L'altra sera sono andata con Roberto al rosario del fratello di un amico, una persona che conoscevo solo di vista e per i racconti che me ne venivano fatti. Con sorpresa abbiamo saputo che sarebbe stato celebrato il rosario e il funerale religioso il giorno dopo.
Nell'ascoltare il rosario condotto in modo nuovo, non come la meccanica recitazione giaculatoria cui siamo abituati, ma in modo intenso, riflessivo, quasi retorico, senza sorpresa ho registrato la mia totale estraneità ai temi proposti dalla religione - non mi convincono, non mi toccano, mi annoiano. Ma soprattutto ho pensato al rito di passaggio. Poco più di un anno fa, con la morte di mio padre, ho anch'io passato i riti che chiudono la vita e anche allora, come oggi, mi sono chiesta se servono. Mi è sembrato personalmente che siano un'ordalia, perchè ti legano e concentrano sul dolore e sul distacco - tutto è lì a ricordarti che c'è uno scatto, una cesura. Gli unici momenti che ho personalmente trovato consolatori erano le persone (molte delle quali non vedi quasi mai, ma che non sono estranee) che si avvicinavano, ti abbracciavano e ti parlavano, e quelli che ricordavi bambini diventati giovani (come per esempio l'altra sera gli splendidi gemelli dell'Antonella e Luciano) - insomma, la vita, il flusso, esattamente l'opposto del taglio, della cesura.
Bisognerebbe cambiare i nostri riti di passaggio, io credo - ma forse è solo perchè non capisco niente di religiosità - my fault.
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