Qui siamo di fronte all’illusione che anima ogni scolastica: pensare che la trasmissione sia fondamentalmente un’attività di riempimento. E noi sappiamo cosa Socrate risponde ad Agatone:
“Io sono vuoto come te e come te desidero sapere”.
Dunque il maestro non è colui che gli riempie la testa del sapere che possiede. Socrate si dà ad Agatone non come il proprietario del sapere, ma come testimone dell’eroticità del desiderio di sapere. Il maestro incarna il desiderio di sapere e questo mette in movimento l’allievo. Agatone non è più coppa vuota che deve essere colmata dal sapere del maestro ma diventa amante, dice Platone, del sapere. Questa trasformazione dell’allievo in amante è fondamentale nell’insegnamento.
Per operare questo passaggio dall’allievo testa vuota all’allievo amante, il maestro non deve usare il sapere come cemento, piuttosto deve avere confidenza con il limite del sapere, con l’impossibile che attraversa il sapere, deve avere confidenza con la mancanza di sapere. Noi non dobbiamo pensare che se sapessimo a memoria tutti i libri di tutte le biblioteche del mondo, avremmo realizzato un’appropriazione esaustiva del sapere. Il limite del sapere non è esterno al sapere. Il limite del sapere abita il sapere, è un punto interno al sapere. E’ ciò che custodisce il valore stesso del sapere.
Ne abbiamo un esempio tra i più noti nella Genesi. Cosa non possono Adamo ed Eva?
L’impossibile non è l’accesso alla conoscenza, l’impossibile è sapere il sapere di Dio: impossibile è spiegare il sapere di Dio, impossibile è spiegare Dio. C’è un limite che attraversa il sapere, ma se noi assumiamo questa impossibilità rendiamo possibile il sapere.
Voglio fare un esempio attraverso un ricordo personale di una figura di maestro, mio professore di filosofia, molto noto per aver scritto dei manuali di storia della filosofia. Ricordo che quando entrai all’università Statale come matricola di filosofia, agli inizi degli anni Ottanta, Mario Dal Pra si stava congedando dall’insegnamento. Io entravo con un curriculum di studi tormentatissimo, bocciato più volte, con un diploma di esperto in coltivazioni di piante tropicali in serre calde, acquisito nella periferia estrema di Milano, a Quarto Oggiaro, una specie di Bronx con un’alta densità di criminalità e spaccio di droga. Avevo un curriculum non tra i più brillanti. Diseredato dai miei genitori perché decisi di non proseguire la carriera di floricoltore di mio padre: disederato in senso letterale. Venivo con questa formazione e il corso di Mario Dal Pra riportava un’annotazione nella guida dell’università: “E’ vivamente sconsigliato alle matricole”. Decisi lo stesso di frequentarlo, ma c’era un’altra aggravante che era il tema: “La logica e la struttura della Scienza della logica di Hegel”. Diciamo che non è proprio il testo migliore per chi era abituato a studiare il mal bianco delle rose.
Mi sedevo sempre in cima alla grande aula. Prima di lui arrivavano i suoi assistenti che si schieravano alle sue spalle e poi entrava questo omino piccolo, calvo, con i due libri – Hegel in italiano e Hegel in tedesco – e si metteva alla cattedra. Sempre vestito di grigio, con due consistenze diverse, inverno primavera.
L’omino si metteva sul testo e il suo commento spianava le montagne russe di Hegel e le trasformava in una pianura. Ecco il miracolo. Il gomitolo impossibile da sciogliere del testo di Hegel, toccando un filo si scioglieva improvvisamente.
L’omino si metteva sul testo e il suo commento spianava le montagne russe di Hegel e le trasformava in una pianura. Ecco il miracolo. Il gomitolo impossibile da sciogliere del testo di Hegel, toccando un filo si scioglieva improvvisamente.
E’ l’esperienza che noi facciamo durante l’ora di lezione dalle elementari fino all’università: il commento del maestro porta la luce sul testo. Un testo che sembrava chiuso, illeggibile, diventa leggibile, si apre. Un mondo si apre. L’oscurità profonda del testo si trasforma in una luce.
Se Dal Pra si limitasse a questo, a chiarificare il testo, riprodurrebbe un’altra illusione: che si può arrivare ad appropriarsi integralmente del libro, come del corpo dell’amante. Anche nell’amore c’è questa illusione di arrivare ad una appropriazione completa del corpo dell’amata, o dell’amato. Ma il corpo dell’amante, come il libro, sfuggono all’appropriazione. E infatti c’erano dei momenti in cui Dal Pra mentre leggeva Hegel si fermava, alzava gli occhi al cielo e poi diceva:
Se Dal Pra si limitasse a questo, a chiarificare il testo, riprodurrebbe un’altra illusione: che si può arrivare ad appropriarsi integralmente del libro, come del corpo dell’amante. Anche nell’amore c’è questa illusione di arrivare ad una appropriazione completa del corpo dell’amata, o dell’amato. Ma il corpo dell’amante, come il libro, sfuggono all’appropriazione. E infatti c’erano dei momenti in cui Dal Pra mentre leggeva Hegel si fermava, alzava gli occhi al cielo e poi diceva:
“Qui dobbiamo fermarci. Chissà Hegel cosa ha visto”.
E non proseguiva nel commento.
Di fronte a un Deleuze si potrebbe pensare: “Chissà che cosa si è fatto?”
La forza del maestro, per un verso è portare la luce nel testo e per l’altro verso è preservare l’impossibile da dire nel testo. Ma è questo impossibile che mantiene vivo il desiderio di sapere. Usciti dall’aula, tutti noi ci precipitavamo immediatamente sulla frase che il commento del maestro aveva saltato perché quella diventava la zona più densa di senso. Nel punto in cui il maestro segnala qualcosa che è nell’ordine dell’impossibile, c’è qualcosa che riguarda il desiderio. L’impossibile ha a che fare con il mistero indecifrabile della vita, della morte, del sesso. Ogni volta che il maestro si ferma, si ferma di fronte a questo mistero e lo imita.
Il maestro deve produrre il vuoto e mantenere vivo il desiderio di sapere. Il maestro sa custodire la mancanza che abita il centro del sapere.
Calvino diceva che un libro diventa un classico quando si rivela inesauribile, quando il commento non arriva mai a completare il rischiaramento del testo e il testo mostra rispetto a ogni commento una sua straordinaria eccentricità.
Calvino diceva che un libro diventa un classico quando si rivela inesauribile, quando il commento non arriva mai a completare il rischiaramento del testo e il testo mostra rispetto a ogni commento una sua straordinaria eccentricità.
Noi siamo la caricatura del maestro che abbiamo avuto. In un primo momento l’allievo è l’imitazione del suo maestro. Io mentre parlo sono la somma dei maestri che ho avuto, ma sono anche una deviazione eretica dei miei maestri.
Non c’è trasmissione che possa prescindere dall’incontro. La scuola è un luogo dove gli incontri avvengono. Quello dove io ho incontrato Giulia, la giovane professoressa di lettere che mi ha salvato da una direzione pericolosa che stava prendendo la mia vita e che ha aperto ai miei occhi l’esistenza di mondi di cui non riuscivo nemmeno a immaginare la possibilità.
Non c’è trasmissione che possa prescindere dall’incontro. La scuola è un luogo dove gli incontri avvengono. Quello dove io ho incontrato Giulia, la giovane professoressa di lettere che mi ha salvato da una direzione pericolosa che stava prendendo la mia vita e che ha aperto ai miei occhi l’esistenza di mondi di cui non riuscivo nemmeno a immaginare la possibilità.
Nessun commento:
Posta un commento