Di recente, ho passato una domenica pomeriggio intrappolata in un cinema per 3 ore e mezzo (4 ore compresi gli insopportabili ritardi e pubblicità dei moderni Cinecity, dove io non vado mai se non perché quel film lo proiettano solo lì) a vedere la seconda parte di Dune. Sono andata di malavoglia perché non mi era piaciuta nemmeno la prima parte, ma debolmente convinta da recensioni che esaltavano la maggiore qualità della seconda puntata e soprattutto in onore di Frank Herbert e dei sei libri di Dune che ho letto, un capolavoro del loro genere e anche della letteratura in generale.
Ecco, mi sono trovata intrappolata in ore di guerra, battaglie, pose da supereroi (impagabile per stereotipo e stupidità la posa di Chamelet quando sale su una duna per dare il via all'attacco con le gambe aperte, la spada in pugno e in controluce), occhi blu. Una pena, un tormento per me, mentre a molti altri (compreso mio figlio e la sua morosa) è piaciuto. E va bene, ci sta, a parte l'indignazione per un kolossal senza motivo e per libri bellissimi sprecati e avviliti. In dialetto parmigiano c'è una espressione apposta per queste situazioni "'na palèda" (più o meno un colpo di pala da giardino tirato nelle reni).
L'evento mi ha consentito però di riflettere e capire il tipo di cinema che mi piace. Mi piace il cinema che accenna e non dichiara, che racconta, intensamente racconta ma non stereotipa, il cinema capace di poesia, il cinema capace di dubbio, di riflessione, di lentezza, di contraddizione. In sintesi, mi piace tutto il cinema non hollywoodiano. Degli ultimi film che ho visto, la scena che mi è rimasta più nel cuore è la scena finale di Perfect Days, con quel sorriso appena accennato del protagonista. Ma anche il pub di Ken Loach (The Old Oak) con la sua sala polverosa che riprende vita, molta vita, o il senso di intensa nostalgia delle strade nel bosco non intraprese di Past lives, o lo smarrimento negli occhi del personaggio del coglione di Leo di Caprio in Killers of the flower moon di Scorsese o il brivido gelido di alcune scene di Anatomia di una caduta o gli occhi limpidi e intensi del ragazzo migrante di Io Capitano. E tante altre scene ancora... in cui il cuore e la mente partecipano. E ce ne saranno tante ancora...
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