giovedì 10 marzo 2022

SPECIALE UCRAINA - MARIO CALABRESI 4

 “Mi sono accoccolato

Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole”.

Giuseppe Ungaretti

LA STORIA

Se la guerra è una barca in secca

di Giulia Marchina*


Il battello che dalla città portuale di Tulcea, in Romania, conduce alla riserva naturale del delta del Danubio, lascia imbarcare al massimo quattro auto. La superficie è piccola, il tragitto è breve. Al di là della riva, chilometri di strada sterrata e dissestata accompagnano allevamenti di mucche e agnelli. Fagiani e cornacchie. La polizia di frontiera aspetta in una casupola ricavata da un container: vogliono accertarsi che chi si mette in viaggio lungo quel percorso non faccia foto, video o che sia complice di contrabbandare la biodiversità del parco. Al chilometro cinque, Plauru. Un villaggio di tre abitanti e quattro abitazioni che guardano sul fiume, vicine di casa di Izmail, la città ucraina attaccata pochi giorni fa dall’esercito russo.

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L’ansa del Danubio (© Alessandro Serranò/AGF) 

Le due terre di confine sono così vicine, nonostante il corso d’acqua nel mezzo, che a occhio nudo si possono intravedere i palazzi e le ciminiere delle industrie di quel Paese ora in guerra. Adriana, ex infermiera, è lì in piedi vicino alla staccionata di casa. Indossa un foulard colorato attorno alla testa, cammina con l’aiuto di una stampella. Con lei Gheorghe Ian nei loro colbacchi: ex operai dell’industria mercantile navale. Abitano quei luoghi da sempre, chiusi in una sorta di bolla temporale che a volte non coincide coi nostri tempi. Allevano cavalli e galline e i bombardamenti li hanno sentiti distintamente, così come le sirene antiaeree.



Adriana, Ian e Gheorghe i tre abitanti del villaggio di Plauru in Romania (© Alessandro Serranò/AGF) 

È successo tutto durante la notte, quando il buio è stato squarciato da bagliori rosso fuoco. Oltre al frastuono dell’attacco militare, a un certo punto hanno sentito strani movimenti tra gli alberi: una sagoma indistinta si faceva spazio tra la sterpaglia. Un ragazzo, 30 anni appena: era scappato nel corso del bombardamento in direzione del Danubio e ha raggiunto l’altra sponda a nuoto, indossando una muta da sub. Non un militare, ma un civile, ha cercato aiuto e lo ha trovato in Adriana, e nei suoi amici di lunga data che gli hanno offerto tè caldo e coperte, prima di chiamare la polizia e l’ambulanza per farlo scappare per sempre. Intanto Ian ha dovuto mettere in secca la sua barca verde: è irritato. Niente più pesca significa dover prendere una macchina, o il carretto coi cavalli, e guidare per decine di chilometri prima di poter raggiungere il primo alimentari che possa assicurare il pasto giornaliero. Ma in quella zona del fiume la navigazione è stata interdetta per il pericolo di attacco da parte dei russi.

Tutta l’area di Plauru è stata classificata zona sensibile ai bombardamenti dalle autorità. I tre paiono risoluti, non hanno paura: «Qui siamo in Europa, ci hanno detto di stare tranquilli e noi lo siamo». Nessuno ha chiesto loro di abbandonare le abitazioni per precauzione, così come non lo hanno chiesto a chi abita Chilia Veche, la cittadina alla fine della riserva per metà rumena e per metà ucraina. L’indicazione è di continuare a fare la propria vita di sempre, senza allarmarsi. Un solo consiglio, da parte di chi pattuglia l’area: in caso di bombardamenti è preferibile chiamare il 112. 

*giornalista freelance

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