Nell’impresa agricola di cui Roberto è presidente ed amministratore delegato, come ogni autunno inizia la lotta alle “ponghe” (denominazione locale di ratti o pantegane) che in particolare in autunno e inverno minacciano i pollai, rubando il cibo delle galline in modo spesso famelico e aggressivo
Il capo degli operai agricoli del podere, M., persona pacata, affidabile e amorevole (tutti noi ci sentiamo rassicurati in sua presenza e i ragazzi disabili che frequentano il podere con inserimenti lavorativi lo portano in palmo di mano) ingaggia la sua lotta con le ponghe utilizzando il veleno in basse dosi, utili per ammazzare le ponghe più piccole, ma che riesce solo a tramortire quelle più grosse, e quindi deve lui pensare a finirle - il modo mi è sconosciuto, in modo particolare perché non voglio in effetti conoscerlo.
Insomma, M.l’altro giorno trova di fianco al pollaio, tramortita, una ponga molto grossa e con le mani accuratamente protette da grossi guanti, la prende per andare a finire il lavoro in un posto riparato, ma incontra R., una dipendente del podere ed una delle tre/quattro gattare e animaliste (purtroppo per J.D. Vance tutte anche mamme - e tutte anche con laurea) che lavorano con vari ruoli nel podere e che amorevolmente si prendono cura di ogni animale che frequenta abitualmente o occasionalmente il podere. R. chiede con ansia a M. “No, no, non ammazzarla, portala là in fondo ai campi e lasciala libera, poi si riprende”.
Non ho assistito di persona alla scena, ma posso immaginarla con una certa chiarezza. M. ha sorriso con quel suo pacato sorriso e senza commentare ha continuato per la sua strada, pensando “Studiare tanto e amare gli animali va benissimo, ma qualche danno collaterale lo fa”
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