“Spero che si rafforzi la convinzione che le guerre, tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio.”
Gino Strada
LA STORIA |
I sogni interrotti dei ragazzi indiani |
di Mario Calabresi |
Aroghya Maji ha camminato per 45 chilometri su una strada ghiacciata, poi ha viaggiato dieci ore su un lentissimo treno locale fino a Leopoli, dove ha dormito in stazione, ha trovato un passaggio verso il confine e poi ha passato un giorno e una notte in fila per percorrere gli ultimi 14 chilometri. All’alba di venerdì è riuscito a uscire dall’Ucraina e a entrare in Europa, passando dal varco di Siret con la Romania. Aroghya ha 24 anni, un immenso ciuffo e la barba, è nato e cresciuto a Calcutta, e da tre anni viveva a Kyiv dove studiava medicina come altri seimila ragazzi indiani. Incontro Aroghya fuori all’aeroporto rumeno di Suceava, dove sta aspettando un volo speciale organizzato dal suo governo che lo porterà a New Delhi. È insieme ai suoi amici Sushovan e Brijesh con cui ha fatto il viaggio, la temperatura è sotto zero ma loro sono fuori in camicia a fumare una sigaretta che nascondono dietro la schiena quando chiedo se li posso fotografare. Sorridono, penso che siano felici perché ce l’hanno fatta, adesso torneranno a casa.«No - mi dice Aroghya -, per me casa oggi è Kiev, io voglio diventare un chirurgo e l’Ucraina è il Paese dove stavo realizzando il mio sogno. Avevo trovato un posto dove studiare, venivo trattato bene, con grande rispetto, e ora non vedo l’ora di ricominciare. Sono sicuro che torneremo, che la guerra russa prima o poi finirà e riprenderemo a studiare da medici». Il più giovane dei tre, Sushovan Bera, viene anche lui dal Bengala, era al terzo anno della Kyiv Medical University, in un solo giorno è passato dall’aula dove faceva lezione a un bunker sotterraneo dove è riuscito a chiamare i genitori su WhatsAppprima che si si scaricasse il telefono. Migliaia di famiglie indiane, angosciate, hanno fatto pressioni sul governo perché organizzasse un ponte aereo per riportare gli studenti a casa. Il governo di Delhi ha scelto di indirizzarli a Siret al confine rumeno. Insieme a Sushovan, Brijesh e Aroghya, in sole ventiquattro ore sono arrivati al confine 1500 studenti indiani, il sindaco del paese di Milisauti ha messo a disposizione la grande palestra del paese e ha chiesto alla Onlus milanese “Progetto Arca”, se potevano prendersene cura loro. «Eravamo appena arrivati ed eravamo tutti agitati - mi racconta il presidente del Progetto Arca, Alberto Sinigallia -, ma in poche ore siamo riusciti a dar da mangiare e a trovare il modo di far dormire settecento di questi ragazzi, adesso sono partiti tutti con il ponte aereo, ma ne stanno arrivando altri quattrocento solo oggi e se ne aspettano quattromila». Alberto mi racconta che il clima nella palestra era sereno, sembrava di stare nel campus dell’università, tutti finalmente avevano ricaricato i cellulari e potevano chiamare i familiari e gli amici, avevano lasciato la guerra alle spalle ma anche le loro case, i libri e le nuove vite. Ognuno di loro, come tutti quelli che passano il confine, aveva soltanto un trolley, con dentro l’indispensabile. Adesso la palestra è vuota, la stanno pulendo, preparano i caffè, i tè e i panini per i ragazzi che stanno per arrivare. |
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