Così, stasera ho chiuso il libro e ho pensato che dovevo scriverlo. Ma non so come scriverlo.
Ecco, per cominciare il libro che ho finito appena di leggere è “L’ultima intervista” di Eshkol Nevo. È il quarto libro che leggo di Eshkol Nevo, ho iniziato con “Tre piani” per l’eco che ha avuto per il film di Moretti, che non mi è piaciuto per niente, mentre il libro mi è piaciuto. E ho proseguito nel suo percorso di scrittura - ho amato sopra tutti “Nostalgia”. Mi piace Nevo, scrittore israeliano, perché porta l’impronta fantastica che spesso possiedono gli scrittori israeliani, sopra a tutti Yehoshua, che niente altro è se non la capacità di parlarti. Le storie sono vive, reali, e qualcuno te le racconta a tutto tondo e con grazia, con empatia.
Ma con quest’ultimo libro, un libro particolare anche come idea di costruzione e trama (con tratti di furbizia che non esito a riconoscere, ma non fanno la differenza) è stato molto di più. Quasi non oso dirlo, ma è stata un’esperienza che non posso che definire, con stupore, INTIMA. La percezione netta che la voce del libro fosse la voce di un carissimo amico, che parlassimo di fatti e sensazioni ben note, che avevamo già condiviso, forse con echi di altre cose di cui avevamo già parlato, di esperienze vissute con molta vicinanza, di serate insieme, di particolari sintonie tra noi. Come se ci fossimo scelti, trovati, consolati, scaldati. Solo un’altra volta, nella mia lunga frequentazione di libri, ricordo un’esperienza simile, tantissimi anni fa, con Pavese e “Il mestiere di vivere” ma allora era stata un’esperienza più seria, più dolorosa, anche se non meno appassionata. Con Eshkol Nevo è stato più piacevole, più lento e leggero, più vitale, più quotidiano, un soffio gentile, un innamoramento tangibile e diretto.
Insomma, devo scriverlo, ma non so come scriverlo. Diciamo solo così: chiuso il libro, mi manca già immensamente la sua voce.
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