Riflessione iniziale: l’immagine che abbiamo di noi non corrisponde all’immagine reale di noi che gli altri vedono.
Scena: sono nella Casa di comunità Villa Ester per la lezione settimanale di italiano a un gruppo di donne straniere. È martedì mattina e i tre piani di Villa Ester fervono di attività, oltre al corso di italiano ci sono badanti che vanno allo sportello Clissa (per fare il curriculum, formazione, trovare lavoro) e soprattutto gruppi di anziani che frequentano le attività di AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer) in particolare le attività di mantenimento e potenziamento cognitivo molto utili specialmente nei primi stadi della malattia.
Come ogni martedì arrivo dieci minuti prima per andare al primo piano a prendere il materiale per la lezione custodito in apposito armadio per poi andare al secondo piano dove teniamo la lezione. Presa la scatola con il materiale (poster, fotocopie, esercizi, flash cards eccetera) prendo l’ascensore per salire perché la scatola è un po’ pesante e ingombrante. Sono in ascensore e assisto alla scenetta di due anziani: lui che sollecita la signora a prendere l’ascensore mentre lui avrebbe preso le scale per salire al piano superiore dove si tengono le attività di AIMA. Intanto che decidono tengo aperto la porta dell’ascensore. Lei entra e lui prende le scale. Mentre saliamo al piano superiore, la signora con un sorriso dolce e complice mi dice “Eh, sì, meglio prendere l’ascensore e non stancarsi, già che abbiamo il nostro problemino…”.
Trasecolo per un attimo, rifiutandomi di ammettere che la signora mi considerava una utente di AIMA come lei. Poi mi cade l’occhio sullo specchio dentro l’ascensore e vedo i miei capelli bianchi e il mio volto segnato: io penso di essere ancora troppo giovane per le problematiche trattate da AIMA, ma forse dovrei aggiornare il pensiero…
(PS chissà se la signora è rimasta delusa quando ho cambiato direzione e non mi sono unita al gruppo tenuto dalle (splendide) psicologhe di AIMA)