venerdì 17 gennaio 2020

TORQUATO TASSO E LE SARDINE

Il Tasso, le Sardine e il Salvini smascherato

(Blog di Niccolò Pagani, Huffington Post)

Ore 8.15. Il sole, basso oltre i vetri dell’aula, illumina i volti ancora stropicciati dei ragazzi.Commento la vittoria dell’Inter in Coppa Italia. Qualche scambio di battute con i giovanissimi tifosi juventini. Appello. Tutti presenti.

Lezione di letteratura italiana. Torquato Tasso, Gerusalemme liberata. La morte di Clorinda, uno dei passi più struggenti del poema. Tancredi, cavaliere crociato sospeso tra amore e dovere, incontra fuori dalle mura della Città Santa un combattente saraceno. Lo segue, lo sfida a duello e lo trafigge con la spada. Solo al momento di sollevare l’elmo dell’avversario morente, scopre la terribile verità: è Clorinda, valorosa guerriera musulmana, che indossava un’armatura non sua. È la nemica, ma lui la ama.
È un meccanismo narrativo frequente in Tasso. L’eroe, ignaro di ciò che sta facendo, precipita nel compimento del proprio destino, mentre il lettore, che sa, partecipa emotivamente osservando la scena dall’alto. La poesia di Tasso dipinge la spada che affonda nel seno, la veste ricamata d’oro indossata dalla fanciulla sotto la corazza, che si inonda di sangue caldo, l’impeto di Tancredi che incalza il nemico ormai trafitto ma non ancora riconosciuto, la voce dolente e dolce di Clorinda che chiede al giovane il perdono e il battesimo, spingendolo alle lacrime e a correre ad una fonte per riempire il suo elmo d’acqua per lei.
C’è materiale per far appassionare alla trama anche gli studenti più distratti, benché abbiano solo tredici anni. È il miracolo della grande letteratura. Paolo e Francesca. Romeo e Giulietta. Tancredi e Clorinda. Amori illeciti, impossibili. Finale tragico.
Mentre leggo e commento ad alta voce i versi, passeggiando tra i banchi, avverto con chiarezza la distanza tra quegli endecasillabi cinquecenteschi e il linguaggio che i miei studenti usano (come me) nella loro vita quotidiana. Mi chiedo: “Perché studiarli ancora? Perché oggi, nel 2020?”. Ecco alcuni validi motivi.
Innanzitutto studiare l’italiano antico e le differenze con quello attuale ci insegna che la lingua – come molte altre realtà della vita – è in continua trasformazione, poiché è un sistema aperto e mutevole. Questo aiuta a comprendere il presente e, soprattutto, ad attendere i cambiamenti del futuro affrontandoli senza la paura che essi siano irreversibili, ma con la saggezza di interpretarli, di indirizzarli.
In secondo luogo, saper usare efficacemente il linguaggio per comunicare, per esporre fatti e idee, per provare a difendere opinioni e punti di vista, per esprimere sentimenti e stati d’animo, ci rende maggiormente forti e liberi. Più le parole sono precise, più il nostro messaggio sarà chiaro. Più il linguaggio è ricco e articolato, più solidi saranno i nostri argomenti e acuta la nostra capacità di analisi e di interpretazione del mondo che ci circonda. Più la lingua è vera e profonda, maggiore sarà la nostra possibilità di comprendere e di essere compresi.
Inoltre, l’apprendimento di qualsiasi nuovo linguaggio richiede impegno e tenacia, allenando i ragazzi a capire che quasi sempre nella vita i traguardi più preziosi costano sudore e fatica. Una buona palestra.
Infine, come molti altri sforzi culturali, esso è privo di ricompense concrete solo in apparenza, perché rifiuta estemporanei trofei nel breve periodo, preferendo risultati più meditati e duraturi. Questo addestra i giovani alla pazienza, consentendo loro di maturare un’ampiezza di visione e una capacità di pianificazione che potranno poi applicare ad ogni attività della vita, sociale, affettiva, economica.
Da novembre, moltissimi cittadini sono scesi in piazza proprio per parlare di linguaggio e di contenuti. Si sono chiamate Sardine. Si raduneranno di nuovo questa domenica, a Bologna, e sarà un incontro ricco di musica, di temi, di colori, di diversità, uniti dalla fermezza e dalla resistenza ad un certo modo di fare politica, brutto e diffuso.
Penso alle loro piazze stracolme. Rifletto sulla loro educata ma ferma richiesta di un nuovo linguaggio politico e civile. Ricordo il loro netto rifiuto della propaganda continua e della violenza verbale. Condivido la loro pretesa di risposte articolate e di uomini competenti, all’altezza dei problemi del nostro Paese e – in senso più ampio – della società globale.
Con queste premesse, è naturale che la critica delle Sardine si concentrasse su Matteo Salvini. Il suo linguaggio semplificatorio e banale – così come quello di gran parte dei politici populisti – corrisponde alla superficialità della sua offerta politica. E un’offerta politica superficiale genera una visione di Paese mediocre. Come mediocri e ripetitivi sono generalmente i suoi interventi. Perché Salvini non sa. E non studia. Sempre assente quando era parlamentare europeo, benché lo pagassimo noi cittadini, decine di migliaia di euro. Quando un giornalista gli pone una domanda leggermente più tecnica, per esempio di economia, risponde “bacioni”.
Comunque andranno a finire le elezioni regionali in Emilia Romagna, le Sardine hanno già raggiunto un grande traguardo: hanno smascherato la finzione di Salvini, ne hanno messo a nudo il lato debole; il suo linguaggio grossolano, fatto di banalità e di slogan, è la diretta conseguenza di idee scadenti. E le idee scadenti, prima di ogni altra cosa, portano povertà. La prospettiva di un Salvini al governo è una società più povera, più fragile, più violenta.
Molti potrebbero obiettare che le regioni del Nord sono tra le più ricche d’Italia. Verissimo. Infatti, per loro fortuna, non sono mai state amministrate da Salvini, proprio perché all’interno della Lega ci sono politici e amministratori molto più capaci di lui. E ci vuole poco.
Salvini è il leader ideale per questo tempo sfortunato, figlio di una crisi economica e sociale profonda, di un facile rancore verso l’Europa. Un tempo inadeguato nei contenuti e becero nel linguaggio.
Riproporre contenuti validi e un linguaggio all’altezza sarà un processo difficilissimo e soprattutto lungo, forse diversi decenni. Tale compito spetta innanzitutto alla scuola, aiutata da famiglie che credano di più in essa e nel suo compito formativo.
Ma spetta anche a una nuova politica, di sinistra e di destra, che dovrà elevare la posta, dare obiettivi più ambiziosi, riformare davvero il nostro Paese, ispirandosi all’onestà, al senso del dovere, alla lotta feroce alla mafia, alla meritocrazia, alla cultura, fonte di progresso scientifico e tecnologico. Formazione, ricerca, impegno hanno sempre creato benessere. Questa è la sola strada verso una società più ricca e più equa.
Salvini indica una strada di mediocrità e di superficialità. Quindi di povertà. Le Sardine – e chi saprà raccogliere la loro voce e le loro istanze – puntano al futuro, alla civiltà. E alla ricchezza. Per questo hanno già vinto.

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