mercoledì 19 aprile 2023

CHE SCHIFO!

 

Avrete saputo della doppia uscita del ministro Lollobrigida: quella infelicissima sui rischi di «sostituzione etnica» e quella apprezzabile ma velleitaria sull’incentivazione delle nascite, come se il tasso di natalità dipendesse soltanto dall’economia e non anche dalla psicologia: un popolo smette di riprodursi quando smette di avere fiducia nel futuro (successe già ai tempi della Roma imperiale, e se non riuscì Augusto a invertire la tendenza, difficile che ce la faccia lui). Un tema decisivooscurato purtroppo da quelle due infauste parole, «sostituzione etnica», che hanno trascinato il battibecco politico da tutt’altra parte. Lasciamolo pure andare e spostiamoci in una parrocchia di Milano, la San Filippo Neri, dove la campionessa Julia Ituma aveva giocato le sue prime partite di pallavolo. Lì ieri si sono svolti i suoi funerali. Intorno alla bara sommersa di rose bianche c’erano i genitori nigeriani, le amiche d’infanzia milanesi, le compagne di squadra e della Nazionale (azzurra). Il mondo di Julia era pieno di colori, compresi l’arancione e il blu delle opinabili capigliature sfoggiate da alcuni adolescenti. 

Chi era dunque, Julia Ituma? Una ragazza italiana del ventunesimo secolo, afrodiscendente, con l’accento milanese e i gusti e le fragilità di una diciottenne cresciuta da queste parti. La prova certificata che non c’è nessuna sostituzione etnica in atto. Solo un mondo che si muove, e noi che con le parole e le paure facciamo un po’ fatica a stargli dietro




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