venerdì 31 gennaio 2020

UNA CINQUANTINA DI ANZIANI

Sono qui a Milano all’Accademia delle Belle Arti di Brera (posto davvero bello e “arioso”) ad ascoltare Recalcati che parla di Parmiggiani nell’aula Magna dell’Accademia di Brera. In bagno (cavolo, in più di quarant’anni i bagni universitari sono cambiati pochissimo, allegramente spaccati e rovinati e pieni di interessanti messaggi) due ragazze universitarie parlano cinguettando “L’aula magna è occupata”
“Sì, da una cinquantina di anziani”
Non è vero, siamo di più.


(Commento acido di Anna
Almeno non ha detto di “vecchi”, non lamentarti 🤪)

IL FIGLIO BELLO

Dì a tuo figlio che è bello e ha gli occhi pieni di colori, portalo a vedere i prati quando fioriscono e leggigli un libro prima di dormire.
Incoraggialo anche a scrivere poesie e spiegagli come si fa a cancellare il “giammai” e allungare a dismisura le sillabe e gli spazi del “si può”. E se è un sognatore insegnagli a fare le prime passeggiate sulle nuvole.
E soprattutto ascoltalo quando il vento degli anni è più forte e si porta via le parole e le certezze.

🌹✨

Fabrizio Caramagna

lunedì 27 gennaio 2020

DISCUSSIONE CON VITO SUL POST PRECEDENTE

Vito:
Un tema che si pone da tempo. Rifondare la politica, il modo di fare politica. Le risposte da dare al monopolio assoluto di tutti i mezzi che formano, influenzano le menti.

Io:
Penso che sia qualcosa in più: dare strumenti alla gente per vedere le complessità e per capire. La politica non è tutto, c’è la storia, ci sono le storie, la vita quotidiana, i bagagli individuali, i sentimenti, l’appartenenza. Non è solo comunicazione politica, ma education nell’accezione anglosassone

Vito
Si, usiamo termini diversi, ma il concetto è uguale. La mia accezione di "politica" non ha niente a che vedere con la riduzione partitica e politologica. Ma, comunque sia, il problema sono i mezzi che formano oggi le menti e le coscienze.


Può darsi. Può darsi che diciamo la stessa cosa ma non lo credo. Anch’io non parlo della politica in termini partitici - d’altra parte, veniamo entrambi dall’esperienza di Scienze Politiche a Bologna e non siamo così ingenui. Ma io non mi limito al monopolio dei mezzi e a chi controlla che cosa e chi. So che è importante, non sono così naif.  Però penso bisogni anche andare al di là - ci vuole vicinanza, ci vuole senso, ci vuole una visione del futuro che adesso manca. Questa “pulsione securitaria” (come la chiama il maestro Recalcati) si può battere secondo me solo tornando al Sè, oltrepassando l’Ego, solo dando un senso ad una azione collettiva di (ri)costruzione difficoltosa e paziente di un bene e di un sapere collettivo, solo parlando, parlando, parlando....parlando della complessità, tornando a ragionare, a condividere, a fidarsi ed affidarsi - ad essere vicini. Sostituire l’aggressività con il dialogo, la chiusura con l’apertura, l’odio con la vicinanza. Non si tratta di formare solo le menti e le conoscenze, si tratta di aprirle, di ascoltare le paure e trasformarle in desideri. Di ritrovare la passione della fatica. Di ritrovare parole. Di ritrovarsi.

NUOTARE CONTRO CORRENTE


https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2020/01/24/news/antisemitismo_ebrei_lager_deportati_neonazisti_non_possiamo_dirci_innocenti-246620414/?ref=RHPPLF-BH-I246632482-C8-P1-S1.8-T1

Per questo credo dobbiamo partecipare attivamente ad ogni iniziativa di ricostruzione del tessuto sociale.  Da lungo tempo assisto, prima preoccupata e poi spaventata, a due fenomeni tra loro divergenti e complementari: il crescente smarrimento di ampie fascie sociali via via sempre più depauperate di strumenti di conoscenza (es. non riuscire ad interpretare una pagina scritta) e la complessità crescente dei fenomeni e delle problematiche (emblematico il tema ambientale, ma ogni tematica, dalle pensioni alla legittima difesa, contiene enormi complessità e contraddizioni). Finora, l’unica sintesi trovata, la più immediata, è la riduzione dei problemi a semplici slogan, è la spinta a non capire, non argomentare, non approfondire, spezzando i legami e le connessioni del pensiero e tra la gente. Tipica soluzione di una parte politica, ma con appeal in pezzi anche dell’altra parte.
Se infatti penso ad un possibile futuro per le Sardine penso ad un possibile lavoro sulla parola, sull’incontro, alla riapertura di spazi di confronto e discussione che i partiti, trasformati in luoghi di conquista e gestione di poteri grandi e piccoli, non sono più. Il grande, bellissimo incontro simbolico nelle piazze credo dovrebbe trasformarsi in incontri più piccoli, in gruppi di parola in cui andare alla ricerca delle parole per dirlo, dei fili che possano ricostruire le trame.
Come nuotare contro corrente.

venerdì 17 gennaio 2020

TORQUATO TASSO E LE SARDINE

Il Tasso, le Sardine e il Salvini smascherato

(Blog di Niccolò Pagani, Huffington Post)

Ore 8.15. Il sole, basso oltre i vetri dell’aula, illumina i volti ancora stropicciati dei ragazzi.Commento la vittoria dell’Inter in Coppa Italia. Qualche scambio di battute con i giovanissimi tifosi juventini. Appello. Tutti presenti.

Lezione di letteratura italiana. Torquato Tasso, Gerusalemme liberata. La morte di Clorinda, uno dei passi più struggenti del poema. Tancredi, cavaliere crociato sospeso tra amore e dovere, incontra fuori dalle mura della Città Santa un combattente saraceno. Lo segue, lo sfida a duello e lo trafigge con la spada. Solo al momento di sollevare l’elmo dell’avversario morente, scopre la terribile verità: è Clorinda, valorosa guerriera musulmana, che indossava un’armatura non sua. È la nemica, ma lui la ama.
È un meccanismo narrativo frequente in Tasso. L’eroe, ignaro di ciò che sta facendo, precipita nel compimento del proprio destino, mentre il lettore, che sa, partecipa emotivamente osservando la scena dall’alto. La poesia di Tasso dipinge la spada che affonda nel seno, la veste ricamata d’oro indossata dalla fanciulla sotto la corazza, che si inonda di sangue caldo, l’impeto di Tancredi che incalza il nemico ormai trafitto ma non ancora riconosciuto, la voce dolente e dolce di Clorinda che chiede al giovane il perdono e il battesimo, spingendolo alle lacrime e a correre ad una fonte per riempire il suo elmo d’acqua per lei.
C’è materiale per far appassionare alla trama anche gli studenti più distratti, benché abbiano solo tredici anni. È il miracolo della grande letteratura. Paolo e Francesca. Romeo e Giulietta. Tancredi e Clorinda. Amori illeciti, impossibili. Finale tragico.
Mentre leggo e commento ad alta voce i versi, passeggiando tra i banchi, avverto con chiarezza la distanza tra quegli endecasillabi cinquecenteschi e il linguaggio che i miei studenti usano (come me) nella loro vita quotidiana. Mi chiedo: “Perché studiarli ancora? Perché oggi, nel 2020?”. Ecco alcuni validi motivi.
Innanzitutto studiare l’italiano antico e le differenze con quello attuale ci insegna che la lingua – come molte altre realtà della vita – è in continua trasformazione, poiché è un sistema aperto e mutevole. Questo aiuta a comprendere il presente e, soprattutto, ad attendere i cambiamenti del futuro affrontandoli senza la paura che essi siano irreversibili, ma con la saggezza di interpretarli, di indirizzarli.
In secondo luogo, saper usare efficacemente il linguaggio per comunicare, per esporre fatti e idee, per provare a difendere opinioni e punti di vista, per esprimere sentimenti e stati d’animo, ci rende maggiormente forti e liberi. Più le parole sono precise, più il nostro messaggio sarà chiaro. Più il linguaggio è ricco e articolato, più solidi saranno i nostri argomenti e acuta la nostra capacità di analisi e di interpretazione del mondo che ci circonda. Più la lingua è vera e profonda, maggiore sarà la nostra possibilità di comprendere e di essere compresi.
Inoltre, l’apprendimento di qualsiasi nuovo linguaggio richiede impegno e tenacia, allenando i ragazzi a capire che quasi sempre nella vita i traguardi più preziosi costano sudore e fatica. Una buona palestra.
Infine, come molti altri sforzi culturali, esso è privo di ricompense concrete solo in apparenza, perché rifiuta estemporanei trofei nel breve periodo, preferendo risultati più meditati e duraturi. Questo addestra i giovani alla pazienza, consentendo loro di maturare un’ampiezza di visione e una capacità di pianificazione che potranno poi applicare ad ogni attività della vita, sociale, affettiva, economica.
Da novembre, moltissimi cittadini sono scesi in piazza proprio per parlare di linguaggio e di contenuti. Si sono chiamate Sardine. Si raduneranno di nuovo questa domenica, a Bologna, e sarà un incontro ricco di musica, di temi, di colori, di diversità, uniti dalla fermezza e dalla resistenza ad un certo modo di fare politica, brutto e diffuso.
Penso alle loro piazze stracolme. Rifletto sulla loro educata ma ferma richiesta di un nuovo linguaggio politico e civile. Ricordo il loro netto rifiuto della propaganda continua e della violenza verbale. Condivido la loro pretesa di risposte articolate e di uomini competenti, all’altezza dei problemi del nostro Paese e – in senso più ampio – della società globale.
Con queste premesse, è naturale che la critica delle Sardine si concentrasse su Matteo Salvini. Il suo linguaggio semplificatorio e banale – così come quello di gran parte dei politici populisti – corrisponde alla superficialità della sua offerta politica. E un’offerta politica superficiale genera una visione di Paese mediocre. Come mediocri e ripetitivi sono generalmente i suoi interventi. Perché Salvini non sa. E non studia. Sempre assente quando era parlamentare europeo, benché lo pagassimo noi cittadini, decine di migliaia di euro. Quando un giornalista gli pone una domanda leggermente più tecnica, per esempio di economia, risponde “bacioni”.
Comunque andranno a finire le elezioni regionali in Emilia Romagna, le Sardine hanno già raggiunto un grande traguardo: hanno smascherato la finzione di Salvini, ne hanno messo a nudo il lato debole; il suo linguaggio grossolano, fatto di banalità e di slogan, è la diretta conseguenza di idee scadenti. E le idee scadenti, prima di ogni altra cosa, portano povertà. La prospettiva di un Salvini al governo è una società più povera, più fragile, più violenta.
Molti potrebbero obiettare che le regioni del Nord sono tra le più ricche d’Italia. Verissimo. Infatti, per loro fortuna, non sono mai state amministrate da Salvini, proprio perché all’interno della Lega ci sono politici e amministratori molto più capaci di lui. E ci vuole poco.
Salvini è il leader ideale per questo tempo sfortunato, figlio di una crisi economica e sociale profonda, di un facile rancore verso l’Europa. Un tempo inadeguato nei contenuti e becero nel linguaggio.
Riproporre contenuti validi e un linguaggio all’altezza sarà un processo difficilissimo e soprattutto lungo, forse diversi decenni. Tale compito spetta innanzitutto alla scuola, aiutata da famiglie che credano di più in essa e nel suo compito formativo.
Ma spetta anche a una nuova politica, di sinistra e di destra, che dovrà elevare la posta, dare obiettivi più ambiziosi, riformare davvero il nostro Paese, ispirandosi all’onestà, al senso del dovere, alla lotta feroce alla mafia, alla meritocrazia, alla cultura, fonte di progresso scientifico e tecnologico. Formazione, ricerca, impegno hanno sempre creato benessere. Questa è la sola strada verso una società più ricca e più equa.
Salvini indica una strada di mediocrità e di superficialità. Quindi di povertà. Le Sardine – e chi saprà raccogliere la loro voce e le loro istanze – puntano al futuro, alla civiltà. E alla ricchezza. Per questo hanno già vinto.

giovedì 16 gennaio 2020

DISCORSO DEL SINDACO PIZZAROTTI - SANT’ILARIO 2019

”C’è una cosa che nonostante le incertezze Parma ha saputo fare meglio di altri, ed è il motivo per cui siamo qui:aver vinto la paura.
C’è infatti un mito che viene venduto lungo le strade, nelle piazze, tra la gente: pensare, di fronte alle difficoltà, di poter fermare il tempo e tornare alla vita di 20, 30 o 40 anni fa. Vivere oggi pensando a quanto si stava bene ieri. Vivere di paura credendo il futuro incerto. Vivere bloccati nei ricordi di fasti passati che, tanto per cominciare, non sono mai stati così rosei come si vuole far credere.
Uomini e comunità sembrano aver perduto la voglia e il tempo di edificare il domani giorno per giorno, passo dopo passo, metro dopo metro: i problemi vanno risolti di colpo. Si devono risolvere di colpo perché, si dice, i problemi di oggi hanno soluzioni facili. 
Fermare il tempo è un mito che ricerca la grandezza nelle cose sbagliate: rinunciare al futuro, promettere soluzioni rapide, guardare al passato. Si è così radicato in noi da avere vinto la volontà di progresso.
...viviamo il tempo della confusione perché si fatica a decifrare il cambiamento in atto. Che piaccia oppure no il mondo sta cambiando: o si governano le forze della storia, o si rimarrà in balia delle onde.

....chi rincorre il passato per fermare il tempo vende illusioni, e fa credere che piccoli si è più forti, divisi si è più uniti, isolati si ha maggiore spirito di comunità. Menzogne ben raccontate. Trovandomi con molti giovani in varie occasioni, ho conosciuto un ragazzo di cui mi ha colpito l’idea di Europa. Nato a fine degli anni ‘90, non ha mai preso in mano mille lire, non ha mai visto una dogana, non sa cosa significhi girare l’Europa col passaporto, ha letto del Muro di Berlino solo sui libri di storia.
Quel ragazzo è un cittadino d’Europa. Fa parte di una generazione di sognatori che non comprende perché si litighi tra europei, o perché il Regno Unito uscirà dall’UE anziché costruire insieme un sogno dove libertà, uguaglianza e fratellanza potranno essere luce sul cammino del progresso.
A questa generazione di sognatori, persi nella notte dell’Europa, diciamo:quando il mondo intorno a noi è caotico, essere sovrani del proprio orticello non ci salverà. Nulla può una nazione di 60 milioni di abitanti contro superpotenze occidentali e orientali di 200, 300 o 400 milioni di persone.
Al pari di una nazione, anche una città può scegliere se restare provinciale e scomparire,oppure puntare al progresso e vincere il mito di chi vuole un ritorno al passato. La dimensione di Parma non è data solo dai suoi confini, ma dagli obiettivi: siamo e continueremo ad essere una città aperta e a vocazione internazionale.
Pensare in grande, competere con chi è già grande.
Piccoli non si è più forti, divisi non si è più uniti, isolati non si ha maggiore spirito di comunità.
Se vogliamo vincere le forze della storia che intendono fermare il tempo, dobbiamo agire uniti pensando in grande.
...quando stanchi cederemo il passo a chi viene dopo di noi, la generazione di sognatori chiederà il conto. Io non me la sento di dire ai giovani: sbrigatevela voi, noi viviamo l’oggi.“

Federico Pizzarotti, Sindaco di Parma, Discorso di Sant’Ilario 2019

mercoledì 8 gennaio 2020

IL MARE

“Il mare è acqua+luce+vento+suono. ..il mare è l’incontro, per non dire l’amplesso, di acqua, vento, luce e suono. Scrivo queste righe in una camera di hotel da cui si ha una vista sul mare che potrei definire assoluta, quale probabilmente mai prima d’ora avevo avuto la possibilità di godere. La giornata non è bella nel senso usuale a cui il linguaggio comune rimanda dicendo “una bella giornata”. Il cielo è ricoperto di nuvole grigie, qua e là ve ne sono di bianche, compare anche qualche timido sprazzo di azzurro, subito però sopraffatto. In lontananza vedo una concentrazione di nuvoloni neri che conferisce al mare un colore non più azzurro-grigio, ma blu scuro, quasi nero. Dall’altezza della mia posizione vedo il formarsi delle onde, con l’increspatura iniziale dell’acqua che avvicinandosi alla riva diviene schiuma ed emette l’inconfondibile, continua, a volte inquietante, a volte rassicurante, voce del mare. Sotto i miei occhi l’acqua marina qui pervasa maggiormente dalla luce presenta una scala di azzurri e di verdi che ne fanno un raro gioiello, la cui visione però, a differenza dei gioielli formati da metalli e pietre preziose che mi incutono un senso di distanza con la loro superiorità, mi spinge a volerne far parte, a entrarvi e a immergervi, e così a dimenticarmi. È questa possibilità di comunione e di fusione che rende il mare qualcosa di unico, perché, a differenza di ogni altro elemento naturale, con il mare ti puoi unire, anzi, lo puoi tu stesso, per alcuni attimi, diventare. È una specie di estasi naturale che credo ognuno abbia provato in prima persona di fronte, e dentro, l’infinita bellezza e potenza del mare.”

(Vito Macuso, La via della bellezza, Garzanti 1919)