lunedì 25 marzo 2024

I’LL STILL BE LOVING YOU


 

COSA HO IMPARATO

 Sono stata parte attiva (ho cucinato montagne di dolci, dando sfogo alla mia indole di pasticcera mancata) nell'organizzazione di un incontro al Podere Stuard con il Premio Nobel Riccardo Valentini (Nobel per la Pace 2007 per le ricerche condotte sul cambiamento climatico con il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici), amico di vecchia data di Roberto.



L'incontro è stato piacevole da molti punti di vista, ma ho anche imparato cose.  La più inaspettata riguarda l'allevamento animale. E' utile capire quali nozioni guidavano i miei (pochi) pensieri.

Innanzi tutto, ho ben presente che il problema è complesso e multisfaccettato. Grosso modo, ci sono problemi di impatto ambientale e di inquinamento.

L'impatto ambientale riguarda il grande dispendio di risorse necessario per la produzione di carne, in particolare di carne bovina. Il calcolo medio del consumo di acqua per la produzione di un kg di carne bovina è stato fissato in 15.000 litri di acqua (calcolo medio mondiale: si stima che in Italia si attesti sul 25% in meno). Quando ho letto questo dato sono letteralmente sobbalzata e ho pensato che era impossibile, che non poteva essere così, forse c'erano uno o due zeri in più. Invece è davvero così, perché nel consumo idrico si conteggia anche l'acqua necessaria per la produzione dei foraggi (circa l'87% dell'acqua calcolata). Per dare un termine di paragone un kg di carne di pollo necessita di 3.500 litri di acqua, 1 kg di riso 1.900, un kg di fagioli 2.000 litri di acqua (e il dato eclatante è che un kg di carne bovina contiene circa 260 gr. di proteine, ma un kg di fagioli ne contiene 210). Nel considerare l'impatto ambientale, inoltre, bisogna tenere in conto la necessità di disboscare e tenere a coltivazione per le foraggere amplissime parti delle terre disponibili, con ovviamente un effetto di ulteriore carico ambientale.

C'è poi la parte di inquinamento. Gli allevamenti intensivi, concentrando in poco spazio moltissimi animali, hanno costantemente bisogno di massicci apporti di medicinali, in particolare antibiotici, per mantenere sani gli animali stessi, ed è stato verificato e misurato l'effetto inquinamento da antibiotici nelle falde acquifere. Inoltre, gli allevamenti animali sono responsabili del 17% della produzione di ammoniaca in Italia (il 37% deriva dagli impianti di riscaldamento e solo il 14% dai trasporti e il 10% dall'industria). Il dato italiano è molto aggravato per la Pianura Padana, dato che il 90% dei grandi allevamenti italiani è situato proprio in Pianura Padana.  E l'ammoniaca, combinandosi con altri composti presenti nell'atmosfera, produce le famosi polveri sottili e tra queste le più nocive. Inoltre, dalle deiezioni (i liquami) prodotte in quantità elevata in particolare dai bovini, deriva la metà dei gas più inquinanti presenti in atmosfera, cioè metano e protossido di azoto. Il primo provoca un riscaldamento per molecola 28 volte superiore all'anidride carbonica, mentre il secondo un riscaldamento 265 volte più intenso. Il metano viene prodotto per il 18% dalla gestione dei liquami (l'urea produce ammoniaca che si deposita nello spandimento dei liquami in campo e produce protossido di azoto) e per l'80% dalle digestioni dei ruminanti (e qui la prima cosa che ho scoperto, cioè che non sono le scoregge delle mucche come ho letto nei giornali, sono i RUTTI delle mucche perché il metano si sviluppa dal processo digestivo).  Altri effetti inquinanti minori derivano come tutte le merci dal trasporto su gomma, così praticato nel nostro disorganizzato paese.

Durante l'incontro con Valentini ho appreso con piacere dalle bravissime relatrici presenti, la prima Presidente di Granlatte (grande cooperativa che riunisce oltre 600 aziende agricole produttrici di latte) e la seconda  Corporate Social Responsibility Manager di Granarolo, braccio industriale di Granlatte, tutta una serie di iniziative e azioni volte ad aumentare la sostenibilità degli allevamenti su larga scala, in particolare dal punto di vista della gestione delle deiezioni, utilizzate per la produzione di biometano nei digestori aziendali o comunitari, quindi senza più le azioni inquinanti dello spargimento, ma anzi producendo energia rinnovabile non inquinante utilizzata direttamente in azienda. Parlando con Roberto a seguito dell'incontro ho poi appreso che sono state anche avviate sperimentazioni per la gestione del metano prodotto dai rutti delle mucche in stalla, con un sistema di raccolta delle esalazioni che le neutralizza. Inoltre, le relatrici hanno sottolineato un aspetto spesso trascurato dell'utilità del letame per la conservazione e il risanamento del suolo fertile. Hanno sottolineato come studi condotti da diverse università che comparano la fertilità e lo stato di salute del suolo tra i terreni dell'Emilia (forte presenza di allevamenti) e la Romagna (assenza di allevamenti) mostrano dati estremamente favorevoli per i terreni emiliani. Sono stata contenta di imparare tutto questo e di saperlo, anche se le stesse relatrici hanno sottolineato l'enorme difficoltà che incontrano a convincere gli imprenditori al cambiamento e quindi al momento solo una parte degli associati adottano queste linee di maggiore sostenibilità (anche economica) per le loro aziende. E anche se permangono gli effetti di impatto ambientale esposti sopra.

Tutto ciò ha ulteriormente confermato la necessaria linea di condotta privata adottata dalla mia famiglia da anni. Consumiamo in famiglia pochissima carne, privilegiando quella di pollo e in second'ordine di suino (meno inquinanti) o autoprodotte (abbiamo il pollaio) o da piccoli allevamenti a km zero (la rara carne bovina che mangiamo viene dalla stalla del vicino di casa, piccolo allevamento ben organizzato). Non siamo mai diventati completamente vegetariani, non è necessario, non rinneghiamo un'infanzia con il prosciutto e il salame e il brodo di carne con il lesso la domenica, semplicemente limitiamo il prosciutto a un paio di volte al mese e il brodo di carne e il lesso lo mangiamo solo a Natale e a Pasqua. Non siamo eroi, non siamo adamantinamente certi delle nostre certezze come molta gente (alcuni, da una parte e dall'altra, sono intervenuti anche durante l'incontro), cerchiamo di fare, in modo imperfetto, la nostra parte. La nostra piccolissima, minuscola parte da piccoli invisibili puntini di un mondo enorme.

mercoledì 20 marzo 2024

DI CINEMA

 Di recente, ho passato una domenica pomeriggio intrappolata in un cinema per 3 ore e mezzo (4 ore compresi gli insopportabili ritardi e pubblicità dei moderni Cinecity, dove io non vado mai se non perché quel film lo proiettano solo lì) a vedere la seconda parte di Dune. Sono andata di malavoglia perché non mi era piaciuta nemmeno la prima parte, ma debolmente convinta da recensioni che esaltavano la maggiore qualità della seconda puntata e soprattutto in onore di Frank Herbert e dei sei libri di Dune che ho letto, un capolavoro del loro genere e anche della letteratura in generale.

Ecco, mi sono trovata intrappolata in ore di guerra, battaglie, pose da supereroi (impagabile per stereotipo e stupidità la posa di Chamelet quando sale su una duna per dare il via all'attacco con le gambe aperte, la spada in pugno e in controluce), occhi blu. Una pena, un tormento per me, mentre a molti altri (compreso mio figlio e la sua morosa) è piaciuto. E va bene, ci sta, a parte l'indignazione per un kolossal senza motivo e per libri bellissimi sprecati e avviliti. In dialetto parmigiano c'è una espressione apposta per queste situazioni "'na palèda" (più o meno un colpo di pala da giardino tirato nelle reni).

L'evento mi ha consentito però di riflettere e capire il tipo di cinema che mi piace. Mi piace il cinema che accenna e non dichiara, che racconta, intensamente racconta ma non stereotipa, il cinema capace di poesia, il cinema capace di dubbio, di riflessione, di lentezza, di contraddizione. In sintesi, mi piace tutto il cinema non hollywoodiano. Degli ultimi film che ho visto, la scena che mi è rimasta più nel cuore è la scena finale di Perfect Days, con quel sorriso appena accennato del protagonista. Ma anche il pub di Ken Loach (The Old Oak) con la sua sala polverosa che riprende vita, molta vita, o il senso di intensa nostalgia delle strade nel bosco non intraprese di Past lives, o lo smarrimento negli occhi del personaggio del coglione di Leo di Caprio in Killers of the flower moon di Scorsese o il brivido gelido di alcune scene di Anatomia di una caduta o gli occhi limpidi e intensi del ragazzo migrante di Io Capitano. E tante altre scene ancora... in cui il cuore e la mente partecipano. E ce ne saranno tante ancora...

lunedì 18 marzo 2024

NESSUNO COMPRENDE L’ALTRO

 

Siamo, come ha detto il poeta, isole nel mare della vita; tra noi si inserisce il mare che ci limita e separa. Per quanto una persona si sforzi di sapere chi sia l’altra persona, non riuscirà a sapere niente se non quello che la parola dice – ombra informe sul suolo della sua possibilità di intendere. 


Fernando Pessoa, da Il libro dell'inquietudine - A cura di Antonio Tabucchi

martedì 12 marzo 2024

IL DIRITTO AL BOH

 

Ho passato la vita a esprimere opinioni (spero non a sputare sentenze), e mi sorprende imbattermi, ormai con una certa frequenza, in notizie, situazioni, personaggi che non mi dicono niente; e a proposito dei quali, dunque, non riesco a dire niente se non che, di loro, non ho niente da dire. Non che sia obbligatorio avere un’opinione su tutto e su tutti; e anzi, esiste un diritto alla distrazione, alla vacanza etico-politica. Lo chiamerei diritto al “boh!”. Non tutto può o deve coinvolgerci. Però, ecco: se tutti parlano di una cosa, e tu provi a toccarla, o a masticarla, e la tua mano trova solo il vuoto, e sotto i denti non senti nessuna consistenza, nessun sapore, siccome vivi in mezzo agli altri ti senti escluso. E l’uomo è un animale sociale – anche quando fa finta di non esserlo. La solitudine vale e arricchisce solo se sai che, quando ne hai voglia, puoi scendere in strada, confonderti tra la folla e sentirtene parte. Io vivo felice su un cocuzzolo in mezzo ai boschi solo perché so bene che, ogni volta che mi gira, posso andare a Milano o a Roma o a Parigi o dovunque e perdermi nella mischia.

Un caso di scuola, per me, è quello di Chiara Ferragni. La lunga intervista da Fazio ha confermato questa mia totale disconnessione con un fenomeno di massa comunque rilevante (quell’intervista ha fatto registrare il picco assoluto di ascolti di quel programma: più del Papa, più di Grillo, più di qualunque star americana). Alla voce “Ferragni” faccio seguire questa nota. Non sono né pro né contro. Non sono innocentista né colpevolista. Non mi risulta simpatica, nemmeno antipatica. Non dice una sola parola che mi coinvolga, non una sola che mi irriti. Le sue vicende giudiziarie mi sembrano decisamente ordinarie in un mondo, quello della comunicazione, nel quale la commistione tra pubblicità e non, la trasparenza delle intenzioni di chi comunica, anche nei media classici e pre-web, è molto spesso un principio disatteso, o addirittura cancellato. Con qualche pregevole eccezione che qui (proprio qui) non dico perché non sarebbe elegante.

È un’ovvietà aggiungere che dietro il personaggio Ferragni c’è sicuramente un essere umano e c’è una vita vera: ma io non sono in grado di coglierne neppure il lontano riverbero, non sento l’odore, il sapore, il suono di quella persona, come se appartenesse a una dimensione che mi sfugge totalmente. Anche se pronuncia solo parole comprensibili (margine di ambiguità o di sottinteso o di allusione o di sottotesto, zero: tutto solo assertivo e semplice, “sto bene”, “sto male”, “la mia vita privata”, “il mio lavoro”), quello che dice non lo capisco. Non ricordo quale canzone (forse di Riondino) diceva: sento la voce e non capisco le parole. Qui sento la voce, capisco anche le parole, ma non capisco che cosa vogliono significare.

Potrei chiudere la faccenda dicendo, molto banalmente, che sto invecchiando, i miei parametri e le mie esperienze sono quasi tutti novecenteschi. Mi mancano alcuni strumenti di lettura del nuovo mondo. Ciò che Ferragni dice, nel bene e nel male, a milioni di persone, non lo sta dicendo a me. Mi rimane però, in fondo al cervello, un pensiero strisciante, che fatico a respingere anche se attivo i miei sensori anti-età (ovvero: quelli che mi mettono in guardia dai miei quasi settant’anni). Il pensiero è che l’immaginario di massa sia ormai addestrato a gradire, anzi a preferire, proprio questo tipo di prodotti “neutri”, poco significativi e poco impegnativi, confortanti nella loro mancanza di spine, nella loro gradevole familiarità. Esattamente come certi cibi da supermercato che non fanno male, sono ben confezionati, hanno un prezzo molto accessibile, riempiono i carrelli, ma il giorno dopo che li hai mangiati non è che ne parli con qualcuno, non è che ne discuti con gli amici. Puoi dire: “ho assaggiato un formaggio di malga strabiliante, puzzolente il giusto”, mentre non ti sfiora l’idea che il petto di pollo in busta, o il mais in scatola, siano esperienze da raccontare. Sai solo che tutti lo mangiano, quel cibo, e questo è molto rassicurante, perché il grande numero è l’alibi più formidabile mai escogitato: se lo fanno tutti, una ragione ci sarà. Anzi: la ragione è proprio questa. Lo fanno tutti, evitando a ciascuno di noi la fatica di scegliere, volta per volta, che cosa ci piace e che cosa no, che cosa ci serve e che cosa no.
Si seguono i grandi flussi di consumo, il grosso dei cibi e dei vestiti che si comprano ha il marchio impareggiabile della normalità, si clicca “Ferragni” perché si è letto da qualche parte che tutti cliccano Ferragni. Chi ha indovinato quel flusso pigro e sereno della popolarità diventa ricco e famoso, e non mi sento di definirlo un demerito. Neanche un merito, però.

(Michele Serra, Il Post, OK Boomer, 11 marzo 2024)

sabato 9 marzo 2024

TARDA SERA DELL’8 marzo

 Sono sfinita da questa giornata di auguri, frasi edificanti, buoni propositi e mimose. E non ho potuto nemmeno interpretarla come una giornata di rabbia, lotta e impegno, dopo avere preso atto della desolante “piattaforma” (che parola desueta, da tempo non la sento, ma si diceva così) elaborata da Non una di meno per lo sciopero (uno sciopero, non una manifestazione) indetto per oggi. È il primo sciopero di cui abbia conoscenza indetto contro una “mentalità “ e mi sono subito chiesta cosa significhi scioperare contro una mentalità. Manifestare mi è chiaro, ma scioperare… niente, devo essere troppo vecchia per capire. Inoltre, ho cercato nella piattaforma, oltre ai sacrosanti temi propri del movimento delle donne occidentali la vicinanza a tutte le sorelle che nel mondo stanno peggio di noi: le eroiche iraniane, le vessate afghane, le donne nigeriane, yazide, quelle costrette al velo, alle mutilazioni genitali, ad una posizione da schiave nella società, quelle oggetto di stupro come arma di guerra… niente, a parte il sacrosanto (ma molto generico e radicale)  cessate il fuoco a Gaza. Un documento penoso e ridicolo, cosa è diventato il movimento femminista italiano? Dove ha perso  il suo senso e la sua consistenza per finire prigioniero e ideologizzato, cieco - e vedeva invece lontano. 

Insomma, mi è stata impedita anche la dimensione della lotta, ma la rabbia no, quella è aumentata. E la melassa mi ha provocato un principio di nausea, per lo più. E molte parti della melassa mi hanno fortemente infastidita, per esempio la (benintenzionata) frase di un compagno di classe del liceo su Whatsapp (ebbene sì, dopo 47 anni abbiamo una chat molto allargata e attiva della classe) “buon 8 marzo a tutte le amiche in chat.W le donne il meglio della nostra vita” a cui avrei voluto rispondere che non esistiamo solo per fornire il meglio della loro vita agli uomini.

Poi improvvisamente ho capito. Non c’è niente da fare, è il leit motiv della mia vita. Purtroppo non potrò mai essere la bambina dai capelli rossi, ma sono condannata a essere Lucy.








mercoledì 6 marzo 2024

LUXURIES



• Science, Technology, Medicine, Innovation, these are the necessity of human life. 


• Literature, Philosophy, Music, Romance these make us human.


● Dead Poets Society 🎬 🎞 🎥

WOMEN

 Women have another option. They can aspire to be wise, not merely nice; to be competent, not merely helpful; to be strong, not merely graceful; to be ambitious for themselves, not merely for themselves in relation to men and children. They can let themselves age naturally and without embarrassment, actively protesting and disobeying the conventions that stem from this society’s double standard about aging. Instead of being girls, girls as long as possible, who then age humiliatingly into middle-aged women, they can become women much earlier — and remain active adults, enjoying the long, erotic career of which women are capable, far longer. Women should allow their faces to show the lives they have lived. Women should tell the truth. 

Susan Sontag, Against Interpretation