Un po' inaspettatamente, ricevo quasi subito una mail di risposta molto calorosa
Gentilissima Silvia, La ringraziamo moltissimo di aver condiviso la storia bellissima della sua nonna, così interessante anzi incredibile ! Credo che sarebbe molto prezioso per gli studenti avere altri dettagli che le chiederei di aggiungere, se le fa piacere e se li conosce .... per esempio dove è cresciuta la sua nonna, in città, a Parma, in campagna o in quale paese; se apparteneva ad una famiglia numerosa, se aveva fratelli o sorelle; dove si trovava la fornace, fino a che età ha lavorato, se ha mai avuto occasione di studiare, se ha potuto imparare a leggere e scrivere... e anche sulla sua vita successiva a cui brevemente accenna: se è stata poi casalinga o ha svolto altri lavori, se ha avuto delle conseguenze per il durissimo lavoro svolto da bambina, se vi parlava di quell'esperienza e cosa vi diceva e infine anche come è stata un riferimento per voi ...
Questa storia ha suscitato la mia curiosità e credo potrebbe suscitare anche quella degli studenti ... ma davvero, solo se le farà piacere aggiungere altri dettagli, tutti quelli che desidera...
E' molto bella questa storia di affetti così forti che riparano tutto, anche la fortissima fatica fisica e che viene poi tramandato da padre in figlia e poi ancora alla figlia e ai nipoti...
Posso infine chiederle come è venuta a conoscenza dell’iniziativa ?
Ringraziandola per la sua gentilezza, colgo l'occasione per inviarle i miei più cordiali saluti
Paola Greci
curatrice del progetto La Storia Siamo Noi
per il Comune e Adespa
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così, ho risposto quasi subito:
gentile signora, la ringrazio moltissimo per l'attenzione che ha voluto dare alla piccola storia che le ho mandato. Ovviamente non ho aggiunto particolari per stare dentro le 500 parole prescritte. ho cercato di rispondere alle sue domande (vedi STORIA DI DINA - QUALCHE RISPOSTA ALLE DOMANDE) e ho aggiunto anche un piccolo episodio (AL SOJ) divertente, per me è solo un piacere e un onore parlare della mia nonna e quindi sono sempre disponibile a chiacchierarne o scriverne. Ho saputo dell'iniziativa leggendo la Gazzetta di Parma e mi è timidamente venuto in mente di poter partecipare.
Ci tenevo però solo a sottolineare una cosa: la nonna non ha mai sostenuto che la sua fosse una storia eccezionale, anzi viveva con grande convinzione la sua come la storia ordinaria di tanti della sua generazione, una storia in cui le lacrime e la stanchezza si sono mescolate a gioie e speranze.
grazie ancora dell'attenzione e cordiali saluti
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STORIA DI DINA – QUALCHE RISPOSTA ALLE DOMANDE
- Dina è nata a Cortile San Martino, frazione di Parma. L’ambiente era povero ma non misero, operaio e socialista. Vi ha vissuto fino a quando non si è sposata (nel 1933 o giù di lì)
- la sua famiglia era composta da un fratello più grande, Dino, e da una sorella poco più piccola. Maria.. Poi il padre (Secondo) è andato in guerra e al suo ritorno, con un gap di 7-8 anni, sono nati Mario e Ferdinando (notare: Dino, Dina, Maria e Mario, Ferdinando – la fantasia non era molto in voga, nel periodo, pare...)
- la nonna, come tutti i bambini di quell’ambiente sociale in quel periodo, ha frequentato la scuola fino
alla terza elementare, ma per tutta la vita ha saputo leggere bene e scrivere per quel poco che le era
richiesto scrivere.
- la domanda veramente interessante è se ha continuato a lavorare tutta la vita perché nasconde un motivo di vero stupore per me che, di altra epoca, ho sempre considerato il lavorare fuori casa un valore grande di emancipazione a autonomia delle donne.
La nonna ha continuato a lavorare in fornace alcuni anni, poi, ormai adolescente, ha trovato quello che ha sempre definito il lavoro che le è piaciuto di più nella vita: è andata a lavorare come operaia nella fabbrica di biciclette Garlatti, aperta da poco. Il lavoro le piaceva molto per due motivi fondamentali più uno: era un lavoro “pulito” in cui le operaie non si sporcavano ed erano anzi abbellite da un grazioso grembiule da lavoro ed inoltre parte del salario era la fornitura di una bicicletta a prezzo scontato e pagata mese dopo mese nel salario. Lei non lo ha mai detto, ma credo che un valore aggiunto fosse che era un lavoro da donne, con molte giovani donne che lavoravano insieme.
Purtroppo questo mitico lavoro lo ha dovuto lasciare molto presto perché quando aveva 17-18 anni è
morto l’amatissimo papà per il cedimento dei reni già provati dall’esperienza della guerra e
definitivamente rovinati dai picchiatori fascisti e dall’olio di ricino. Il padre era a dire della nonna un
importante esponente del partito socialista locale ed era molto divertente per noi quando lei raccontava che quando la loro casa veniva periodicamente visitata dai fascisti ognuno dei figli aveva un compito: il fratello più grande aveva il compito di nascondere il fucile da caccia nelle travi della soffitta e la nonna invece si faceva carico di andare a nascondere nei campi, in apposito nascondiglio, la cassettina che conteneva gli attestati, i gagliardetti e le tessere del partito socialista di suo padre.
Morto il padre, il padrone della fabbrica che lo stimava molto - era il suo capo-operaio - aveva offerto la gestione di una osteria di sua proprietà alla madre e alla famiglia per il loro sostentamento, quindi la nonna aveva dovuto lasciare Garlatti per aiutare la famiglia in osteria.
E qui viene fuori per la prima volta una caratteristica finora in ombra. La nonna era appassionata e
particolarmente versata in tutte le arti muliebri: cucinare, cucire, accudire casa. In realtà, quello che a noi donne di altra epoca appare come una conquista, lavorare fuori casa, era per lei una punizione, perché lei desiderava stare a casa, formare una famiglia, accudire persone, cucinare. Nell’osteria aveva messo a frutto almeno una di queste doti: ci raccontava che venivano da tutta Parma per mangiare la sua trippa (in effetti, noi che la mangiavamo venti/trenta anni dopo, sapevamo che era cibo degli dei).
Dopo alcuni anni ha incontrato Celso, mio nonno, e si è sposata, andando ad infilarsi in una situazione
complessa, perché il nonno (terzo di quattro fratelli) era da anni orfano di madre, morta nel dare alla luce l’ultimo fratello, Ermes (poi disperso in Russia durante la seconda guerra mondiale) che all’epoca del matrimonio era ancora un bambino. Quindi la nonna, sposandosi, aveva finalmente trovato quella grande famiglia da accudire e sfornava pane, pasta, delizie di ogni genere e si occupava di fare della casa di cinque maschi quel nido che non era più da lungo tempo. Lei diceva “Tutti mi portavano in palmo di mano”. Erano tutti (tranne uno) falegnami impiegati nella bottega del padre, ma ad un certo punto, dopo un paio d’anni, il nonno si è trovato un altro lavoro (contro il parere del padre): daziere a Fontevivo. Nel frattempo era nata (con parto difficile che ha impedito successive gravidanze) mia madre.
Trasferitisi a Fontevivo, il nonno ha insistito perché lei lavorasse con lui: il suo lavoro di daziere lo
portava spesso fuori dall’ufficio e la nonna (inquadrata ad un livello basso, ma impiegatizio dal Comune) teneva aperto l’ufficio e raccoglieva le domande e i pagamenti. Lei preferiva di molto cucinare e accudire la casa, ma ha fatto questo lavoro fino alla pensione (nel file che allego “Al soj” descrivo un episodio divertente che dà l’idea delle sue priorità). Nel frattempo si sono sposati la mamma e il papà e sono nata io.
Alle soglie della pensione, quel nonno molto intelligente e lungimirante (aveva costretto, fortemente
supportato dalla nonna, mia madre a studiare e a diplomarsi maestra, nonostante lei non avesse per niente voglia di studiare) decise che era ora di andare a stare a Parma, perché mia madre e mio padre lavoravano entrambi lì, io avrei trovato scuole migliori, la nonna era in pensione e lui ci sarebbe andato tra poco.
Acquistò quindi una grande casa a Parma, nel quartiere Montanara che cominciava allora ad espandersi. Ci trasferimmo, ma dopo poco più di un anno il nonno morì, rompendo quella che era evidentemente una grande storia d’amore tra lui e la nonna: la nonna lo accudiva in ogni modo e gli aveva dato una casa e una famiglia e lui la portava letteralmente in palmo di mano.
La nonna accusò molto il colpo (io avevo all’epoca 9 anni), ma si riprese quando nacque mio fratello,
dodici anni meno di me. A noi ha dedicato l’ultima parte della sua vita.
- perché era un punto di riferimento? Perché era una donna minuta, elegante, non molto loquace,
abbastanza autoritaria, ma salda e rigorosa. Ogni lavoro doveva essere fatto bene, con cura, con dedizione, ricordando sempre la grande fortuna che avevamo di non dovere lavorare in fornace, di non vivere in guerra, di non avere picchiatori fascisti per casa, di potere (e dovere) studiare. Per questo ci raccontava la sua vita, senza recriminazioni, senza nostalgie, ma con un certo senso di tenerezza e divertimento per come tutto era cambiato.
E intanto cucinava, sfogliava riviste di cucina, cucinava, cucinava ... e ci amava senza se e senza ma, per quello che eravamo (senza smettere di bacchettarci, sia inteso) ed era grata perché io ero brava a scuola perché avevo scelto un uomo che lei approvava, perché mio fratello era un tenerone e perché la fornace era solo un ricordo, e nemmeno brutto.
E’ morta a 80 anni ed ha potuto conoscere anche la sua prima nipotina.