venerdì 29 novembre 2024

LECTIO MAGISTRALIS DI STEFANO MANCUSO - COSA HO IMPARATO

Alcuni giorni fa Lectio Magistralis di Stefano Mancuso, quasi due ore molto interessanti e piacevoli, nonostante il tema terribile, affrontato con disincanto ma anche con molta passione. Scrivo per cercare di fissare un po' di quello che ho imparato ancora (già un po' di tempo fa avevo scritto di cose imparate dal professore) - ovviamente quello che ricordo conterrà probabilmente imprecisioni, ma il senso sono abbastanza sicura sia corretto. La cosa però che non ho capito, non capisco e non capirò mai è come può quello che dice Mancuso avere lo stesso valore dei brontolii di pancia di un qualsiasi negazionista sul web o nella vita che probabilmente si abbevera da siti in cui scrivono articoli scientifici professori di fisica delle medie in pensione, o addirittura meno valore di quello che dice un maiale (copyright della definizione la mia amica Maria) come Trump.

Mi è piaciuto da dove è partito, affermando che forse per prendere le distanze dal problema noi parliamo di biodiversità, ma che la parola di cui stiamo trattando è VITA. La vita è un fenomeno che diamo per scontato ma che in realtà è raro, unico, tanto è vero che nell'universo finora a noi conosciuto abbiamo trovato molte cose, ma mai la vita. E anche nel nostro pianeta la vita è una parte infinitesima del pianeta, ospitata in uno strato sottilissimo che si chiama biosfera e che non misura oltre i 20 km di altezza (circa 10 sopra la terra e 10 km sotto). La vita non è scontata, ma rara e preziosa.

E che cosa compone la vita sul nostro pianeta? la vita animale (che ci comprende) occupa una percentuale molto piccola (uno scarso 3%), mentre l'87% della vita sulla terra è costituita da organismi vegetali. L'uomo è lo 0.01% della biomassa della vita ( i batteri hanno una biomassa tre volte la nostra, i vermi dodici volte di più, i funghi duecento volte di più), ma da quando è comparso sulla faccia della terra l'uomo ha causato l'estinzione dell'83% delle specie di mammiferi selvatici e della metà delle piante. E fa veramente impressione il dato dei mammiferi. I mammiferi selvatici sono solo il 4% dei mammiferi sulla terra, gli esseri umani il 36%, mentre il bestiame allevato dall'uomo rappresenta il 60% dei mammiferi presenti sulla terra (per gli uccelli il dato è perfino peggiore: il 70% è rappresentato da bestiame allevato dall'uomo). Le piante non se la passano meglio: circa 12.000 anni fa erano presenti sulla terra circa 6 mila miliardi di alberi, oggi sono la metà, 3.000 miliardi di alberi. Negli ultimi duecento anni, cioè in un periodo brevissimo, ne abbiamo tagliati 2.000 miliardi. Inoltre, nel 2021 abbiamo raggiunto un altro traguardo drammatico: il peso del materiale sintetico prodotto dall'uomo ha superato quello del materiale vivente - e per valutare il dato dobbiamo compararlo con il dato del 1920, completamente ribaltato: in quella data il materiale sintetico rappresentava solo l'1% in rapporto alla biomassa. IN SOLI CENTO ANNI!

Il primo studio scientifico sul cambiamento climatico data 1847. La scienziata Eunice Newton condusse una serie di esperimenti molto semplici, posizionando dei cilindri di vetro al sole con un termometro al loro interno e riempiendoli con tre combinazioni di aria : Co2, aria comune e idrogeno. In base ai suoi esperimenti, Eunice constatò che l'anidride carbonica aveva trattenuto più calore "il recipiente contenente questo gas è diventato esso stesso molto caldo, molto più sensibilmente dell'altro e il raffreddamento è stato altrettanto lungo". Eunice ha concluso che l'immissione nell'atmosfera di sempre più anidride carbonica avrebbe alla lunga provocato un riscaldamento del pianeta. 1847.....

E siamo arrivati al 2024, quasi un secolo dopo, continuando nella folle corsa che ci porta a consumare le risorse  del pianeta, ogni anno di più.  In media consumiamo l'equivalente di 1,7 pianeti all'anno e si prevede diventino 2 entro il 2030. l'Earth Overshoot Day ogni anno anticipa la data. E, c'è poco da discutere, sono risorse che rubiamo ai nostri discendenti.

Il professore ha poi proseguito un interessante discorso sulle città, partendo dalla distinzione tra animale generalista e animale specialistico. Gli animali si dividono un generalisti, cioè animali che si adattano ad ogni ambiente e in ogni ambiente possono sviluppare le loro potenzialità e la propria sopravvivenza, e animali specialistici, quelli che hanno bisogno di un determinato ambiente per sopravvivere.  Un tipico esempio di animale specialistico è il panda, che si nutre di germogli di bambù e deve quindi necessariamente vivere in foreste di bambù. L'uomo è invece un animale generalista, ma sta diventando sempre più un animale specialistico. Ad oggi il 54% della popolazione mondiale vive in aree urbane, e si prevede che nel 2030 il 70% della popolazione mondiale vivrà in città. In Italia, ad oggi, su poco meno di 62 milioni di italiani, 51 milioni vivono in aree urbane- ed è un dato in crescita. Si calcola che nel 1930 in Italia solo il 30% della popolazione viveva in aree urbane. L'uomo sta quindi diventando un animale specialistico: il suo ambiente è la città 

Le città sono però responsabili dell'85% dell'inquinamento mondiale ed emettono il 75% dei gas climateranti e inoltre le città sono ambienti in cui gli eventi estremi collegati al riscaldamento globale (ondate di calore, siccità ed eventi piovosi di grande potenza) sono più estremi e non riparabili. Si è cominciato a considerare le città come organismi viventi e quindi a valutare il loro metabolismo. le città hanno un metabolismo terribile, altamente sbilanciato su un enorme consumo e senza meccanismi circolari. Ci si deve occupare quindi, e con urgenza, di migliorare il metabolismo delle città (deimpermeabilizzazione, alberi, ciclo dei rifiuti, mobilità sostenibile e via dicendo)

Quindi, oltre a piantare alberi, miliardi di alberi che possano assorbire e trasformare CO2 dall'atmosfera dobbiamo occuparci del metabolismo delle città, per renderlo meno "cattivo", più in equilibrio, migliorando al tempo stesso gli spazi di convivenza che stanno raggiungendo vertici di ingestibilità.

E' estremamente difficile, anzi quasi impossibile, prevedere gli effetti nei prossimi anni dei cambiamenti climatici. Le nostre previsioni sono basate sull'esperienza e non abbiamo precedenti esperienze di quello che sta succedendo. Sappiamo però che grandi cambiamenti ci aspettano e non saranno positivi - a noi rimane il compito di attenuarne l'impatto.

Curare la vita, elemento raro e prezioso, dovrebbe essere la nostra unica preoccupazione.

venerdì 22 novembre 2024

SOLO UNA VOCALE

 Mi piace insegnare italiano agli immigrati e mi piace farlo da volontaria, senza attestati da inseguire, senza performance da garantire, senza vincoli di classi e scadenze.

Il mio ultimo "protetto" è un ragazzo neo diciottenne, di origine indiana, in Italia da quattro anni e ospitato in una comunità per minori in quanto allontanato da casa per problemi di alcolismo del padre. Lo chiameremo G.

G. è esattamente l'opposto dello studente perfetto: non ha voglia di essere lì, sbadiglia, arriva in ritardo, non fa i compiti, si dimentica il materiale a casa, è convinto di sapere già l'italiano "sono già quattro anni che sono qui". Per fortuna di tutti, è educato, allegro  e gentile, questo sì. 

A me non fa arrabbiare, dico la verità, a differenza della mia volontaria-collega che si arrabbia moltissimo per le sue mancanze. Io invece solidarizzo un po' con lui: è un ragazzo evidentemente smarrito, senza guida, in balia di quello che succede e degli attimi che si susseguono, privo di educazione formale e di disciplina al lavoro e allo studio. Un ragazzo che non sa cosa fare di se stesso e del mondo.

Quello che voglio qui raccontare però è un episodio divertente che è successo l'altro giorno a lezione (facciamo lezione 1-1, poi fa lezione il giorno dopo 1-1 con l'altra volontaria e lezione in gruppo con altri ragazzini con altre due volontarie il lunedì sera). Il libro che più o meno seguiamo aveva un esercizio di comprensione di quello che succedeva in una bacheca con alcuni post. Nella bacheca un tizio dice di essere nuovo a Bologna dove è venuto a studiare e chiede cosa c'è da vedere e da fare. A un certo punto viene fuori la basilica di San Petronio. Chiedo a G. se sa che cosa è una basilica, praticamente certa che non lo sapesse (ovviamente chiedo sempre io se lo sa, non si prende la briga di chiedere lui, anche perché odia non sapere cose di italiano) e lui ci pensa su un attimo e si illumina (onestamente cerca sempre soluzioni e si aggrappa a tutto ciò che sa) "Lo so! E' qualcosa che si mette sulla pasta". Rimango interdetta un attimo e poi scoppio fragorosamente a ridere. Lui mi guarda stupito e quando glielo spiego ci mettiamo a ridere insieme.

"In fondo è solo una vocale, no?"



giovedì 21 novembre 2024

MANUALE SINTETICO PER DIVENTARE TRUMPIANI

 REGOLE PER DIVENTARE TRUMPIANI

1. Se ti viene in mente una cosa orrenda, dilla

2. Le misure contano eccome, specialmente quelle dei comizi

3. Pettinarsi la mattina non serve; i capelli non sono una priorità 

4. Quando hai bisogno del consiglio di un amico, senti Putin

5. Ricorda, esistono solo tre tipi di donne: prede, pazze o cattive

(da Internazionale del 31 ottobre 2024. Grazie ad Anna per la segnalazione)

Di grande utilità, vero?

martedì 5 novembre 2024

LA MIA AMERICA E LA SUA…

 In un suo recente post Mario Calabresi parlava della sua fascinazione giovanile per l'America. Ne ricopio solo un pezzetto 

"Per molto tempo l’America è stato il Paese dei miei sogni, quello dove avrei voluto studiare, viaggiare, vivere. Immaginavo soprattutto New York, l’avevo conosciuta nei film di Woody Allen, in una pellicola che fece il pieno di Oscar come Kramer contro Kramer, con la battaglia drammatica tra Dustin Hoffman e Meryl Streep per avere la custodia del figlio dopo la separazione, negli articoli di giornale, soprattutto in quelli di Gianni Riotta sul Corriere della Sera e in tanti libri. A darmi la sensazione più forte che quella era la città dove volevo vivere, dove volevo perdermi, erano stati una serie di racconti raccolti nel volume “La città profonda” scritto da Furio Colombo e illustrato da Tullio Pericoli. Era uscito quando avevo compiuto 18 anni e mi aveva fatto vivere le storie sotterranee di Manhattan, tra i cunicoli della metropolitana dove vivevano colonie di homeless, mi aveva fatto camminare nelle avenue paragonate a lunghissimi e profondi canyon, mi aveva spiegato il mito dei grattacieli e il declino la rinascita della più bella delle stazioni, Grand Central Station.

Poco dopo avevo incontrato un libro che si chiama “Strade Blu” (è un bel caso di sintonia se la collana con cui escono i miei libri da Mondadori si chiami proprio così) scritto da William Least Heat-Moon, un insegnante di inglese che dopo aver perso il lavoro ed essersi separato dalla moglie aveva deciso di partire per un lungo viaggio nell’America profonda con un furgone scassato, trasformato per l’occasione nella sua casa. Come compagna di viaggio si era portato “Foglie d’erba”, la più bella raccolta di poesie di Walt Whitman. Le “strade blu” erano le rotte minori e secondarie dell’America rurale, dove Least Heat-Moon aveva raccolto storie minori ma affascinanti e mai deludenti. La colonna sonora di questa America che immaginavo, ma non avevo mai visto, era la musica di Bruce Springsteen, soprattutto quella dell’album “The River”.

Così grazie al cinema, ai libri, alle canzoni e agli articoli di giornale che ritagliavo e conservavo, si era costruito il mio immaginario. Quello di un Paese pieno di storie, di fatica, di avventure e di spazi immensi, una società che sogna, resiste, rinasce e va sempre avanti, una nazione che include chi arriva e trasforma gli immigrati in cittadini.
Nell’estate dei miei 21 anni, dopo aver risparmiato facendo l’edicolante e il tabaccaio, lo spalatore di neve e il sondaggista, sono partito per il mio primo corso d’inglese, all’università di San Diego. Quando si è aperta la porta degli Stati Uniti ho trovato la luce della California e il Pacifico: un battesimo che andava al di là di ogni mia aspettativa.

Poi ci sono stati il Grand Canyon, il deserto e infine New York. Non dimenticherò mai l’emozione che ho provato alla vista dello skyline mentre con il taxi arrivavo a Manhattan. Il sole stava tramontando e quelle luci sui ponti e grattacieli mi erano assolutamente familiari: talmente tanto l’avevo vista e immaginata che mi sembrava di essere a casa. Ci sarei tornato d’inverno, scoprendo la meraviglia di una gigantesca nevicata che paralizzò la città e la rese incredibilmente silenziosa."

Ho mandato il post (c'era molto altro, era un post sulle incombenti elezioni americane, in realtà) a un vecchio amico (mi infastidisce leggermente questa cosa che davanti ad amico o ad amica metto sempre l'aggettivo "vecchio", ma tant'è) che mi ha risposto: 

"Curioso. NY è stata una folgorazione anche per me (e anche la California) ma non c'è una cosa (eccetto Allen) che sia nelle mie suggestioni. Il mio pantheon è quasi tutto nero brillante, le mie letture e i miei sogni americani sono altri. Curioso che ognuno abbia la propria America (Lui, onestamente, se posso, mi pare un filo più scontato)".

Questo scambio mi ha dato da pensare: come è la mia America (io la chiamo Stati Uniti, se dovessi parlare dell’America dovrei includere l’amata America latina)?
Mi ricordo che la prima, immediata e potente fascinazione l’ho avuta al mio primo viaggio negli States, un indimenticabile coast to coast fatto con Roberto nel 1987. Gli Stati Uniti non erano per me prima del viaggio un pantheon, anzi, erano il Paese del Vietnam e dello spietato golpe cileno. Mi attirava New York, mi sembrava un paese di meraviglie naturali, ma il famoso “mito” americano si scioglieva in una società senza storia e senza radicamento, quella storia di provincia, di mentalità ristretta e di Coca Cola ed hamburger che mi dava un leggero senso di nausea  (quella sensazione negli anni non è mai cambiata, ancora adesso quando vedo Trump strafogarsi di quel cibo così very American mi ritorna al naso l’odore nauseabondo emanato dai MacDonald, un misto di carne bruciacchiata e fritto, e il mio leggero senso di nausea).
Ritornando al nostro viaggio, detto in sintesi, mi sono innamorata dei cieli americani, alti, ampi, proiettati verso l’infinito. Gli spazi, il vuoto, ma soprattutto quei cieli…
Ho poi goduto immensamente New York, città con le sue difficoltà e durezze, totalmente assurda e monumento della follia a cui può arrivare il genere umano, ma con una caratteristica inimitabile: chiunque può trovare a New York quello che ama di più: arte, storia e storie, cibo, musica, luoghi iconici dei nostri tempi (recentemente anche memorie), skyline, perfino natura (Central Park non è per niente un parco cittadino, domato e antropizzato). 
Poi, diversi anni dopo, sono andata ad abitare (con una figlia piccola) in Indiana, West Lafayette, Purdue University. Anche lì, ogni mattina, con il mio caffè in mano, mi riconnettevo ogni giorno con quel cielo e con quella certezza di essere al sicuro, che nessuno mi avrebbe minacciato, sopraffatto, umiliato ma che la convivenza sarebbe stata pacifica, accogliente, competitiva solo se si fosse accettata la competizione. E sono stata felice, per qualche anno, ho imparato un sacco di cose e ho vissuto con semplicità e facilità. Sarò per sempre grata agli States per questo.
Oggi stiamo aspettando l’esito di un’elezione sulla quale ho letto montagne di articoli per arginare il senso di irrealtà ed impossibilità che la circonda. La mente non accetta che un “maiale” (così l’ha efficacemente e sinteticamente descritto la mia amica Maria) sarà votato da milioni di persone ignoranti,  manipolate e arrabbiate. Irragionevolmente, in me alberga ancora la speranza di ritrovare la sensazione di quelle mattine americane - deve esserci ancora, rintanata in qualche angolo, a dare ancora speranza a un paese martoriato dalle divisioni create ad arte (veramente il culmine lo raggiunge il tema immigrazione in un paese fatto interamente da IMMIGRATI ! Unbelievable) e dalla rabbia e dal rancore cavalcati e fomentati da maschi guerrafondai e fascisti.
Good luck, America!
(Chissà se anche la mia “America “ è un filino più scontata”…)