La premessa è che ho un vecchio amico dei tempi dell’università con cui sono rimasta in amichevole contatto, con alti e bassi, per tutti questi anni, contatto rafforzato in questi ultimi anni dalla pandemia e dal fatto che il nostro tempo libero è enormemente aumentato. L’amico Michele è di Udine, anzi tenacemente friulano, avendo lavorato molto sul territorio cui appartiene.
Nel tradizionale scambio di pacchetti regalo per Natale io gli ho mandato una delle mie spongate (sembra che a loro piaccia molto) e altre leccornie home made e lui mi ha mandato una bella scatola con due gubane (dolce delle grandi occasioni, in Friuli, tra cui anche il Natale) e un sacchettino di strucchi (altro dolce locale, piccoli morsels ripieni e fritti). Gli strucchi sono finiti presto, nel sacchettino tutti in vari momenti hanno pescato, passandoci accanto.
Ieri sera alla fine della cena ho detto: “Adesso apriamo la gubana” e non ho avuto gli entusiasmi alle stelle del resto della famiglia (“Ma cos’è?”, “Ma è enorme”, “Ma addirittura due?”) e ho scelto autonomamente (dai buzzurri non si può ottenere aiuto) una delle due, alle noci, ricetta più tradizionale. Al taglio, gli entusiasmi della truppa si sono un po’ alzati perché il dolce è bello, soffice, rotondo e stratificato, si vede subito che è buono. Poi ne abbiamo mangiato generose fette ed è piaciuto un sacco a tutti. L’unica voce semi critica è stata la mia di totale astemia “Ma voi non sentite il sapore di alcool?” E gli altri “Sì, sì, un sacco, una bontà…” (ho controllato, contiene grappa, messa prima della cottura, ovviamente, sennò non sarei riuscita a mangiarla).
Stamattina secondo round a colazione. Tutto bene, dunque, ma il suggello finale, come sempre, l’ha dato il Padre (Roberto) che, mangiando la gubana, ha sentenziato “Certo che i friulani senza alcool non riescono a fare niente”.
Sipario