Ieri siamo andati a vedere (nel piccolo cinema, molto cozy, di Fidenza, gestito evidentemente da volontari) il film EVERYTHING, EVERYWHERE, ALL AT ONCE. Come ci è capitato spesso ultimamente (Godland, Gli spiriti dell’isola e altri) siamo usciti con la sensazione di un bel film, ma un film che ti lascia alternativamente non solo sorpresa, ma basita, turbata, confusa rispetto a ciò che si è visto e sentito. Questo in particolare è scoppiettante, fantasmagorico, assurdo e con significati non immediatamente accessibili.
Ripensandoci oggi, ne filtro due signicati interessanti (nota: credo che il film sia fatto perchè ognuno, con le proprie sensibilità e priorità e desideri, ne tragga significati diversi). Il primo è un fortissimo antimachismo, antimilitarismo, contro le aggressioni e le prevaricazioni. La protagonista (non a caso una donna) dopo aver combattuto fino allo stremo e anche cruentemente per tutto il film, “vince” alla fine quando impara che tutti, anche i delinquenti più biechi, hanno debolezze e fragilità e che prendersene cura può assicurare la vittoria. Insomma, vince quando capisce che la gentilezza è l’arma più potente e che la gentilezza non è segno di debolezza, ma di grande forza. A pensarci, un gran bel significato, anche se poi guardi il telegiornale e fai fatica ad applicarlo e/o a vederlo applicato.
Il secondo significato, molto vicino ad una zona dolente del mio cuore in questo periodo, riguarda il “trattenere” o meno i figli. Uso la parola trattenere perchè nel film ci sono proprio anche scene fisiche del trattenere, ma in realtà si tratta di imparare a trasformare il trattenere nel tenerli vicino e non respingerli, nel proteggerli dalla durezza del mondo finché si può e anche nel lasciarli andare anche se si sa che soffriranno. Non è facile, ma è necessario. Facciamo, imperfettamente, del nostro meglio.
Un film forse da vedere. Forse.
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