lunedì 28 giugno 2021
DI CINEMA (E UN PO’ DI TRISTEZZA) 2
sabato 26 giugno 2021
DI CINEMA
Ieri mi sono capitate due cose insolite. Innanzitutto, ho visto due film. Uno dei film (Le sorelle Macaluso) lo sono andato a vedere all’Arena Estiva del Cinema Astra ieri sera, sotto la enorme luna di una clemente sera d’estate. L’altro film invece mi ha catturato ad ora di pranzo, mentre mangiavo sola, e l’ho rivisto molto volentieri perché l’avevo visto diversi anni fa (è un film del 2016 e ha vinto alcuni Oscar) ed avevo ancora la sensazione che fosse un film bellissimo: Manchester by the Sea.
L’altra cosa insolita è che la tematica di fondo trattata da entrambi i film è il dolore e la convivenza con il dolore scatenato da un evento tragico, insopportabile, insopprimibile. Dico subito che mentre ho riamato moltissimo Manchester by the Sea, non mi è invece piaciuto molto Le Sorelle Macaluso. Due film opposti: minimalista il primo, barocco il secondo.
Le Sorelle Macaluso è un film siciliano, gridato, con spasmodica ricerca della bella inquadratura, di una poesia di immagini, di colore, di sentimenti, di pianto e di rabbia, pieno di cose un po’ volutamente ordinarie, molto costruito anche sulle cose e sui corpi. Nel film prevale su tutto un sole cocente e un mare torbido e caldo.
Manchester by the Sea è invece un film spoglio, poco parlato, vuoto, realistico e costruito sugli sguardi, ma non per questo meno poetico nel dolore assoluto di quest’uomo che vive controvoglia, che non sa darsi tregua, che non si consola nell’amore che gli altri gli manifestano, ma anzi se lo conficca come un pugnale nel corpo. Nel film prevale su tutto il candore gelido della neve che sembra non finire mai e la luce di un oceano gelido e magnifico.
Le mie preferenze stilistiche vanno indubbiamente al film nordico, ma penso c’entri anche il senso del dolore di cui sento più vicina l’idea del gelo e del silenzio che non quella del calore e del pianto - per sopravvivere ad un dolore, congeliamo spesso più o meno piccole parti di noi, non possiamo piangere e urlare per cinquant’anni, non sopravviveremmo. Nessuno dei due film dà soluzione, soluzione non c’è, se non la necessità di vivere i nostri giorni trascinandoci dietro fardelli di gelo e sentieri di sole.
mercoledì 23 giugno 2021
martedì 22 giugno 2021
TUTTO QUELLO CHE SERVE
C’è una piccola via nel centro di Colorno, la stessa che porta al Duomo, dove in famiglia diciamo che c’è tutto quello che ci serve.
C’è il fornaio Borlenghi, dove il sabato mattina Roberto compra enormi quantità di focaccia di grano duro di impareggiabile bontà di cui ci abbuffiamo senza stancarci mai.
C’è il casalinghi Felisi dove troviamo tutte le piccole indispensabili cose che servono per la casa, dai cerchietti di silicone di ricambio per i tappi delle bottiglie con la macchinetta alle minuscole pile per il termometro da dolci (segnalo purtroppo una recente defaillance, incapace di fornirmi un battipanni…).
C’è il fruttivendolo Carlo, erede di due genitori fruttivendoli che noi ricordiamo e praticamente cresciuto in negozio e che ci fornisce arance (e noci) per tutto l’inverno che il mio competentissimo ed esigentissimo marito (in materia di frutta e verdura) ha eletto le “migliori”.
C’è la merciaia Giovanna, che ho sempre visto lì, un po’ gravata ora dal peso degli anni ed affiancata da una fidatissima commessa ed ora dal figlio, da cui ho sempre comprato calze, pigiami, magliette di sotto, mutande e passamanerie, una bella signora di una naturale eleganza che mi ha sorpreso ieri, mentre comperavo il pigiama estivo, facendomi i complimenti per la mia “bellissima nipotina” che ha visto “sabato dal fornaio in braccia a suo marito con sua figlia” - non avevo mai realizzato in tutti questi anni di cortese frequentazione che sapesse chi erano mio marito (anch’esso suo cliente) e mia figlia. Mi viene ora il dubbio che abbia mappato anche mio figlio.
C’è la lavanderia, in cui la lavandaia storica è andata in pensione e adesso una gentile signora prende in carico le nostre giacche invernali.
C’è la pizzeria da asporto, efficientissima e con una buona pizza integrale a lunga lievitazione.
C’è la gioielliera cui ricorrere per le pile e i cinturini degli orologi (e dalla quale ho comprato un delizioso cuoricino d’oro con inciso “Olivia”).
C’è infine la mitica macelleria di Giorgio, Roberta e Silvia che sono per inciso i nostri vicini e che allevano i bovini che vendono nella loro stalla. L’altro giorno sono andata a comprare un pezzo di manzo per fare il roast beef e Giorgio me l’ha tutto tagliato e quasi direi cesellato e quando me l’ha consegnato mi ha detto, in dialetto “Attenta quando apri il pacchetto a casa perchè magari sente aria di casa sua e scappa via”.
Come dicevo, tutto quello che serve, anche i giusti sorrisi.
lunedì 21 giugno 2021
NON LEGGETE CENT’ANNI DI SOLITUDINE
Ora che l’ho finito, finalmente posso dirvelo: non leggete “Cent’anni di solitudine”.
Non fatelo. Potreste scoprire di essere irrazionali e malinconici.
Non leggetelo perché è inconcludente e vi confonderete fra sette stirpi di parenti dai nomi tutti uguali, persi in un ciclo di vicissitudini che vi forniranno il quadro intero dell’esistenza.
Non leggetelo perché anche se avete un cuore di pietra, ad un certo punto piangerete. Rifuggite dalla tentazione di iniziarlo perché arriveranno le farfalle a dominare la vostra pancia; non appena avrete la minima tentazione di abbandonarlo, fatelo, lasciatevi scoraggiare dal suo linguaggio forbito, ché tanto non lo ritroverete mai da nessun’altra parte.
Non leggetelo perché dentro ci troverete l’amore, l’incesto, la passione, il dolore, la mancanza, la speranza; i vostri segreti più inconfessabili vi verranno svelati. E sentirete il brivido di essere letti anziché di leggere.
Non compratelo perché diventerà per sempre metro di confronto con gli altri libri.
Non addormentatevi leggendo le sue pagine perché nelle notti in cui non avrete spalle per consolarvi, vi mancherà.
Non leggetelo e non ditelo a nessuno se lo fate, perché scoprirete che il vostro rapporto con lui non è esclusivo, e ne sarete gelosi.
Non leggetelo perché non riuscirete a spiegarvi come si possa mettere una parola dietro l’altra in maniera così perfetta. Ineccepibile.
Non sprecate la vostra immaginazione fra le vie di Macondo perché la magia vi travolgerà e scoprirete che un libro può catapultarvi in un mondo altro e costringervi in un uragano di emozioni. Facendovi perdere il controllo.
Non leggetelo, ve ne prego.
Non fatelo perché io, ora che l’ho finito, mi sento vuota.
Recensione di Giusy Geraci (dal gruppo Facebook UN LIBROTIRA L’ALTRO IL PASSAPAROLA DEI LIBRI)
Io l’ho letto tanti anni fa ma ricordo esattamente la sensazione alla fine del libro di essere strappata a forza da un mondo completamente reale in cui avevo vissuto con emozione per qualche ora
DESIDERO PIANO… DESIDERO FORTE…
❝ Desidero piano, perché i miei desideri sono fragilissimi. Piccoli, ma infiniti. Desidero forte perché i miei desideri sono vuoti che spalancano. I miei desideri hanno la forma della nostalgia, altri ancora sono folate di meraviglia. Desidero tempo, ma tempo che non mi serva a niente. Desidero, ma non voglio che finisca. Aspetto. Guardo le stelle, il cielo, cerco. Perché il desiderio è lo spazio di tutti i possibili. Desidero e ringrazio, per l’amicizia, per tutti quelli che sono piccoli, liberi e limpidi. Desidero e ringrazio per quando siamo allegri e leggeri. Per quando sappiamo prendere lo slancio e puntare oltre, più in su, verso l’altezza delle nostre aspirazioni. Perché “desideranti” siamo tutti noi, abitati da mancanze, ma anche da stelle, parole, e nuvole.❞
(Torino Spiritualità 2021)
QUELLO CHE DIREI AI NO-VAX (SE TROVASSI IL MODO DI FARMI ASCOLTARE)
Questo (bel) pezzo di D’Avenia sul suo blog del Corriere della Sera mi ha fatto venire in mente l’essenza della mia personale critica ai no-vax. Adesso in particolare che li osservo partire per le vacanze grazie al fatto che gli altri si sono vaccinati e che, circolando meno il virus, si riesce ad andare in vacanza, provo rabbia per la loro illogica e soprattutto egoistica posizione. D’Avenia lo dice bene, riferendosi ad altro e ovviamente parlando per iperbole: solo una comunitá con i mezzi che mette in campo, unitá, solidarietà, una scienza libera, una tecnologia ben direzionata riesce, a volte, a sconfiggere o almeno ritardare la morte. I (speriamo pochi) singoli con la loro corazza sono al contempo tristi e ridicoli. Ma anche per loro la comunità da cui si sono chiamati fuori nel nome delle loro lucenti corazze metterà in campo tutte le azioni solidali possibili, se ne avranno bisogno.
« Ricavo maggior onore dai morti giovani». Così dice la Morte all’inizio dell’Alcesti di Euripide, un dramma che narra la storia del re di Fere, Admeto, a cui viene risparmiata la morte, per intervento di un dio a lui caro, Apollo, ma solo a patto che qualcuno lo sostituisca. Il re non trova nessuno (neanche i genitori) disposto a morire al posto suo, ma si offre la moglie Alcesti. L’opera si apre proprio con la Morte che viene a riscuotere il suo pegno: quel giorno la donna morirà. Amo l’Alcestiperché narra gli effetti sorprendenti del dare la vita per amore di qualcuno quattro secoli prima della narrazione del Dio-Uomo che dona la sua vita agli uomini. Le parole della Morte mi sono tornare in mente quando, qualche giorno fa, ho assistito, in diretta, alla «resurrezione» di un uomo sul campo di calcio in cui si disputava la partita degli Europei: Danimarca - Finlandia. Eriksen, ventinovenne faro del calcio danese, al 43’ del primo tempo si è spento. Stavo guardando - da fanatico di questo sport meraviglioso - la partita e sono rimasto paralizzato: perché morire così? Potrei essere io. Ho cercato di contrastare lo smarrimento con la risorsa che ho per affrontare il mistero: pregare. Non nel tentativo di cambiare la realtà, ma perché le persone coinvolte avessero la forza di affrontarne le conseguenze. La preghiera non serve a cambiare i fatti (quella si chiama magia), ma i cuori. Nel dramma di Euripide è Apollo stesso a voler (con-)vincere la Morte, cambiando i fatti, ma la Morte ribadisce che non c’è nulla da fare: tutti i «mortali» devono sottomettersi al suo dominio.
Per i Greci infatti la vita è una «quantità» stabilita, come narra il mito delle Moire (Parche) che filano il destino (Moira in greco vuol dire «parte», la quantità di vita che ti è toccata). Così se una vita viene risparmiata qualcun altro deve rimpiazzarne «la quantità»: Alcesti per Admeto. La Morte non fa credito e i conti devono tornare: neanche Apollo, dio della luce e delle arti mediche può far nulla. Eppure Euripide non si rassegna e inventa un «dramma a lieto fine». In casa del re, proprio durante i funerali, arriva Eracle, reduce da una delle sue imprese. Admeto nasconde il suo lutto e gli offre vitto e alloggio, perché l’ospitalità è sacra. Eracle però viene a sapere la verità da un servo e, commosso dal gesto del re, decide di ricambiare inseguendo la Morte: con la forza le strappa Alcesti, che torna in vita. Euripide ci narra in modo commovente che contro la Morte non possiamo nulla se non attraverso «il dono». Alcesti vince la morte del marito dando la sua vita per lui, Admeto vince la morte della moglie dando ospitalità a Eracle, che gliela riporta per ricambiare il dono ricevuto: il dono di sé è il limite imposto alla morte. Euripide cerca di liberarsi delle catene del destino e intuisce che possiamo combattere la morte, affermando il paradosso che, per riuscirci, dobbiamo dare la nostra vita. Quando i giocatori della Danimarca si sono stretti attorno al compagno in arresto cardiaco ormai da vari minuti, proteggendolo dalle occhiute telecamere, hanno messo in scena l’antico cerchio protettivo contro il Nemico, coinvolgendo, in circonferenze sempre più ampie, come un sasso lanciato in un lago, gli spettatori allo stadio e quelli da casa. E così tra lacrime, preghiere e, ovviamente, soccorsi tempestivi e accurati, un uomo è ritornato in vita. Il medico che lo ha assistito ha infatti dichiarato: «Se ne era andato. In pratica è resuscitato. Era in arresto cardiaco. Non so come abbiamo fatto a rimetterlo al mondo, è successo tutto in maniera così veloce. Lo abbiamo riportato indietro dopo un intervento con il defibrillatore».
Tutte le epoche hanno un solo nemico: la morte e i suoi alleati minori (il dolore, la malattia, l’abitudine, la paura, il disincanto, la violenza...) ma, quando gli uomini si uniscono e orientano le loro energie contro questo esercito, creano «la» cultura (gesti, parole, simboli, invenzioni che creano vita senza lederne altra). Le società che evitano la risposta, personale e collettiva, al mistero della morte creano una cultura effimera: le più feconde e durature sono infatti quelle che hanno preso sul serio la morte per sconfiggerla. In quella scena sul campo di calcio c’era tutto il meglio della nostra cultura: il gioco, il pianto rituale, la preghiera, la scienza, la tecnica, l’amicizia, l’amore, la professionalità... che, sommate, hanno creato una forza sovrumana come quella con cui Eracle riporta indietro Alcesti, mandando in crisi il bilancio della Morte. Solo una comunità può vincere la morte e se spesso siamo sperduti di fronte alla Nera Signora è perché fuggiamo, non siamo uniti e abbiamo narrazioni insufficienti ad abitare il mistero. Me lo confermano le parole che il giovane calciatore ha pronunciato quando si è risvegliato: «Sono tornato con voi». Da voi, grazie a voi.
21 giugno 2021, 07:05 - modifica il 21 giugno 2021 | 07:06
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martedì 15 giugno 2021
IL PESO DEL MONDO…
"Il peso del mondo
è amore.
Sotto il fardello
di solitudine
sotto il fardello
dell’insoddisfazione
il peso,
il peso che portiamo
è amore.
Chi può negarlo?
In sogno
ci tocca
il corpo,
nel pensiero
costruisce
un miracolo,
nell’immaginazione
s’angoscia
fino a nascer
nell’umano
s’affaccia dal cuore
bruciando di purezza
poiché il fardello della vita
è amore,
ma noi il peso lo portiamo
stancamente,
e dobbiam trovar riposo
tra le braccia dell’amore
infine,
trovar riposo tra le braccia
dell’amore."
(allen ginsberg)
venerdì 11 giugno 2021
ELEGANTONE
Oggi Olivia ha indossato questa camicetta
Che ho dato all’Anna dopo averla tirata fuori da un vecchio baule dove dormiva da anni. È molto elegante e ha una storia che condivide con un certo numero di altre camicette/grembiulini tutte dello stesso stile e tutte diverse. Innanzi tutto, hanno 63 anni, perchè sono le camicette di quando ero baby. Inoltre, sono state tutte confezionate dalla mia nonna amatissima, con la sua macchina da cucire, perché “era la bambina più bella di Fontevivo” e lei doveva valorizzare la mia bellezza, soprattutto quando un orgogliosissimo nonno mi portava in giro, probabilmente primo uomo di Fontevivo a portare con sè una piccolina ovunque (allora proprio non usava, i bimbi erano affari di donne, e più erano piccoli più lo erano).
Come dicevo, questa bella camicettina ha una storia. E Olivia la indossa con grazia.