Che cosa motiva molti cittadini di Paesi come l’Ucraina a richiedere l’adesione all’UE? Proprio il fatto che essa è vista come fonte di sicurezza e di pace. Ciò che noi vediamo come garantito, altri Paesi lo vedono come un obiettivo a cui aspirare. La sicurezza indiscutibilmente conta: ogni volta che si parlava di allargamento dell’UE, veniva chiesto della NATO. Anzi, nei Paesi dell’ex blocco sovietico entrati nell’UE a partire dal 2004, la NATO era quasi considerata prioritaria rispetto all’Europa. Nei nostri Paesi però, follemente, la sicurezza viene data per scontata. È giusto quindi parlare della pace, ma senza pensare che sia un tema efficace, poiché sono passati quasi settant’anni dalla fine della guerra.
Il problema è piuttosto presentare un’UE positiva, non solo che ci salva dal male e non solo fondata sulla paura, ma che ci porta ad avere un ruolo nel mondo. Questo èmolto più complicato, poiché la sua realizzazione esige una legislazione positiva, fantasia e una visione del futuro condivisa. Tanti temi mostrano chiaramente come nell’UE siamo chiamati ad affrontare insieme le sfide che ci pone il mondo globalizzato: l’ecologia, l’ immigrazione, la situazione economica e finanziaria; questo però non sembra essere un dato così acquisito.
Dal punto di vista razionale è così, ma dal punto di vista istintivo lo spirito di conservazione, la nostalgia del passato, l’idea di una trascorsa grandezza e l’incertezza futura riportano alle prospettive nazionali. La questione europea viene così presentata come una grande battaglia fra istinto e razionalità, e non è detto che vinca la razionalità. Questa è la difficoltà in cui si trovano gli europeisti “razionali”, che ha condotto all’errore di affermare che l’UE è stata fatta da alcuni intellettuali. In realtà non è vero, perché De Gasperi, Adenauer, Schuman, Spaak, ecc. argomentavano anche in maniera emotiva e non esclusivamente razionale o di élite. L’UE fin dalle sue origini è un vero disegno popolare, il cui successo ne ha paradossalmente mitigato la forza: ora dobbiamo fare in modo che la razionalità ritorni e prevalga sull’istinto di conservazione.
I discorsi di personaggi quali Marine Le Pen o Beppe Grillo sono assolutamente conservatori, non offrono alcuna chiave di interpretazione del futuro. Presentano istintivamente alle persone l’idea familiare dell’Europa del passato, il ritorno agli Stati nazionali. Non hanno assunto il fatto che la globalizzazione non è una scelta, ma un cambiamento della storia. Di fronte alla “prima globalizzazione”, cioè alla scoperta dell’America alla fine del Quattrocento, gli Stati italiani sono rimasti immobili, non hanno saputo interpretarla: non hanno capito che occorrevano navi più grandi, capitali più grandi, uomini che sapessero andare oltre le frontiere, e così, da una posizione di assoluta centralità, non essendo diventati un’unica nazione, siamo stati cancellati dalla carta geografica.
Oggi la globalizzazione è totale. In fondo è questo il dramma della Germania: i tedeschi si pensano troppo grandi per l’Europa, ma in realtà sono troppo piccoli per la globalizzazione. Sono sempre al margine di una scelta storica. Qui sta il vero problema e per questo motivo insisto sul fatto che occorre un cambiamento di politica non tanto in chiave antitedesca, ma che elabori alternative di solidarietà, che per poter prevalere hanno bisogno di un’alleanza forte, seria, credibile e costruttiva proposta da Italia, Spagna, Francia insieme ad altri Paesi. Un simile cambio di passo non lo può proporre la Francia da sola, né l’Italia, che non è sufficientemente autorevole e matura, né la Spagna, convintasi troppo rapidamente di essere “resuscitata”.
In gioco qui non è l’UE, ma la democrazia: quale democrazia oggi è capace di visioni di lungo periodo? I sondaggi abbreviano troppo gli orizzonti della democrazia. Questo vale in tutti i sistemi democratici: i nostri problemi sono sempre più di lungo periodo – che si tratti delle questioni europee, dei problemi del lavoro o di quelli previdenziali –, mentre i politici hanno un orizzonte sempre più corto. Questa è la contraddizione dell’UE, e questo favorisce coloro che dicono che le cose vanno male. Certo vi è molto scetticismo nei confronti delle istituzioni europee, ma lo stesso vale per tutte le istituzioni nazionali: la nostra è una crisi della democrazia e istintivamente nei nostri popoli c’è la paura che altri popoli e altri sistemi politici siano più adatti a raggiungere risultati positivi.
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