lunedì 29 gennaio 2018

IN MEMORIA DI URSULA K. LE GUIN

È morta,a quasi 89 anni, Ursula K. Le Guin, scrittrice di fantascienza, femminista e anarchica. Come alcuni amici sanno, ho avuto un periodo di intenso innamoramento per la fantascienza (attorno alla seconda metà degli anni 80) in cui ho voracemente ed entusiasticamente (e, è ovvio, metodicamente) divorato i migliori autori di questa branca letteraria ( poi ho lasciato di colpo, all’iniziarsi di un’alta fase della mia vita). Ursula Le Guin era uno dei miei autori preferiti e, per onorarla, ho riletto il suo libro che mi ricordavo mi fosse maggiormente piaciuto, La mano sinistra delle tenebre. 
Questo romanzo è un capolavoro.
La trama, brevemente è la seguente: Genly Ai, viene inviato dall’Ecumene, una confederazione di pianeti, sul pianeta Gethen, chiamato dagli umani Winter, per il freddo e i giganteschi ghiacciai che lo ricoprono. Il suo compito è convincere le nazioni del pianeta ad unirsi alla confederazione. Il reciproco scambio tecnologico e culturale porterà benefici sia alla confederazione che al pianeta Gethen. La missione di Ai ha quindi uno scopo pacifico. 
Il problema per Ai, per cui non è assolutamente preparato, è entrare in contatto e comprendere le culture delle società del pianeta. I getheniani hanno origini umane, ma nei millenni sono diventati ermafroditi: lo stesso individuo, seguendo un particolare ciclo biologico, assume ciclicamente caratteri sessuali maschili o femminili. Può in una certa fase dell’anno essere un maschio ed in un’altra femmina. Questa caratteristica segna profondamente ogni aspetto della società: la politica, i valori sociali, i rituali di interazione e corteggiamento, lo sviluppo economico e tecnologico. La religione.
Poiché Ai vede il mondo come un individuo maschio, non riesce assolutamente a comprendere come i getheniani percepiscano quello stesso mondo. Nel cercare di inserire i getheniani nei propri schemi culturali relativi ai ruoli e ai generi, si trova completamente incapace a stabilire una comunicazione sensata che favorisca la sua missione. Naturalmente lo stesso problema lo hanno i getheniani nei suoi confronti. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che le due nazioni principali del pianeta, Karhide e Orgoreyn, hanno strutture politiche e sociali molto particolari, rette da codici culturali che sono totalmente alieni per l’ambasciatore terrestre. Karhide è una sorta di monarchia semimedievale, mentre Orgoreyn assomiglia molto ad uno stato simil sovietico. E per un umano proveniente da una confederazione planetaria che ormai da secoli si è lasciata alle spalle queste distinzioni e tipi di governi, la situazione è assolutamente complicata se non impossibile. 
Il romanzo sviluppa fondamentalmente questo tema: sebbene ogni parte parli lo stesso linguaggio, i significati delle parole e della comunicazione in senso lato sono così differenti, che il compito principale sarà quello di scoprire, comprendere e fare propria la relazione esistente tra il linguaggio e la cultura che lo esprime. Un compito di portata fenomenale, che richiede un cambiamento radicale nelle proprie percezioni, ed un decentramento dal proprio punto di vista culturale. Ed è un compito cruciale, perché non comprendere il significato culturale dei linguaggi di quelle società non solo potrebbe mettere a rischio la missione, ma anche la vita stessa di Genly Ai.
Alla base del romanzo vi è un messaggio culturale che vede la necessaria complementarietà degli opposti, l’impossibilità di separare la luce dalle tenebre. Il titolo del romanzo è una citazione di una poesia della stessa Le Guin e che appare ad un certo punto della storia, che fa riferimento alla necessità dell’integrazione delle opposizioni. 
 Interessante  per esempio è l’idea di perversione : in una società androgina, in cui lo spostamento verso una fase maschile o femminile nasce da un reciproco incontro, una sorta di danza che definisce in modo temporaneo verso quale polarità sessuale si dirigerà il ciclo di ciascun individuo, perverso è colui che mantiene una propria polarità sessuale, imponendo all’altro - per una sorta di costrizione biologica/psicologica - un polo complementare, senza entrare in una danza a reciproco scambio. Un riferimento esplicito alla necessità dello scambio ciclico tra luce e tenebre: perverso è colui che utilizza una logica esclusiva o/o, che separa e nega la necessità di entrambi i poli. 
Così il tema dell’Altro viene continuamente richiamato in tutto il romanzo. Ai si sente alieno e percepisce come alieni gli abitanti del pianeta. Spesso non sa di chi dovrebbe fidarsi e da chi dovrebbe guardarsi. Usato come mezzo per fini politici di alcuni gruppi governativi si troverà in una situazione di estremo pericolo. Sarà solo nell’incontro con l’Altro, se avrà compreso i codici culturali ed emotivi del pianeta, cambiando così contemporaneamente se stesso e l’altro che riuscirà – forse – a giungere ad un punto fondamentale della sua missione. 
La riflessione che ho trovato maggiormente interessante, però, tra le tante (molte di stretta attualità) è quella sull’essere “interi”. Gli ermafroditi di Gethen si sentono ed agiscono da INTERI, non c’è dualismo in loro, sono maschi e femmine contemporaneamente e questo li porta a calma e sicurezza personale. Sarebbe bello essere interi....

Buon viaggio nelle galassie, Ursula.

domenica 28 gennaio 2018

LA MEMORIA

UNA GIORNATA DELLA MEMORIA CHE NON SIA SOLO PASSATO

Proviamo a distinguere tre versioni possibili della memoria. La prima è quella della memoria-archivio. Essa appare come un contenitore dove alloggiano i nostri ricordi.
È la memoria-baule, la memoria-soffitta o, più sofisticatamente, la memoria come notes magico cerebrale che trattiene le tracce del nostro passato. Questa memoria è archeologica: definisce il luogo dove il passato si è depositato, non è più tra noi, è diventato nulla, si è dissolto, può esistere solo nell'immagine vivida o illanguidita del ricordo. Lo schema di questa memoria è quello topologicamente ingenuo di un contenitore (memoria) e del suo contenuto (ricordi). Poi Freud ha mostrato che la memoria non trattiene solo cose già trascorse, passate, morte, ma cose vive che insistono nell'affacciarsi prepotentemente alla nostra mente. Si tratta della seconda versione della memoria: la memoria spettrale. Il suo modello è quello del trauma: quello che è accaduto nel passato non cessa di accadere, ma insegue la vita, l'accerchia, l'incalza, la tormenta. La memoria spettrale è costituita da un passato che non passa. È l'esperienza che affligge i soggetti o i popoli che hanno vissuto esperienze drammatiche, impossibili da dimenticare. Il passato è come uno spettro, morto e vivo insieme. La terza versione della memoria è forse la più importante e la più paradossale. È la memoria come attributo del futuro. È l'invito che Nietzsche ci rivolge: la memoria non deve ridursi a essere il culto passivo del passato, non genera solo venerazione o orrore, busti e monumenti. Dovremmo invece imparare ad usarla per creare attivamente il nostro avvenire.
Il che significa farsi responsabili della memoria. La memoria non è un contenitore di ricordi, né il ritorno degli spettri provenienti dal passato, ma si costituisce solo a partire dal futuro. Il passato non è alle nostre spalle come un peso inerte o come un incubo che non riusciamo a cancellare, ma può assumere forme e significati diversi a partire da come viene ripreso attivamente dalla vita mentre essa si sta muovendo verso il proprio avvenire. La memoria non deve semplicemente conservare quello che è già stato, ma deve servire la generatività della vita. Non deve restare impigliata in una paralisi melanconica che non riesce a non guardare se non all'indietro, ma sapersi gettare in un movimento proteso in avanti. Custodire questa memoria - la memoria come attributo del futuro -, evitando i danni della "memoria corta", significa farsi davvero responsabili del nostro passato.
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MASSIMO RECALCATI

sabato 27 gennaio 2018

DI VITTIME (E CARNEFICI?)

Un paio di settimane fa sono andata al cinema a vedere Tre manifesti ad Ebbing, Missouri e il film mi  è davvero piaciuto nella sua crudezza tutta America non-mainstream, nel suo essere proprio middle of nowhere, lontana dalla retorica e dalla finta bellezza, a raccontare un dolore basico, poco rielaborato, insopportabile.
Questa settimana, però, complice una stupida ed impegnativa influenza, a casa accanto alla stufa ad aspettare che passasse, ho preso in mano il librone di Fernando Aramburu, Patria, e me lo sono letto nel silenzio, starnutendo e tossendo. Il libro racconta una  miriade di storie che si intrecciano attorno a un villaggio dei Paesi Baschi nella stagione terribile del terrorismo ETA, con protagonisti un folle fanatismo nazionalista e un evidente sadismo del potere repressivo e sanguinario - e il conformismo vigliacco della brava gente comune schiacciata tra i due.
Ma oltre queste evidenti tematiche, il libro di Aramburu si concentra sulle relazioni affettive e amicali fra i tanti personaggi che ruotano intorno alla storia, due famiglie, un paese e una nazione intera. C’è tanto nel libro, ma mi ha colpito particolarmente un aspetto, anche perchè l’ho legato al film: l’analisi della condizione di vittima. Innanzi tutto, le vittime subiscono ancora violenza dopo il fatto, sono messe contro un muro, messe in scena, evitate, negate. Questo succede nel libro e anche nel film: le vittime danno fastidio, ricordano brutti fatti e brutti tempi e la vergogna che ci è rimasta appiccicata.  
Ma la tematica a mio avviso più interessante e sorprendente è che il confine tra vittima e carnefice è fragile e muta nel tempo, si sgretola in vittime che diventano carnefici di stessi e degli altri, in carnefici che si scopre sono anch’essi vittime e solo in questo rito di passaggio riesce a ripartire la vita. Con il perdono: perdonare i carnefici (forse, dice il film), richiedere il perdono (solo quando, secondo il libro, si riconosce la propria condizione di vittima) e il perdono più difficile, il perdonare se stessi per aver fatto e non aver fatto, per aver detto e non aver detto e soprattutto per essere sopravvissuti all’insopportabile e concedersi ancora di vivere ed essere felici. 
Con la testa ingombra dai virus dell’influenza, ho tratto conforto da questo pensiero.

giovedì 25 gennaio 2018

DUE ANNI SENZA GIULIO E SENZA GIUSTIZIA

Avrebbe potuto essere nostro figlio, il figlio bravo, brillante e pieno di futuro come sono i nostri figli...


martedì 16 gennaio 2018

(SPIACEVOLE) SCENETTA QUOTIDIANA

Reggio Emilia, martedì mattina, ore 8:30, minibus dal parcheggio scambiatore al centro -tragitto di 6-8 minuti.
Salgo sull’autobus (che prendo solo d’inverno, altrimenti uso la bici) alla seconda fermata e lo trovo già pieno come ogni martedì e venerdì perchè in centro (esattamente sotto le finestre del mio ufficio) sono giorni di mercato. Il mercato è in genere frequentato prevalentemente da giovani donne velate o di colore in estate accompagnate da figli che invece in inverno frequentano le scuole reggiane e da anziani che frugano tra abbigliamento e ciarpame vario gestito prevalentemente da cinesi - un momento popolare e tradizionale che personalmente aborro, ma che piace. La stessa composizione dei clienti del mercato forma le persone sull’autobus. Seduti ci sono due anziani reggiani e diverse giovani donne alcune col velo e alcune di colore. In piedi varia umanità (tra cui io che in genere non mi siedo felice di stare in piedi dopo i miei quaranta minuti di auto). All’ultimo momento, di corsa, sale una giovane madre italiana con un bimbo al di sotto dei tre anni che ovviamente faceva molta fatica a bilanciarsi nel moto del bus e anche ad attaccarsi alle maniglie ad altezza adulto. Nessuno reagisce alla scenetta, tranne l’anziano reggiano col suo berretto, che si alza dal suo posto evidentemente per far sedere la signora col bambino.
Già lì pensavo con tristezza che si era dovuto alzare il più anziano, mentre le giovani signore chiacchieravano tra loro o guardavano il telefonino, ma c’era la scenetta finale ancora da recitare. Appena il signore si è alzato la ragazza nerissima che era in piedi vicino al suo sedile si è seduta al suo posto. Lui ha provato educatamente a dire che aveva lasciato il posto alla donna con il bambino, ma la ragazza non ha nemmeno alzato lo sguardo dal suo telefonino. La giovane mamma lo ha ringraziato dicendo che non era niente e cinque minuti dopo siamo tutti scesi.
La scena si è dileguata e abbiamo tutti proseguito verso il nostro quotidiano - io un po’ più affaticata nel tentativo di combattere stereotipi e pregiudizi che abitano anche me, in questo lungo e faticoso cammino alla ricerca di una (umana?) convivenza.

venerdì 12 gennaio 2018

UN GROSSO PROBLEMA

Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi. (Bertrand Russell)

Bigotry is not new in American history, but President Trump seems to glory in that part of the past.


Buon compleanno

buon quarto compleanno piccolo blog di Silvia

giovedì 11 gennaio 2018

DILETTANTI ED IMPROVVISATORI

Un editoriale esemplare, accorato e tremendo che mi colpisce parola per parola. Siamo a questo punto e questo punto, per dirla con Recalcati, è Male, è la non generatività, la ricerca del godimento senza desiderio. Non c’è visione del fituro, ma solo vendita di illusioni agli illusi. Poveri noi, povera Italia. Solo ogni tanto sento qualche voce che si eleva dall’ammasso di cazzate. Ultimamente Gentiloni intervistato da Fazio e stamattina Gori che ho sentito su Radio Uno. Ma il rumore di fondo è davvero assordante e le parole/pietre di Calabresi mi lasciano dei lividi (ed è solo l’inizio e sembra che le prospettive siano sempre peggiori).

mercoledì 3 gennaio 2018

LA MIA MENTE COME UNA CASA

La mia mente é come una casa che ho passato la vita ad arredare. I tavoli, i letti, gli armadi sono i libri che ho letto, le canzoni che ho imparato, dimenticato e so ancora cantare, i viaggi che ho fatto e le visioni di mondo che mi porto nel cuore.
I miei coinquilini sono molti, vivi e morti, genitori, mio fratello, mio marito e i miei figli, ma anche gli amici, passati e presenti, le persone cui ho voluto bene e mi vogliono bene - in cantina, chiusi a chiave, le persone e i momenti sgradevoli.
I quadri e i soprammobili sono i momenti in cui sono stata coraggiosa, intelligente, gentile, in cui ho realizzato il mio desiderio di essere e i miei talenti, in cui ho saputo donare qualcosa - sono gli ornamenti della casa, ne fanno una casa bella, vivibile, confortevole - a tratti felice. I momenti invece in cui sono stata pavida, stupida, proterva, rancorosa sfregiano le pareti della casa, ma cerco di tenerle confinate al suo esterno.
I miei ricordi sono la libreria della casa. Ci sono volumi che parlano dei momenti della mia vita - a volte li sfilo a casaccio e appaiono immagini dei miei figli piccoli, di lezioni in università a Bologna o a Purdue in cui imparavo cose importanti, di cieli stellati, di braccia che mi avvolgono e mi amano, di lacrime di commozione, di una me stessa giovane che fatico a riconoscere, di volti dimenticati e indimenticati che mi trasmettono sentimenti e relazioni, di problemi risolti e irrisolti, di tante strade percorse, di quadri o foto o film che formano la trama di ciò che sono e sono stata e sarò.
Continuerò spero per alcuni anni ad arredare questa casa che sta diventando vecchia, ma anche ricca e piena - poi, come fanno le vecchie case, tornerà alla polvere.

(credits to Ken Follett per l’idea)