi la ritiene giusta e chi la ritiene un sopruso. Ci solleva da discussioni, da conflitti, da silenzi addolorati che sono del tutto inutili e rischiano di trascinarsi dietro una specie di Long Covid emotivo, nel quale continueremo a voler bene a persone alle quali non riusciremo a perdonare quello che non hanno fatto, i sentimenti che non hanno provato. Tra tante scalogne inevitabili che la pandemia ha portato con sé, norme limpide e l’autorità necessaria a farle rispettare potrebbero almeno sollevarci dalle spalle l’onere di incarnare — ci mancava solo questa ! — un assurdo perbenismo sanitario.

(Lo dice più che bene, direi. Aggiungo solo che ho sperimentato però anche una ricorrente relazione tra posizioni no-vax, no-euro e negazioniste del cambiamento climatico, tracce di una linea di pensiero precisa che sembra sconfitta dalla storia in un momento in cui l’euro ci salva il culo e il cambiamento climatico è sotto gli occhi preoccupati di tutti noi, ma non ancora sconfitta tra i fantasmi che albergano nella testa delle persone. Sottolineo anche con forza quello che Emanuele Trevi evidenzia: non è più possibile convincere, discutere, argomentare)

domenica 14 novembre 2021

PSICANALISI DEL GALLO 2: R.I.P.

 E fatalmente, come preannunciato, è avvenuto. Ecco qui il gallo con istinti suicidi: R.I.P. nel congelatore per un futuro pranzetto.


sabato 13 novembre 2021

LEGGERE DANTE

 Da un po’ volevo andare ad una lettura della Divina Commedia. Avevamo una brava professoressa che ci ha fatto molto amare Dante (ricordo perfino che l’Inferno era il suo preferito e il Paradiso il suo meno preferito), ma dalla fine delle superiori non ho più ripreso in mano la Commedia. Questo è l’anno del settecentesimo anniversario e le letture pubbliche abbondano, ma per un motivo o per l’altro non ero mai riuscita ad andare. Così, quando ho visto una proposta di Intercral Parma e Famija Pramzana, due giovedí a leggere alcuni Canti dell’Inferno, ho deciso di andare, coinvolgendo anche Roberto e Albe.


Mi chiedevo tra me e me se non era un po’ assurdo leggere e commentare insieme e se mi sarei annoiata e invece è stato piacevolissimo, sicuramente per merito anche di due brillanti conduttori, ma soprattutto perché i versi, oltre ad essere di sublime bellezza, hanno risvegliato echi noti, come se facessero parte di noi da sempre, dimenticati, ma di forte presenza.

Ne ho segnati alcuni 

(Canto terzo)

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente. 3

Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e ’l primo amore. 6

Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate
’. 

…..

Questi non hanno speranza di morte,

e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte. 48

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa". 

…..

Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! 84

….

E ’l duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare
". 96

Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie, 114

similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo. 

(Canto V)


"O tu che vieni al doloroso ospizio",
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio, 


La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta. 

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,

prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 102

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense
".
Queste parole da lor ci fuor porte. 

….


Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".

Ecco, come se fossero state sempre lî, queste parole sonore, cosí familiari, cosí piene di bellezza.

Giovedì prossimo ancora….