giovedì 30 agosto 2018

UNICA OPINIONE INTELLIGENTE CHE HO TROVATO SUL TEMA MIGRAZIONE

[Salvini e Orbán a Milano] – L’incontro non si può ignorare. Ho ascoltato la conferenza stampa integrale. Non è solo propaganda, come taluni sperano. Ha toccato alcune questioni importantissime che non riguardano solo l’Italia, ma l’intera Europa, inclusa la Svizzera, che, lo ricordo, fa parte dell’area Schengen. Mi concentro su una sola: il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea.
Una frontiera è un dato di diritto pubblico. Uno Stato esiste perché amministra una popolazione stanziale su un territorio definito. La frontiera segna tale territorio e differenzia la popolazione che sta dentro, sottoposta all’amministrazione di uno Stato, da quella che sta fuori, sottoposta a quella di un altro. Chi attraversa una frontiera si assoggetta all’amministrazione dello Stato a cui accede; lo Stato in questione, da parte sua, deve controllare le persone che entrano, poiché da quel momento dovrà amministrarle sul proprio territorio. Chi supera una frontiera senza avere i presupposti stabiliti o eludendo i controlli è in una condizione di clandestinità, poiché sfugge al controllo dello Stato in cui cammina. Questo è un dato giuridico, non cambia a seconda del partito politico o del Governo in carica. Non è nemmeno razzista, anticristiano o classista. Funziona così.
Quando Orbán afferma di aver tutelato la frontiera europea, costruendo le reti di delimitazione con la Serbia, ha ragione: la costruzione del «muro» tra Serbia e Ungheria ha fatto molto rumore, ma una rete molto simile, giusto un po’ più bassa e alquanto arrugginita, ma efficace, esiste anche fra Italia e Svizzera. Basta andare in auto, per esempio, da Como a Chiasso passando lungo il Breggia, ma la si vede anche dal treno. Nessuno fa scandalo ed è chiaro per tutti che di lì non si entra. A nessuno viene in mente di dire che la frontiera tra Italia e Svizzera è «chiusa» e che i due Paesi sono «razzisti» o oppressori: se vuoi passare dalla Svizzera all’Italia o viceversa ti presenti a un valico, se hai i documenti in regola passi, altrimenti no. Lo stesso avviene alla frontiera tra Ungheria e Serbia, tra Romania e Ucraina (ci sono passato da poco), alle altre frontiere esterne dell’Unione e a tutte le frontiere del mondo.
Chi ritiene di avere diritto all’asilo politico o a un’altra forma di protezione prevista dalla legge lo dichiara al valico di frontiera, non scavalca la rete. Se la domanda ha una ragionevole possibilità di essere fondata (lo si può verificare già in frontiera in base al Paese di provenienza e con un’audizione dell’interessato), il richiedente asilo entra in un percorso preciso di protezione e di verifica dettagliata dei suoi presupposti. All’Ungheria si contesta di rendere molto difficili le richieste di asilo ai valichi con la Serbia e di adottare sistemi sbrigativi di gestione dei richiedenti, non coerenti con i principi di umanità (non è vero, però, che da quella frontiera non entra nessun richiedente asilo, come talvolta si legge). Questi problemi vanno accertati e risolti, ma il principio di base, secondo cui non si entra sul territorio dello Stato illegalmente o fuori dai punti di valico in cui è consentito, è inattaccabile e non può essere tacciato sbrigativamente di disumanità.
Ciò a cui Orbán e Salvini congiuntamente aspirano è applicare questo principio anche alla frontiera di mare a sud dell’Italia. Controllare un confine di mare può essere più difficile, rispetto a una frontiera di terra, ma non è impossibile. A sud dell’Italia c’è la Libia e una serie di altri Paesi non sicuri: ciò accresce i problemi, poiché verso quei Paesi non è possibile respingere chi ne proviene. Gestire le richieste di asilo è più problematico. Tutto ciò, però, non lede il principio secondo cui l’attraversamento illegale della frontiera non può diventare la regola. Conciliare questo principio con i valori umanitari richiede un lavoro intelligente su vari fronti.
Uno di tali fronti sono le disposizioni in materia di asilo internazionale (Convenzione di Ginevra), di protezione sussidiaria (direttive europee) e di protezione umanitaria a livello dei singoli Stati. Queste norme non sono state pensate per un’immigrazione di massa come quella che stiamo vivendo. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati, in particolare, risale al 1951. Norme pensate per situazioni individuali e sporadiche vengono utilizzate ora per gestire un fenomeno di massa. Oltre che di un’applicazione non più coerente con la loro ratio originaria, cioè con le motivazioni che le avevano viste nascere, le norme sull’asilo soffrono oggi di un enorme tasso di abuso. Tra tutti coloro che pongono domanda d’asilo, solo una minoranza esigua ne ha effettivamente diritto, soprattutto se si guarda ai parametri della Convenzione di Ginevra. Tutti gli altri sono migranti economici che si mascherano consapevolmente da richiedenti protezione, abusando della normativa. Quale norma può resistere a un tale tasso di elusione, senza perdere credibilità?
Si aggiunge il problema dei falsi ingressi turistici: se ne parla meno, ma, soprattutto in Italia, una quantità incalcolabile di stranieri è entrata regolarmente per turismo. Poi non è più tornata nei Paesi d’origine e permane sul territorio in clandestinità. E’ possibile che anche queste disposizioni, in un’epoca in cui, grazie ai bassi costi dei voli aerei, grandi masse di persone possono mettersi in viaggio, abbia bisogno di essere rivista.
Qualcuno dovrebbe chiedersi seriamente se, rebus sic stantibus, dicono i giuristi, cioè nella situazione attuale, profondamente diversa da quella in cui furono promulgate tutte queste norme, non si debba avviare una revisione rapida e profonda delle convenzioni internazionali sull’asilo e sulle protezioni sussidiarie: non per negarne il principio, ma proprio per tutelarlo. Un esempio tristemente efficace è il caso della nave Diciotti, di cui ho scritto ieri: 190 persone che hanno altissima probabilità di avere diritto d’asilo sono state assimilate per giorni a clandestini, nella confusione di governi per i quali la questione migratoria è ormai questione di propaganda. Ciò minaccia i principi umanitari molto più di una saggia revisione delle norme sulla protezione internazionale, causando esasperazione e insicurezza nella cittadinanza.
Il problema del controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea, su cui insistono Orbán, Salvini e i loro simili, è reale. Le sfide che si porta appresso, a partire dalla necessità di rivedere le norme internazionali sugli stranieri e sui rifugiati, sono epocali. Nessun altro, però, se non loro, con i loro modi da bulli di periferia, sembra voler affrontare il problema. Ancora una volta, i movimenti sociali e politici opposti si limitano a sterili dichiarazioni di principio, a organizzare cortei e a difendere uno status quo non più difendibile per ragioni oggettive, ben prima di ogni diatriba fra partiti e opinioni.
Il rischio che il sistema normativo attuale sull’asilo e sugli stranieri, anziché essere riformato intelligentemente per adeguarlo ai tempi, venga abbattuto a colpi di martello da insipienti e xenofobi, per essere sostituito da non si sa cosa, è reale, soprattutto guardando alle prossime elezioni europee. Seduto a fianco di Salvini, Orbán ha mostrato un formato di uomo di Stato decisamente superiore, mentre il suo amico italiano figurava a tratti un po’ come il suo scolaretto. Che di fronte a queste sfide ci si ritrovi segretamente a sperare che la maggiore assennatezza di Orbán riesca a contenere lo scapigliato Salvini, è un pessimo segno dei tempi. Ci sarebbero molte altre cose da dire, sul loro incontro, che sembra essere un sinistro pendant di quello che a marzo vide protagonisti lo stesso Salvini, l’istrione dell’estrema destra USA Steve Bannon e l’ineffabile Marcello Foa, tuttora bloccato nell’ascensore che lo avrebbe portato ai vertici della RAI.
(Pensieri di Luca Lovisato, non a caso, svizzero).

mercoledì 29 agosto 2018

CHIAMIAMOLI COL LORO NOME

Walter  Veltroni, Repubblica, oggi 

Non chiamiamoli populisti: contro questa destra estrema è l'ora di una nuova sinistra




Luciano Gallino, intellettuale di sinistra - definizioni che sembrano diventate brutte parole - scrisse più di venti anni fa l'introduzione a un libro nella quale diceva "la distruzione di una comunità politica, la fine della democrazia, è sempre possibile... Oggi come allora gli avversari della democrazia circolano numerosi tra noi, ma stanno anche dentro di noi, nel perenne conflitto, che è a un tempo sociale e psichico, tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà". Il volume era Come si diventa nazisti di William Allen, uno storico che si incaricò di raccontare come una piccola comunità dell'Hannover si trasformò da città storicamente di sinistra a feudo del nazismo, in cinque anni passato dal 5 per cento al 62,3. Allen scrive che "il problema del nazismo fu prima di tutto un problema di percezione". Non esiste evidentemente in Italia e altrove un pericolo nazista, anche perché la storia non si ripete mai nello stesso modo. Ma la mia angoscia, l'angoscia di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a ideali di democrazia e progresso, è che non si abbia la "percezione" di quello che sta accadendo. Che non ci si accorga che parole un tempo impronunciabili stanno diventando normali.
Non mi interessa qui la miseria della polemica politica quotidiana che ha perso la dignità minima. Sembrano tutti il Malvolio di La dodicesima notte di Shakespeare che dice, tronfio, "Su tutti voialtri prenderò la mia vendetta". Credo si debba uscire dal presentismo che domina il nostro tempo, che toglie respiro, serietà, credibilità alle parole e ai gesti. Guardare il mondo e interpretare i segni che ci pervengono.
Fu quello che nell'estate del 1939 non si fu capaci di fare, mentre l'umanità precipitava in una guerra terribile. Guerra come quella che solo vent'anni prima aveva fatto diciassette milioni di vittime. Mentre sulle spiagge si prendeva ignari il sole e nei cuori si inneggiava al duce e al fuhrer, si stava preparando un conflitto che avrebbe prodotto 68 milioni di morti e la tragedia della Shoah.
Papa Francesco ha parlato più volte, inascoltato, di una terza guerra mondiale. Per molti nostri coevi la guerra non è un deposito della storia o un monumento alla memoria. È la vita quotidiana, il dolore quotidiano in un mondo sordo e cieco. È lo stupore del bambino di Aleppo che seduto in un'ambulanza si tocca il viso scoprendolo pieno di sangue, è il corpo di Alan con la sua maglietta rossa sulla spiaggia turca e quello di suo fratello Galip, cinque anni, inghiottito dal mare. Ma noi, l'Occidente che ha attraversato la seconda guerra mondiale e l'orrore dei regimi autoritari, dell'hitlerismo e dello stalinismo, noi dove stiamo andando?
Intervenendo al Festival delle idee di Repubblica, mesi fa, sono tornato sul paragone con Weimar. Non sono pessimista, non lo sono per carattere. Ma non voglio assuefarmi alla legge del "politicamente corretto" per cui si finisce con l'omettere o l'umettare la sostanza delle proprie ragioni. Guardiamoci intorno. Cito due macrofenomeni: i dazi e la messa in discussione dell'Europa. Nella storia l'apposizione dei dazi è sempre stata la premessa per conflitti sanguinosi. Nel tempo della globalizzazione, fenomeno oggettivo, è impensabile agire lo strumento del protezionismo esasperato. Il conflitto tra Usa e Cina e tra Usa ed Europa, segnato dalle politiche di Trump, potrà avere effetti rilevanti sulla distensione internazionale. Ma il secondo dato è il più grave. Quando Spinelli pensò l'Europa unita, il nostro continente era in fiamme. È stata la più grande conquista di pace della storia umana, in questa parte del mondo. Ma ora tutto sta crollando. Logorato prima dalle timidezze dei governi democratici e ora dalla esplicita volontà antieuropea di un numero crescente di Stati. La Gran Bretagna è uscita, con il voto degli inglesi, e il gruppo di Visegrad si propone un'Europa minima, senza principi, valori, strategie comuni.
Il nostro Paese, fondatore dell'unità europea, improvvisamente ha come riferimento Orban e la sua "democrazia autoritaria". Un modello che tende ad affermarsi, dalla Russia alla Turchia. Si fanno strada regimi che tendono a concentrare nelle mani di pochi il potere, che limitano la libertà di stampa e di pensiero, che incarcerano gli oppositori. Qui, in Europa. La "fine della democrazia è sempre possibile", anche in forme storicamente inedite. Come ai tempi di Weimar, quando la crisi delle istituzioni e dei partiti, spesso divorati dalla corruzione, si intreccia con la recessione economica, si genera un bisogno di sicurezza che può essere più forte del bisogno di libertà.
Il populismo, espressione comoda per indicare una politica che a questo disagio si rivolge, è, per tutto questo, una definizione sbagliata. È destra, la peggiore destra. Quella contro la quale un galantuomo come John McCain ha combattuto fino all'ultimo. Definirla populista è farle un favore. Chiamiamo le cose con il loro nome. Chi sostiene il sovranismo in una società globale, chi postula una società chiusa, chi si fa beffe del pensiero degli altri e lo demonizza, chi anima spiriti guerrieri contro ogni minoranza, chi mette in discussione il valore della democrazia rappresentativa, altro non fa che dare voce alle ragioni storiche della destra più estrema.
Altro che populismo. Qualcosa di molto più pericoloso.
Ma ciò che la sinistra, impegnata a dividersi e rimirarsi allo specchio, non ha capito è che in questi anni è andata avanti una gigantesca riorganizzazione della intera struttura sociale. Qualcosa di paragonabile agli effetti della rivoluzione industriale. Il lavoro ha cambiato natura, facendosi aleatorio e precario. E se la macchina a vapore ha creato l'industria moderna e con essa le classi sociali e le città, così la nuova rivoluzione tecnologica, ancora agli inizi, finisce con il sostituire tendenzialmente l'uomo con la macchina e con il mutare tutti i codici cognitivi e comunicativi. La società è segnata da una sensazione di precarietà che la domina, che ne mina la fiducia sociale nel futuro. Non si può pensare che un tempo in cui le famiglie italiane hanno perso undici punti di reddito rispetto alla fase precrisi, in cui la differenza tra ricchi e poveri è aumentata, non sia carico di un drammatico disagio.

Un disagio che fa sì che prevalga la paura sulla speranza. La società, come un corpo contratto, si ritrae in una posizione orizzontale. Rifiuta ogni delega, anima della vera democrazia. Non vuole sapere la verità dai giornali, non accetta il parere degli scienziati, contesta persino fisicamente professori e medici, nega il valore della competenza politica fino a mettere in discussione il parlamento, per il quale si ipotizza una estrazione a sorte dei suoi membri.

Ma la società orizzontale finisce col postulare un potere verticale. La sinistra non ha capito che quando si è posto, da Calamandrei in poi, il problema della trasparenza e della velocità della democrazia si cercava esattamente di rispondere a questo bisogno. In una società veloce una democrazia lenta e debole finisce con l'essere travolta. Più la democrazia decide, più resterà la democrazia. Meno decide e più sarà esposta alla pantomima di questa estate allucinante, con un governo che le spara grosse su tutto. Che arriva a sequestrare una nave militare italiana in un porto italiano, a giocare spregiudicatamente la vita di esseri umani per qualche voto esacerbato. Che minaccia l'Europa con un misto di arroganza e incompetenza. Che annuncia cose che non può fare, non sa fare, non farà.

Ma nel presentismo assoluto resta nell'aria solo il grido acuto dell'intemerata. Trump in campagna elettorale disse che, se anche avesse preso un fucile e fosse andato sulla Quinta strada a sparare, non avrebbe perso un voto. Temo fosse vero. E così un ministro dell'Interno indagato per abuso d'ufficio si deve dimettere se è di centrosinistra e uno di destra, indagato per sequestro di persona, deve restare al suo posto. Non discuto il merito, noto la differenza. E se un deputato della maggioranza dice, come un vero fascista, che "se i magistrati attaccano il capo, li andiamo a prendere casa per casa" nessuno nella stessa maggioranza dice nemmeno poffarbacco.

Ma nei confronti dei cinquestelle la sinistra ha compiuto gravi errori. Ha cambiato mille volte atteggiamento, ha demonizzato e cercato alleanze organiche o viceversa, senza capire che molti di quei voti sono di elettori di sinistra. Che molti dei sei milioni di cittadini che avevano votato per il Pd nel 2008 hanno finito con lo scegliere i pentastellati o sono restati a casa. Un dolore profondo, un malessere che meritava molto di più delle piccole risse quotidiane o dei corteggiamenti subalterni. Molti di quegli elettori oggi sono certamente in sofferenza per il dominio della Lega sul governo e ad essi, e a chi non ha votato, senza spocchia da maestrino, la sinistra deve rivolgersi.
 
Come? Sia chiaro: la crisi della sinistra non è un fenomeno esclusivamente italiano, è mondiale. Solo Obama, come immaginammo nel 2008, è restato vivido nella memoria come esempio universale di coerenza programmatica e valoriale. Ma poi ha vinto Trump. Perché la sinistra o accende un sogno o non è. Perché la sinistra o è popolo o non è. Ma io non condivido i discorsi che sento fare sulla fine della sinistra o delle idee dei democratici.

È la sinistra, nella storia, che ha cambiato il mondo. Sono state le lotte contro lo schiavismo, per la liberazione delle donne, contro l'alienazione e lo sfruttamento, per i diritti civili e umani, contro le discriminazioni. È questo sistema di valori che ha reso la vita di ognuno sulla terra più libera e migliore. La sinistra lo ha saputo fare quando ha parlato al cuore delle persone, quando ha interpretato i bisogni di giustizia sociale, quando ha scelto la libertà. Cosa che non ha sempre fatto. Cinquant'anni fa la sinistra, per come la intendo, era nel sacrificio di Ian Palach e non nei carri armati con la falce e il martello.
Sogno e popolo, ciò che è stato perduto.

Due cose semplici e difficili insieme. Sono più chiaro ancora: o la sinistra definirà una proposta in grado di assicurare sicurezza sociale nel tempo della precarietà degli umani o sparirà. O la sinistra la smetterà di rimpiangere un passato che non tornerà e si preoccuperà di portare in questo tempo i suoi valori o sparirà. O la sinistra immaginerà nuove forme di partecipazione popolare alla decisione pubblica, una nuova stagione della diffusione della democrazia, o prevarranno i modelli autoritari. Nelle future esperienze di governo della sinistra ci dovrà essere una più marcata radicalità di innovazione. Allo stesso tempo, la sinistra non deve dimenticare chi è, ne deve anzi avere orgoglio. Non sarà inseguendo la destra o, in questo caso, il populismo che si eviterà il peggio. La sinistra non può avere paura di dire che è per una società dell'accoglienza, dire che è nella sua natura - oltre che in quella che dell'essere umano - la solidarietà, la condivisione del dolore, l'aiuto nel bisogno. La sinistra non deve aver paura di dire che non si deve mai deflettere dal rigoroso presidio della sicurezza dei cittadini imponendo a tutti il rispetto delle regole che ci siamo dati.

La sinistra non deve inseguire nessuno sul tema dell'Europa immaginandone una versione bonsai ma, al contrario, deve rilanciare con forza l'idea degli Stati Uniti d'Europa, meravigliosa utopia realizzabile. Deve riscoprire, dopo averlo dimenticato, il tema dello sviluppo compatibile, vera incognita sul futuro della specie umana. E non deve assuefarsi alla barbarie del linguaggio semplificato, della rissa permanente, dell'insulto all'avversario. Anche in questo deve essere se stessa, non fare come Zelig. Deve coltivare la scuola, la ricerca, la cultura, l'identità profonda di un Paese che è sempre stato aperto al mondo. Non deve aver paura di unire anche quando la diffusione dell'odio sembra prevalere. Deve innovare la sua identità e avere rispetto della sua storia. Si possono, ed è giusto, sostituire generazioni di dirigenti. Io mi sono presto fatto da parte per mia scelta e ho iniziato una nuova vita, come era corretto facessi.

Ma non è giusto cancellare la storia collettiva, le battaglie, i sacrifici, il senso di quella cosa enorme che nella storia italiana è stata la sinistra, è stato il pensiero democratico. Ha scritto, sul tema della memoria, il priore di Bose Enzo Bianchi: "Per ogni cultura, la memoria dei momenti e delle forze che l'hanno generata è essenziale; è proprio nella memoria degli eventi fondatori che la democrazia si afferma e si manifesta come valore".
Un esempio: la parola rottamazione fu usata, la prima volta, da Berlusconi in tv per attaccare Romano Prodi. Non è una nostra parola, figlia della nostra cultura. Neanche gli avversari si "rottamano", perché un essere umano e le sue idee non sono mai da cancellare, se espresse per e con la libertà.

Quando - è successo varie volte - in Italia si sono prese sbandate per il demagogo di turno, alla sinistra democratica è toccato poi salvare il Paese. Per essere all'altezza di questa responsabilità la sinistra e i democratici devono unirsi e smetterla con la prassi esasperante delle divisioni e delle scissioni testimoniali. Anche quella è un'abitudine spesso coincisa con tragiche sconfitte. Il Pd che io immaginavo è durato pochi mesi, raggiunse il 34 per cento in condizioni terribili e si trovò, orgoglioso e emozionato, in un Circo Massimo oggi inimmaginabile per chiunque. Era l'idea di un partito orizzontale, fatto di cittadini e movimenti, di associazioni e autonome organizzazioni. Un partito a vocazione maggioritaria perché aperto, che usava le primarie come cemento per unire questo arcobaleno. Il contrario di un "partito liquido", come poi si è purtroppo rivelato essere, per paradosso, quando ha prevalso il rimpianto per forme partito che non sono più date in questo tempo. Quel partito è stato in questi anni, per responsabilità di tutti, dominato dalle correnti e dai gruppi organizzati e il suo spazio vitale si è ristretto, come la stanza del funzionario Rai di La Terrazza di Ettore Scola. Quei muri vanno tirati giù e il Pd deve apparire un luogo aperto, plurale, fondato sui valori e non sul potere. Bisogna inventare una forma originale di movimento politico del nuovo millennio.

Forse quella idea era sbagliata, forse troppo avanti. Ne ho preso atto, credo con misura, senza cessare mai di dare una mano alle ragioni che hanno ispirato la mia vita.
Per questo ho scritto oggi. Perché non smetto di credere alla sinistra, perché temo per il futuro della vita democratica e dell'Europa, perché penso che l'idea di un soggetto politico aperto del campo democratico sia più che mai necessaria. Nessuno perda tempo a strologare sulla ragione di questo scritto. È solo amore per la propria comunità e per il proprio Paese. Tutto qui.


martedì 28 agosto 2018

E ANCORA UNA STORIELLA (UN NIENTE, IN VERITÀ)

Il podere Stuard è un posto alla periferia di Parma (periferia di campagna, lungo la via Emilia verso Piacenza) che si occupa di sperimentazione, di produzione e vendita di frutta e verdura biologica, organizza feste campagnole, degustazioni, corsi di cucina  e cene (sabato prossimo saremo alla cena della festa della tomaca, tutta a base di pomodori) e ha un bell’emporio dove (a caro prezzo) si comprano, oltre a frutta e verdura biologiche, piante aromatiche, peperoncini, anche cereali biologici, farine di ogni tipo,  salsine particolari anche a marchio Stuard, infusi, formaggi di capra, pasta biologica... insomma ci siamo capiti. Il posto è bello, con una rusticità non artefatta ma autentica (a volte perfino eccessivamente rustico... ), ci sono perfino in vendita le galline di un tipo particolare, locale e antico (noi le compriamo lí, grandi ovaiole) e i tacchini e gli agricoltori custodi, insomma cose interessanti.
Roberto è spesso lí in quanto non solo azienda cliente, ma anche componente del Consiglio di Amministrazione dello Stuard. Oggi era lí ed ha assistito ad una rapida scenetta: entra nel cortile dello Stuard un taxi e si ferma praticamente davanti alla porta dell’emporio, esce dal taxi di corsa una signora che si fionda dentro e rapidamente comincia fare spesa. Il taxi è fuori che l’aspetta con il motore acceso. Roberto, nel cortile con Marco, il competentissimo e giovane responsabile dell’emporio, che lo sta aiutando a caricare la macchina, rimarca la scenetta e Marco, con un piccolo sorriso, gli dice che non è la prima volta e non è l’unica signora che lo fa.
Il mondo è bello perchè è vario.....

lunedì 27 agosto 2018

PICCOLA SPIACEVOLE STORIA - DA ALBE

Sabato sera, festa del PD a Reggio Emilia, con una vecchia amica, non commentiamo gli ultimi eventi sull’immigrazione perchè non abbiamo, semplicemente, parole. Ma lei racconta un piccolo aneddoto - ha appena venduto casa sua perchè si trasferisce in un altro appartamento e ha fatto vedere la casa ad alcuni interessati mandati dall’agenzia. Arriva a visitare la casa questa coppia con un marcato accento meridionale  e la prima cosa che chiede è “come sono i vicini?” L’Albe non capisce nemmeno a cosa si riferiscono, ma glielo spiegano bene: non vogliono extracomunitari, quei... e giù tutta la sequenza nota di ingiurie e razzismo.
L’Albe ha pensato a sua madre e suo padre, comunisti doc, che a suo tempo facevano di tutto per dare una mano agli immigrati dal sud, gente senza niente, senza risorse e punti di riferimento, quasi senza saper parlare italiano. E, a pochi decenni di distanza, questo. L’Albe si chiede dove quando e perchè abbiamo perso questa gente per strada, come li abbiamo consegnati ai populisti, ai demagoghi e ai razzisti.
La mia reazione e riflessione però è diversa, penso a chi ci governava allora, gli odiati democristiani con le loro politiche di centro destra e la loro corruzione e giochi di potere - nessuno di loro avrebbe cavalcato la pancia peggiore della gente, l’incompetenza, la paura. La classe dirigente era accomunata da alcune coordinate, da aver letto qualche libro, dal sentirsi guida del paese, di essere “i migliori”, questa è la differenza da allora. Questo refrain dell’aver “perso la gente” mi sembra davvero un po’ stucchevole - la gente è stata persa su premesse totalmente diverse del senso e significato della democrazia e dell’interesse generale, semplificato, individualista e manipolatorio. Storiella antipatica, pensieri spiacevoli,  vero?

giovedì 16 agosto 2018

SPLENDIDA MATTINA D’ESTATE A SANGUIGNA

Cos'e' che fa dolce l'estate
e cosi' chiaro il mattino
che ho gia' voglia di uscire
e' che basta poco vestirvi
basta poco a stupirvi
basta uscire nel sole eeh
vorrei che piccola cosi'
bastasse sempre al cuore mio
la vita che riscalda 
una mattina d'estate
lo so che piccola cosi'
non so neppure dirtelo
e' un fiore in un bicchiere
una mattina d'estate
e c'e' un profumo nell'aria
che mi fa ripensare
a qualcosa di bello
che poi se si alzasse un po' il vento
gia' sarebbe lontano
gia' sarebbe nel cielo
vorrei che piccola cosi'
bastasse sempre al cuore mio
la vita che riscalda 
una mattina d'estate
lo so che piccola cosi'
non so neppure dirtelo
e' un fiore in un bicchiere
una mattina d'estate....


(Grazie a Roberto per averci donato la canzone)




PICCOLA TENERA STORIA - EMILIA

Anna ci ha raccontato una storiella tenera e carina di amici svizzeri.  (Essendo una storia riportata e raccontata conterrà sicuramente cose non accadute perchè riporta ciò che è stato raccontato e che io ho capito e memorizzato - ma credo che la sostanza sia quella qui riportata).
Questi amici sono una coppia formata da una svizzera italiana e da uno svizzero francese, vivono a Zurigo e hanno figli. Una di questi è una bimba di nome Emilia che frequenta la scuola (di madrelingua tedesca) a Zurigo e come seconda lingua a scuola ha un’insegnante inglese. Un giorno ha detto al papà (in italiano) : ecco la chiave - il padre molto carinamente e pazientemente le ha spiegato che a lui doveva dire la clé, mentre alla mamma doveva dire la chiave, alla maestra doveva dire der Schlüssel, alla maestra di inglese the Key. . Alla sera i genitori hanno messo Emilia a letto, le hanno augurato la buonanotte e sono rimasti sulla porta ad ascoltarla parlottare tra sè e sè “Allora la clé al papà, la chiave alla mamma, der Schlüssel alla maestra, the key alla maestra di inglese... e a Emilia? Cosa devo dire a Emilia?”. I genitori, sulla porta, hanno trattenuto il respiro aspettando il seguito. Ma Emilia si era addormentata.



martedì 14 agosto 2018

CONTRADDIZIONI

Battuta dal sito Facebook di Lateral (autore Costanzo Pasquinucci)
“Di Maio sulla crisi in Turchia: state tranquilli, non siamo ricattabili.
Bene, ma com'era la storia dei vantaggi di uscire dall' euro?”
Mi ha fatto anche ridere...

giovedì 9 agosto 2018

PER CHIUDERE FUORI IL MONDO

Oggi voglio chiudere fuori il mondo: oltre a non commentare mai quello che ogni giorno sento, imbevuto di ignoranza, sfacciataggine e razzismo (chicca di oggi di Di Maio, per esempio: “Marcinelle insegna che non si deve emigrare”, ma ogni giorno è uno stillicidio), il semplicismo e il populismo ... non ho scritto e non scriverò nemmeno una parola  - non meritano nè commenti, nè indignazione, conservo le mie emozioni e la mia rabbia per qualcosa di più meritevole di attenzione, come per esempio l’anniversario di Hiroshima e Nagasaki, un evento che ha cambiato il mondo.
Oltre a questa ferma intenzione, oggi nel caldo torrido (e una antica casa fresca) cerco di non pensarci nemmeno e leggo ... le parole appassionate aiutano

Ma il muro è fragile: reggerà?


giovedì 2 agosto 2018

2 AGOSTO 1980

2 agosto 1980 - stazione di Bologna - un ricordo conficcato nel cuore. Io non dimentico e non ho dimenticato un solo giorno in questi 38 anni. A che cosa è servito? A me molto, a riconoscere e non perdonare nessun orrore e nessuna violenza, a curare, a proteggere, a cercare dì riparare. Ogni tanto torno a guardare lo squarcio lasciato in stazione e mi sembra di rivederlo con lo sguardo limpido della ragazza che ero. È importante.

(Uguale al post del 2017 - ho deciso che lo posterò ogni anno, aggiornando solo il passare degli anni)