lunedì 27 gennaio 2025

SPIRITELLI AMICHEVOLI



 Tutta una serie di giornate grigie e nebbiose. Ieri mattina pioveva anche, a rabbiose secchiate che si sono riversate su un livello di umidità pressoché intollerabile. 

Ma venerdì mattina la fitta nebbia mattutina si è a poco a poco dissolta nel tentativo (non riuscito) del sole di fare capolino nell’intenso grigiore. È apparso quindi il fenomeno che fin da bambina mi ha sempre affascinato di piccoli refoli di nebbia sospesi sopra i campi, come piccoli sbuffi di fumo galleggianti nell’aria.




Non so se le foto rendono sufficientemente l'idea. Mi sembra però che anche la Pianura Padana, con tutta la sgradevolezza del suo clima così favorevole ai culatelli, possa presentare angoli di magia, in cui effimeri spiritelli si palesano agli umani e portano un po' di incanto...

venerdì 24 gennaio 2025

LA STORIA SIAMO NOI - MIA NONNA 4 (UN BEL FINALE)


Podcast

14:08 (7 ore fa)
me
Gentilissima Silvia,
come sta? 

Sono molto lieta di comunicarle che la storia di sua nonna Dina Balestrazzi quest'anno diventerà un podcast realizzato da una classe di studenti di Parma!

Abbiamo pensato di inserire nel podcast anche una breve registrazione della persona che ci ha inviato la storia
Quindi, se le fa piacere, le chiediamo di inviarci via email o via whatsapp al mio numero 3381583597
un breve vocale registrato con il cellulare in cui lei o qualcuna delle consorelle dirà:  


"Mi chiamo ………….………  ………….………   era (mio/a ………….……… .
Grazie per aver ascoltato e ricordato con me la sua storia".

 
Desidero infine informarla che l’inaugurazione del progetto sarà 
Sabato 17 Maggio alle ore 11 al Cimitero della Villetta alla presenza della autorità e, in particolare, dell’assessore Caterina Bonetti.

le chiedo anche se posso avere il numero di telefono nel caso avessi bisogno di comunicare qualcosa velocemente. 

In attesa di un gentile riscontro 
Le invio i miei più cordiali saluti


Paola Greci 
curatrice "La Storia siamo noi!" per il Comune di Parma e ADE spa  
Associazione culturale  ECHO | Education Culture Human Oxygen | C.F. 921 902 903
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Un bel finale, un buon finale, ancora da vivere…

LA STORIA SIAMO NOI - MIA NONNA 3 (AL SOJ)

 AL SOJ
L’ufficio del Dazio a Fontevivo era al piano terra del Municipio e il daziere titolare, mio nonno, era spesso fuori con il veterinario comunale a timbrare e controllare bestiame. In ufficio doveva stare la nonna, perché la gente aveva bisogno di fare domande, pagare piccole bollette, dichiarare cose. Il nonno faceva però fatica a tenerla in ufficio perché casa loro era proprio di fianco al Municipio e c’era sempre qualcosa da fare in casa, un minestrone che stava sobbollendo, una torta in forno, vetri che era urgente lavare e così via – una scappata, un attimo .....
Un giorno, il nonno tornò da un giro lavorativo e trovò l’ufficio chiuso, con un biglietto attaccato che
diceva che in caso di bisogno dovevano andare alla casa del daziere lì di fianco. Siccome in paese tutti
sapevano tutto di tutti lo aggiornarono immediatamente che la nonna era andata a casa, in lavanderia, a
fare il bucato grosso con la vicina. Allora le lenzuola si lavavano nella tinozza (al soj, in dialetto) con la
lisciva e la cenere e con il “fogon” apposito attrezzo per bollire l’acqua e i panni insieme. Il lavoro era
duro e complicato e ci volevano almeno due donne per farlo.
Il nonno era un omone, un uomo alto e massiccio, generalmente tenerissimo (era stato il primo uomo in
paese ad uscire a passeggio con la bambina – io – nella carrozzina, senza seguito di donne, solo lui nonno orgogliossimo) ma capace di furori. Questo episodio di assenza non era il primo e quindi si infuriò moltissimo. Andò a casa, prese dal suo apposito armadio chiuso a chiave il fucile da caccia e scese in lavanderia. Le due donne si spaventarono vedendolo così infuriato e lui, senza dire una parola, sparò una fucilata nel soj, andandosene immediatamente dopo.
Immagino ci siano stati ampi strascichi di discussione per questo episodio (la nonna non mollava mai
nemmeno lei), ma la cosa che la nonna raccontava sorridendo è che la vicina per un po’ di tempo si
rifiutava di fare il bucato con lei e anche dopo aver ripreso chiedeva sempre prima al nonno se la nonna
poteva fare il bucato con lei e fino a che ora.
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ho ricevuto anche una immediata risposta dalla Curatrice

Gentile Silvia, 

la ringrazio moltissimo ! E' una storia davvero interessantissima e così ricca di dettagli e di un mondo davvero lontano che ha tanto da dirci !!! 
Sono molto felice che abbia anche aggiunto la storia del soj!  
Grazie ! 

La tengo aggiornata e le invio i miei più cordiali saluti 

Paola Greci 
curatrice del progetto La Storia Siamo Noi

per il Comune e Adespa

LA STORIA SIAMO NOI - MIA NONNA 2

Un po' inaspettatamente, ricevo quasi subito una mail di risposta molto calorosa

 Gentilissima Silvia, La ringraziamo moltissimo di aver condiviso la storia bellissima della sua nonna, così interessante anzi incredibile !  Credo che sarebbe molto prezioso per gli studenti avere altri dettagli che le chiederei di aggiungere, se le fa piacere e se li conosce .... per esempio dove è cresciuta la sua nonna, in città, a Parma, in campagna o in quale paese; se apparteneva ad una famiglia numerosa, se aveva fratelli o sorelle; dove si trovava la fornace, fino a che età ha lavorato, se ha mai avuto occasione di studiare, se ha potuto imparare a leggere e scrivere... e anche sulla sua vita successiva a cui brevemente accenna: se è stata poi casalinga o ha svolto altri lavori, se ha avuto delle conseguenze per il durissimo lavoro svolto da bambina, se vi parlava di quell'esperienza e cosa vi diceva e infine anche come è stata un riferimento per voi ...

Questa storia ha suscitato la mia curiosità e credo potrebbe suscitare anche quella degli studenti ... ma davvero, solo se le farà piacere aggiungere altri dettagli, tutti quelli che desidera...
E' molto bella questa storia di affetti così forti che riparano tutto, anche la  fortissima fatica fisica e che viene poi tramandato da padre in figlia e poi ancora alla figlia e ai nipoti...

Posso infine chiederle come è venuta a conoscenza dell’iniziativa ?

Ringraziandola per la sua gentilezza, colgo l'occasione per inviarle i miei più cordiali saluti 

Paola Greci 
curatrice del progetto La Storia Siamo Noi
per il Comune e Adespa

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così, ho risposto quasi subito:

gentile signora, la ringrazio moltissimo per l'attenzione che ha voluto dare alla piccola storia che le ho mandato. Ovviamente non ho aggiunto particolari per stare dentro le 500 parole prescritte. ho cercato di rispondere alle sue domande (vedi  STORIA DI DINA - QUALCHE RISPOSTA ALLE DOMANDE) e ho aggiunto anche un piccolo episodio (AL SOJ) divertente, per me è solo un piacere e un onore parlare della mia nonna e quindi sono sempre disponibile a chiacchierarne o scriverne. 
Ho saputo dell'iniziativa leggendo la Gazzetta di Parma e mi è timidamente venuto in mente di poter partecipare.
Ci tenevo però solo a sottolineare una cosa: la nonna non ha mai sostenuto che la sua fosse una storia eccezionale, anzi viveva con grande convinzione la sua come la storia ordinaria di tanti della sua generazione, una storia in cui le lacrime e la stanchezza si sono mescolate a gioie e speranze.
grazie ancora dell'attenzione e cordiali saluti
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STORIA DI DINA – QUALCHE RISPOSTA ALLE DOMANDE
- Dina è nata a Cortile San Martino, frazione di Parma. L’ambiente era povero ma non misero, operaio e socialista. Vi ha vissuto fino a quando non si è sposata (nel 1933 o giù di lì)
- la sua famiglia era composta da un fratello più grande, Dino, e da una sorella poco più piccola. Maria.. Poi il padre (Secondo) è andato in guerra e al suo ritorno, con un gap di 7-8 anni, sono nati Mario e Ferdinando (notare: Dino, Dina, Maria e Mario, Ferdinando – la fantasia non era molto in voga, nel periodo, pare...)
- la nonna, come tutti i bambini di quell’ambiente sociale in quel periodo, ha frequentato la scuola fino
alla terza elementare, ma per tutta la vita ha saputo leggere bene e scrivere per quel poco che le era
richiesto scrivere.
- la domanda veramente interessante è se ha continuato a lavorare tutta la vita perché nasconde un motivo di vero stupore per me che, di altra epoca, ho sempre considerato il lavorare fuori casa un valore grande di emancipazione a autonomia delle donne.
La nonna ha continuato a lavorare in fornace alcuni anni, poi, ormai adolescente, ha trovato quello che ha sempre definito il lavoro che le è piaciuto di più nella vita: è andata a lavorare come operaia nella fabbrica di biciclette Garlatti, aperta da poco. Il lavoro le piaceva molto per due motivi fondamentali più uno: era un lavoro “pulito” in cui le operaie non si sporcavano ed erano anzi abbellite da un grazioso grembiule da lavoro ed inoltre parte del salario era la fornitura di una bicicletta a prezzo scontato e pagata mese dopo mese nel salario. Lei non lo ha mai detto, ma credo che un valore aggiunto fosse che era un lavoro da donne, con molte giovani donne che lavoravano insieme.
Purtroppo questo mitico lavoro lo ha dovuto lasciare molto presto perché quando aveva 17-18 anni è
morto l’amatissimo papà per il cedimento dei reni già provati dall’esperienza della guerra e
definitivamente rovinati dai picchiatori fascisti e dall’olio di ricino. Il padre era a dire della nonna un
importante esponente del partito socialista locale ed era molto divertente per noi quando lei raccontava che quando la loro casa veniva periodicamente visitata dai fascisti ognuno dei figli aveva un compito: il fratello più grande aveva il compito di nascondere il fucile da caccia nelle travi della soffitta e la nonna invece si faceva carico di andare a nascondere nei campi, in apposito nascondiglio, la cassettina che conteneva gli attestati, i gagliardetti e le tessere del partito socialista di suo padre.
Morto il padre, il padrone della fabbrica che lo stimava molto - era il suo capo-operaio - aveva offerto la gestione di una osteria di sua proprietà alla madre e alla famiglia per il loro sostentamento, quindi la nonna aveva dovuto lasciare Garlatti per aiutare la famiglia in osteria.
E qui viene fuori per la prima volta una caratteristica finora in ombra. La nonna era appassionata e
particolarmente versata in tutte le arti muliebri: cucinare, cucire, accudire casa. In realtà, quello che a noi donne di altra epoca appare come una conquista, lavorare fuori casa, era per lei una punizione, perché lei desiderava stare a casa, formare una famiglia, accudire persone, cucinare. Nell’osteria aveva messo a frutto almeno una di queste doti: ci raccontava che venivano da tutta Parma per mangiare la sua trippa (in effetti, noi che la mangiavamo venti/trenta anni dopo, sapevamo che era cibo degli dei).
Dopo alcuni anni ha incontrato Celso, mio nonno, e si è sposata, andando ad infilarsi in una situazione
complessa, perché il nonno (terzo di quattro fratelli) era da anni orfano di madre, morta nel dare alla luce l’ultimo fratello, Ermes (poi disperso in Russia durante la seconda guerra mondiale) che all’epoca del matrimonio era ancora un bambino. Quindi la nonna, sposandosi, aveva finalmente trovato quella grande famiglia da accudire e sfornava pane, pasta, delizie di ogni genere e si occupava di fare della casa di cinque maschi quel nido che non era più da lungo tempo. Lei diceva “Tutti mi portavano in palmo di mano”. Erano tutti (tranne uno) falegnami impiegati nella bottega del padre, ma ad un certo punto, dopo un paio d’anni, il nonno si è trovato un altro lavoro (contro il parere del padre): daziere a Fontevivo. Nel frattempo era nata (con parto difficile che ha impedito successive gravidanze) mia madre.
Trasferitisi a Fontevivo, il nonno ha insistito perché lei lavorasse con lui: il suo lavoro di daziere lo
portava spesso fuori dall’ufficio e la nonna (inquadrata ad un livello basso, ma impiegatizio dal Comune) teneva aperto l’ufficio e raccoglieva le domande e i pagamenti. Lei preferiva di molto cucinare e accudire la casa, ma ha fatto questo lavoro fino alla pensione (nel file che allego “Al soj” descrivo un episodio divertente che dà l’idea delle sue priorità). Nel frattempo si sono sposati la mamma e il papà e sono nata io.
Alle soglie della pensione, quel nonno molto intelligente e lungimirante (aveva costretto, fortemente
supportato dalla nonna, mia madre a studiare e a diplomarsi maestra, nonostante lei non avesse per niente voglia di studiare) decise che era ora di andare a stare a Parma, perché mia madre e mio padre lavoravano entrambi lì, io avrei trovato scuole migliori, la nonna era in pensione e lui ci sarebbe andato tra poco.
Acquistò quindi una grande casa a Parma, nel quartiere Montanara che cominciava allora ad espandersi. Ci trasferimmo, ma dopo poco più di un anno il nonno morì, rompendo quella che era evidentemente una grande storia d’amore tra lui e la nonna: la nonna lo accudiva in ogni modo e gli aveva dato una casa e una famiglia e lui la portava letteralmente in palmo di mano.
La nonna accusò molto il colpo (io avevo all’epoca 9 anni), ma si riprese quando nacque mio fratello,
dodici anni meno di me. A noi ha dedicato l’ultima parte della sua vita.
- perché era un punto di riferimento? Perché era una donna minuta, elegante, non molto loquace,
abbastanza autoritaria, ma salda e rigorosa. Ogni lavoro doveva essere fatto bene, con cura, con dedizione, ricordando sempre la grande fortuna che avevamo di non dovere lavorare in fornace, di non vivere in guerra, di non avere picchiatori fascisti per casa, di potere (e dovere) studiare. Per questo ci raccontava la sua vita, senza recriminazioni, senza nostalgie, ma con un certo senso di tenerezza e divertimento per come tutto era cambiato.
E intanto cucinava, sfogliava riviste di cucina, cucinava, cucinava ... e ci amava senza se e senza ma, per quello che eravamo (senza smettere di bacchettarci, sia inteso) ed era grata perché io ero brava a scuola perché avevo scelto un uomo che lei approvava, perché mio fratello era un tenerone e perché la  fornace era solo un ricordo, e nemmeno brutto.
E’ morta a 80 anni ed ha potuto conoscere anche la sua prima nipotina.

LA STORIA SIAMO NOI - MIA NONNA

 Lo scorso novembre ho letto questo  sulla Gazzetta di Parma

"Avviso a partecipare a La storia siamo noi! Le memorie dei parmigiani sul tuo cellulare!”, "un progetto del Comune di Parma e di ADE s.p.a. che, grazie alla collaborazione di cittadine e di cittadini di Parma, si propone di raccogliere in podcast  i racconti delle vite di persone della città che ora riposano nel cimitero della Villetta. I podcast si potranno ascoltare direttamente al Cimitero monumentale della Villetta, inquadrando col cellulare i QR code sulle targhe lungo un percorso nel camposanto, oppure sulla piattaforma Spotify.

Il progetto si pone come obiettivi raccontare e non dimenticare le storie di cittadine e cittadini che ora non ci sono più, nella consapevolezza che la storia locale è fatta anche delle tante vite di coloro che hanno vissuto in città: aneddoti, testimonianze e vicende che contribuiscono a costruire la memoria collettiva della comunità e a tramandarla alle nuove generazioni.

I cittadini e le cittadine che intendono condividere storie, testimonianze, ritratti di un/una familiare, di un/una parente, di un’amica o di un amico, di un/una conoscente sepolto al Cimitero Monumentale della Villetta, possono inviare un testo di massimo 500 parole o un file audio di massimo tre minuti all’indirizzo email podcast@adespa.itentro il 30 novembre 2024. La partecipazione è gratuita.

Tutti i racconti ricevuti verranno valorizzati durante un evento che si svolgerà la prossima primavera; le cinque storie più rappresentative verranno trasformate in podcast dagli studenti e dalle studentesse delle Scuole Superiori di Parma e provincia, che si occuperanno dello sviluppo dei testi e della realizzazione degli audio.

Anche i nuovi racconti – come quelli della prima edizione del progetto - entreranno a fare parte del percorso creato al Cimitero della Villetta e verranno distribuiti nei canali podcast italiani."

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Ho pensato allora di partecipare per raccontare la storia della mia amatissima nonna Dina. Ho pensato un po' a come approcciare la storia (tra l'altro in max 500 parole) e sono partita dal fatto della sua storia che da bambina mi aveva più colpito, così ho mandato una mail con questo piccolo racconto:

Era così stanca che doveva ricordarsi di mettere in pratica quello che le aveva insegnato il suo amato papà: bisognava dimenticarsi di pensare e concentrarsi solo sul mettere un piede davanti all’altro e fare i gesti ripetitivi ed automatici che ripeteva tutto il giorno: andare a prendere il mattone ancora caldo che veniva portato coi carretti e portarlo all’operaio che lo impilava in mucchi ordinati nel cortile. Ma aveva solo nove anni, era un soldo di cacio minuto, e dopo molte ore tutto le faceva male. Persino il vantaggio, molto invidiato dalla maggior parte degli altri operari, di lavorare vicino al cuore caldo della fornace invece che al freddo a un certo punto non la aiutava più. Era però molto orgogliosa delle lodi di tutti che notavano quanto lavorasse bene, con costanza e con forza, nonostante un fisico esile e i pochi anni di vita. Inoltre, aspettava con ansia il momento in cui il suo bel papà sarebbe arrivato a prenderla per portarla a casa – il papà lavorava a pochi metri di distanza, ed era una persona importante, il capoturno della fornace, ed era alto, forte, pieno di ottimismo, sorridente, anche se un po’ meno sorridente da quando era tornato un paio di anni fa da quella che chiamavano la “Grande Guerra”. Lei provava a volte a chiedere, ma lui non voleva parlarne, le accarezzava i capelli e si limitava a dirle che le voleva bene. Oggi però la stanchezza era proprio tanta e come ogni tanto le capitava cominciò a piangere, anzi non a piangere, erano semplicemente lacrimoni che le scorrevano sulle guance. Continuò però il suo lavoro e finalmente vide il papà, tra la nebbia delle lacrime, che la prendeva in braccio e le asciugava le lacrime con i baci. Poi come sempre la avvolgeva nel suo ampio tabarro, la posava sulla canna della bicicletta saldamente appoggiata sul suo petto e si avviavano verso casa in silenzio. Al sicuro e al calduccio, felice, stanchissima, non le ci voleva molto a scivolare nel sonno. E chissà che non sognasse la sua lunga vita futura, con i suoi dolori come la morte dopo pochi anni del padre socialista per i postumi del pestaggio dei fascisti e le gioie di un marito alto e bello come il suo papà e che la adorava come lui, la figlia e due nipoti amatissimi che vedevano in lei il punto di riferimento dei propri ricordi e della propria vita di bambini e adolescenti.

Una vita semplice ma non inconsapevole attendeva quella bambina che lavorava duramente in fornace ogni giorno – una vita utile e feconda.

DINA BALESTRAZZI 1912-1993

giovedì 23 gennaio 2025

“REPUBBLICA” E NOI

Il 15 gennaio 1976 (non avevo ancora 18 anni!) nasceva “Repubblica”, un giornale che ha accompagnato la mia, la nostra vita. Il giornale ha deciso di prendersi un anno per festeggiare il compleanno del 2026 con i lettori e ha chiesto di raccontare le piccole storie personali legate al giornale inviando una mail. L’iniziativa si chiama R50 e le storie verranno utizzate in questo anno di festeggiamenti.

Roberto ha letto per primo la notizia e si è messo in silenzio a digitare sul suo portatile, spiegandomi cosa faceva, ma senza rivelarmi la storia che stava scrivendo. Allora ho pensato di farlo anch’io, ho tirato fuori il mio portatile e ho scritto. Abbiamo inviato le storie alla mail indicata e poi ce le siamo lette a vicenda.

Questa è di Roberto

Ho incominciato a leggere con continuità la Repubblica nell’ottobre del 1977, in seguito all’iscrizione all’Università degli Studi di Bologna e anche grazie al viaggio quotidiano di andata e ritorno in treno da e per Parma. Ricordo che il mio amico Vittorio, in fila alla mensa di Piazza Verdi, mi diceva, "ma che fai, leggi quel giornale che non ha nemmeno lo Sport?" In effetti lo sport è arrivato qualche anno dopo, proposto con una dimensione direi culturale e sicuramente innovativa. In quella fila c’era anche una bella ragazza mora che rideva spesso che è poi diventata mia moglie. Con questa ragazza tutti i giorni ci compriamo la versione cartacea e ce la godiamo sfogliandola e ci suggeriamo a vicenda i commenti più interessanti della giornata, da non perdere, ovviamente. Grazie.

Questa è la mia:

Era l'anno scolastico 1976-1977, anni difficili di contrapposizioni forti, quinta A del Liceo Scientifico Marconi e tutti i giorni compravo Repubblica prima di andare in classe - avevo scoperto Repubblica appena era uscita e avevo continuato a comprarla perchè era un giornale che mi "corrispondeva". Un giorno era il cambio dell'ora e c'era come al solito un intenso brusio di chiacchiere felici nella classe. Io parlavo appoggiata a un banco con le spalle alla porta e avevo visto che il giornale era caduto dal mio banco. Nel momento preciso in cui il brusio cessava per l'ingresso dell'insegnante si è sentita la mia voce limpida chiaramente imprecare "Ma è caduta la Repubblica!". L'insegnante si è fermata sulla soglia della classe con aria smarrita. 
Ho fornito le spiegazioni del caso, ovviamente, e ovviamente "E' caduta la Repubblica!" è diventato il motto di scherzo della classe.


mercoledì 22 gennaio 2025

ASCOLTANDO “THE GHOST OF TOM JOAD”

 Questa canzone di Springsteen mi piaceva tanti anni fa, ma l’avevo dimenticata. L’ha riportata all’attenzione l’attore Luca Marinelli che l’ha cantata davvero bene (c’è il video su Youtube). E anche il libro, letto secoli fa, l’avevo dimenticato. Tom Joad è il protagonista del romanzo più  importante di John Steinbeck, probabilmente il più esistenzialista e sensibile scrittore americano del 900, certamente il più libertario. Il romanzo, del 1939, si intitola “Furore”.

La storia di "Furore" è l´epopea drammatica della trasmigrazione della famiglia Joad, assieme ad altre centinaia di poveracci, dall'Oklahoma attraverso il Texas, il New Mexico e l'Arizona, lungo la famosa Route 66 fino alla California, in cerca di un modo di vivere meno misero.  Ci troveranno solo il modo terribile di sopravvivere: paghe da fame, caporalato, lavori da schiavi. Sono gli anni della Grande Depressione. Smagriti da un regime di lavoro che non bastava neanche lontanamente a nutrirli, picchiati, senza una casa, vivevano in baracche di fortuna (spaventosa la somiglianza con le città dormitorio dei migranti in Puglia oggi). 

Ed è questa la storia che Springsteen, 55 anni dopo, nel 1995 vuole raccontare. E che non ha mai cessato di essere attuale. E il testo è un pugno allo stomaco:


Uomini che camminano lungo i binari della ferrovia
Diretti da qualche parte, non c’è ritorno
Gli elicotteri della Stradale spuntano dalla cima della collina
Minestra calda sul fornello da campeggio sotto il ponte
La fila per il ricovero fa il giro oltre l’angolo della strada
Benvenuti al nuovo ordine mondiale!
Le famiglie dormono in macchina nel Sudovest
Non c’è casa né lavoro, non c’è pace né riposo

L’autostrada è viva stanotte

Non ci si inganna su dove vada a finire
Io sto qui seduto alla luce del falò
Cercando il fantasma di Tom Joad.

Lui tira fuori un libro di preghiere dal sacco a pelo
Il predicatore accende un mozzicone e si fa un tiro
Aspettando il giorno in cui gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi
In uno scatolone di cartone nel sottopasso
Io ho un biglietto di sola andata per la terra promessa
Tu hai un buco nella pancia e una pistola in mano
Dormi su un cuscino di roccia dura
Fai il bagno nell’acquedotto comunale

L’autostrada è viva notte
Dove va a finire lo sanno tutti
Io sto qui seduto alla luce del falò
Aspettando il fantasma di Tom Joad.

Tom diceva: “Mamma, ovunque un poliziotto stia picchiando un ragazzo

Ovunque un bambino appena nato pianga per la fame, Ovunque ci sia una battaglia contro il sangue e l’odio nell’aria

Cercami, mamma, io sarò là.
Ovunque ci sia gente che combatte per un posto dove stare
Per un lavoro decente, per una mano amica
Ovunque ci siano persone che lottano per essere libere
Guardali negli occhi e vedrai me”

L’autostrada è viva stanotte
Non ci si inganna su dove vada a finire
Io sto qui seduto alla luce del falò
assieme al fantasma del vecchio Tom Joad

I Tom Joad di oggi, descritti da Springsteen, sono messicani, africani, palestinesi ed ebrei, afghani, iraniani, sono le nuove vittime di un Nuovo Ordine Mondiale ancora affollato di poliziotti che picchiano, bambini che piangono per la fame, gente senza lavoro e senza libertà - e guerra.

Ascolto un po’ triste la canzone di Tom Joad quasi cent’anni dopo la storia raccontata da Steinbeck. Non ricordiamo di essere stati noi, non ricordiamo e non impariamo.

venerdì 10 gennaio 2025

ELEZIONI AMERICANE - UN PAIO DI PERSONALI RIFLESSIONI DOPO AVER LETTO TANTO

 Durante il lunghissimi processo di svolgimento delle elezioni presidenziali americane ho letto moltissimo al riguardo, ben rifornita da un opportuno abbonamento al The New Yorker e ho effettivamente sviluppato alcune riflessioni stimolate dalle letture stesse.

La prima cosa che ho notato è il forte, fortissimo cambiamento che si è sviluppato nel tempo e forse in queste elezioni è arrivato a compimento vero, che ha subito la figura del/dei leader (in realtà il numero di leader necessari nel tempo è progressivamente diminuito fino ad arrivare ad oggi dove si registra un solo leader e qualche leader forte ma minore di contorno). Si potrebbe grossolanamente riassumere questo cambiamento nel passaggio dal carisma al fascino.

Ricordo i leader durante la mia giovinezza - la leadership era molto presente durante i comizi, erano leader carismatici, "larger than life" si dice in inglese, e coltivavano con cura un'aura messianica, una vicinanza a Dio, interpretando alla lettera l'etimo della parola greca carisma ("dono divino"). Oggi, nell'era parcellizzata e divisiva di Internet, quello che viene chiesto ai leader invece è fascino, una qualità non divina, ma quotidiana, basata su piccoli momenti di presunta autenticità che svelino il carattere del leader e lo rendano più vicino, accessibile, autentico e degno di fiducia. Il carisma era costruito sulla lontananza, la differenza dall'audience, l'essere "il migliore" (Togliatti). Il fascino è costruito sulla prossimità (finta?), sulla finta umiltà, sull'avere molto in comune con chi ascolta. Quindi largo spazio a luoghi di incontro (reale o virtuale) con gli elettori che siano più accoglienti possibile per gli elettori che guardano o assistono (molto emblematico lo staging praticato sia da Harris che da Trump in un McDonald) e ampio uso di scorci di finto backstage o di situazioni goffe, in cui i politici appaiono teneri, con la guardia abbassata, o tonanti e arrabbiati, proprio come noi, gli elettori. Ogni incontro con i leader di oggi si situa in una ampia gamma di emozioni che vanno dalla seduzione all'inganno puro.

E qui trova il suo spazio l'osservazione di Serra (Amaca di oggi) sulle leadership con elementi psichiatrici di cui Trump è il campione. "L'elemento psichiatrico, da sempre rilevante nella storia dell'umanità, sta ingigantendo la sua influenza, almeno qui in Occidente (dell'Oriente  continuiamo a sapere e capire piuttosto poco), con manifeste forme di squilibrio ed aggressività purtroppo spesso confuse con vivacità, spontaneità, fine delle ipocrisie. E' un vizio dei tempi quello di assolvere le intemperanze e le cattive maniere spacciandole per schiettezza: La destra populista, di questo equivoco permanente, ha fatto il suo cavallo di battaglia culturale e politico, ridicolizzando la correttezza e l'educazione (e all'occorrenza anche le convenzioni internazionali) come forme di vuoto buonismo".

Un'altra osservazione che ho maturato riguarda la lontananza dalla politica e dalle tematiche e i problemi sul piatto che ho osservato in questa campagna elettorale. Mentre in patria e anche i commentatori nostrani rilevavano, a ragione, come Kamala Harris non prendesse davvero posizione sulle tematiche ma si limitasse a blandire il più possibile l'elettorato senza scontentarlo, i “ragionamenti" politici di Trump si limitavano a scavare il più possibile nei recessi razzisti della psiche americana per condurre una campagna incentrata sull'odio più profondo e sulle più profonde insicurezze degli elettori. E allora perché a Kamala Harris veniva richiesto un programma economico di livello accademico e a Trump no? Direi che mi sembra del tutto coerente con la tipologia di politico costituita da Trump (e, in modi diversi ma molto simili tra loro nella sostanza, da Bolsonaro ed Erdogan, per finire all'inarrivabile Vladimir Putin): un aspirante autocrate che ha preso nelle sue mani un partito Repubblicano in crisi per trasformarlo in un partito che esiste solo per promuovere e far avanzare la carriera politica personale del leader e non per realizzare azioni politiche coerenti. Le proposte di Trump non riguardano le tematiche politiche ma sono tutte incentrate su un tema: Trump muoverà la sua bacchetta magica e i problemi spariranno, dalla fine delle guerre all'annessione del Canada alla sconfitta della Cina. In fondo, Trump è stato mandato dal cielo per risolvere tutti in nostri problemi. (e il fatto che da stasera sarà ufficialmente un pregiudicato, condannato per una trentina di capi d'accusa, non cambierà nulla perché la tipologia di politico che rappresenta non soffre di tali dettagli).

Quale tipologia di politico ha vinto? Lo sappiamo. Sarà un disastro - un disastro annunciato e "democratico".

Beh, il fascino può dare molta carica, ma non è un dono divino, questo no. Non mi spingerei a riporre troppa speranza in qualcosa di così terrestre e manipolabile. Ma io non sono un elettore medio, temo. 



IL MIO GATTO AL SOLE

 Due premesse. 

La prima riguarda il mio gatto. Il nostro gatto è un gatto di campagna, non sta in casa ma fuori a prendere topi e a scacciare altri gatti invasori. Adesso è nel suo momento di maggiore bellezza, pelo molto folto e lucidissimo a sfidare i rigori dell'inverno e quando ci sono quelle rare ma benedette giornate di sole che l'inverno padano può offrire, gli piace molto sistemarsi sulla finestra della cucina ed esporsi a tutto il sole possibile.


La seconda premessa è che ieri sera abbiamo accompagnato Gigi a Linate per il suo volo di ritorno a Parigi (Anna, Olivia ed Andrè erano già ripartiti subito dopo Natale) ed oggi, bellissima giornata di sole, ho trovato corrispondenza con l'atteggiamento del nostro gatto.


Al sole, quindi, ma gravata da un peso del vivere che mi piega e che non fa parte del mio usuale repertorio. Il mio vecchio cuore non si abitua mai.

Ma so che passerà presto.

sabato 4 gennaio 2025

COMMENTI DI FRONTE ALLA STUFA

 Sto leggendo il giornale accanto alla stufa (lo stufone) che scoppietta. Scende le scale in mutande e maglietta Roberto reduce dal pisolino pomeridiano  e si siede nella poltrona proprio accanto alla stufa con i mano i vestimenti per andare a lavorare in giardino - un piacevole attimo a scaldarsi. Gli leggo questo titolo di Repubblica, commentando”Ma Delrio si è bevuto il cervello?


Commento di Roberto mentre sta guardando metidabondo il fuoco: “Ma come, non abbiamo una Presidente del Consiglio cattolica? E un vicepremier e Ministro dei Trasporti super-cattolico? Altroché se i cattolici sono rappresentati nelle istituzioni!”.

Ammettiamolo, commento impeccabile.

giovedì 2 gennaio 2025

UNA STORIA QUASI NATALIZIA, COMUNQUE UN PO' MAGICA

 In questo periodo di storie edificanti, alcune anche molto belle, mi è venuta in mente, ricordata con Roberto, una storia carina. 

Riguarda i tacchini del Podere Stuard. 

Al Podere hanno avviato da anni un programma di salvataggio dall'estinzione e di propagazione in altri pollai di una razza locale di tacchini, i tacchini del Ducato di Parma e Piacenza. Belle bestie, per essere tacchini, corpulente ma non deformate dal peso come i tacchini di allevamento, che quasi non riescono a camminare. Non è facile però propagare la razza, perché particolarità di questi tacchini è il fatto che le uova in incubatrice o non si schiudono oppure nascono animali deformi che muoiono in poco tempo - l'esperimento, più volte tentato, aveva sempre dato lo stesso esito sconfortante. Ovviamente far nascere le uova in incubatrice è molto più semplice (esclude la “fastidiosa” variabilità dei processi naturali) che il sistema della cova e per tutti i pennuti di allevamento si usa sempre l'incubatrice - se si vede qualche gallina covare nelle aziende che aderiscono a Fattorie Didattiche è per farlo vedere ai bambini. Questi tacchini però nascono solo da covata, con un processo laborioso perché la tacchina depone un uovo al giorno e ci mette giorni per accumularne un po' e poi cova per circa quattro settimane.

E' successo lo scorso novembre che l'affettuoso addetto alla cura dei tacchini si accorge che una tacchina che stava covando (l'unica tacchina, perché novembre è un periodo di cova non propriamente usuale) da una ventina di giorni era stata uccisa probabilmente da una volpe.  Affranto, ha preso le sei uova in cova e le ha trasferite nell'incubatrice. Dopo alcuni giorni, le uova si sono schiuse dando alla luce sei piccoli tacchini perfettamente sani. Gli operatori del Podere, tra cui anche Roberto, sono trasecolati, arrivando a supporre un misterioso imprinting che le mamme-tacchine trasmettono ai nascituri, senza il quale i tacchini non sopravvivono. Senza basi scientifiche, ma a volte capita che la vita se ne freghi della scienza.

Oggi Roberto è andato ad un incontro a Polesine/Zibello dove ha incontrato un altro cultore della medesima razza di tacchini, che cerca di far sopravvivere e propagare in altri allevamenti. Questo signore applica un'altra strategia, essendosi anche lui accorto del medesimo problema: lui mette le uova che vuol fare schiudere in incubatrice per un paio di settimane e poi le fa covare per le ultime due settimane. I pulcini nascono e nascono sani. 

Ci vuole una mamma, insomma. Una storia quasi natalizia.



COMMENTI TERRA-TERRA

 (inizio con una premessa, non va mai bene, toglie leggerezza ed è troppo cerebrale, ma devo per statuire un punto. Avevo intitolato il post "Commenti irriverenti", ma ho cambiato il titolo. Riverenza ha un etimo molto vicino a rispetto e non vorrei confondere i livelli involontariamente. Rispetto è la parola dell'anno ed è una parola che mi piace molto - quello che non mi piace è l'abuso che ne viene fatto. Molto spesso rispetto compare nelle bocche degli intolleranti, principalmente intolleranti come politici o capi religiosi. Nessuno è esente dal peccato di non rispettare gli altri, ma le religioni, anche quelle che parlano sempre di rispetto, si caratterizzano per non avere rispetto sui temi che prendono di mira, diversi per ogni religione e per il periodo in cui ci si trova, ma sempre presente è il tema del controllo del corpo delle donne. Su cui il rispetto come minimo latita)

Desco familiare, sera, si ascolta il TG (la 7). Servizio sui commenti di fine anno del Papa "la guerra spezza il cuore delle mamme". Roberto ed io abbiamo commentato quasi in contemporanea.

io: "Veramente spezza il cuore dei figli, mandati a morire o ad uccidere"

Roberto: " Ma come, e i padri? spezza anche il cuore dei padri!"

Ci siamo guardati - e abbiamo fatto spallucce dell'insensata retorica affidata a chi una famiglia non l'ha mai avuta.