Stasera stavo cucinando il risotto con gli asparagi ed ero anche un po' in ritardo - é difficile scappare via dal lavoro quando centomila complicazioni e casini si accumulano sulla scrivania, pur se ordinatamente impilati in sottili cartelline o archiviati in ancor piú impalpabili file e folder del computer.
Stavo cucinando, dopo aver raccolto gli asparagi dall'orto, spignattavo, affettavo, grattugiavo, apparecchiavo, caricavo una lavatrice e rispondevo ad un what's up - come quasi sempre, da sola, o con la sola compagnia di un telefilm che occhieggiavo ogni tanto e il cui solo merito é di essere popolato da bellissimi esemplari umani che si danno molto da fare sparando e uccidendo a destra e a manca.
In automatico, esplicavo tutta la mia efficienza. Ad un certo punto mi sono guardata le mani, di cui rammarico l'invecchiamento, le vene evidenti, le nocche spesse - e ho pensato a come siano mani capaci di fare cose e di quanto hanno lavorato in questi anni. Quante cene e (un po' meno) pranzi avró cucinato nella mia vita, ogni volta pianificando, scegliendo ricette e materie prime e i ripetitivi gesti di base per assemblare qualche piatto che la mia famiglia avrebbe consumato e che sarebbe stato il fulcro della cena? Ho cercato di stimarlo, ma non ne ho proprio idea.
Poi è tornato Roberto e il risottino con i primi asparagi dell'orto era davvero buono. Ed è terminata anche questa giornata di primavera.
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