martedì 27 maggio 2014

Cosa succede - l'Europa 3

Ehi, non penserete davvero che fosse farina del mio sacco, vero? Era un'intervista di Romano Prodi all'Istituto De Gasperi di Bologna.
Come spesso accade in Italia chi è molto competente viene cacciato (e/o emarginato). Sennò tutti gli altri, che sono dei pinguini ma concentrano le loro energie sul rimanere al potere invece che sull'analizzare le cose e studiarle e capirle e approfondirle e organizzare pensieri originali.. Che figura ci fanno?

Cosa succede - l'Europa 2

Questa volta la campagna è un po’ più europea perché ci sono i partiti euroscettici e questo obbliga ad affrontare la questione del destino dell’Europa, ma restano ancora elezioni legate e condizionate dalla politica nazionale. Per uscire da questa logica, un passo è il rafforzamento dei partiti a livello europeo e l’armonizzazione dei loro programmi. Viene molto sottovalutato il fatto che sia a sinistra sia a destra nei raggruppamenti politici convivevano posizioni diametralmente opposte sull’Europa: ad esempio, parecchi socialisti francesi si erano schierati per il no al referendum sulla Costituzione europea. Ora i partiti iniziano lentamente ad avere un dibattito sui grandi temi europei a livello continentale: è un aspetto da non sottovalutare per superare il prevalere dei dibattiti politici nazionali. Ci sono ormai legami politici consolidati a livello transnazionale, sempre di più Martin Schulz viene a fare comizi in Italia, i nostri vanno in giro per l’Europa. È un embrione di intuizione politica per il futuro delle elezioni politiche europee, anche se non ancora per le prossime. È un lavoro lungo, e per certi versi un “lavoro sporco”: in una delle ultime discussioni a cui presi parte in seno alla Commissione europea, l’Europa fu attaccata per la mancanza di un demos europeo; subito dopo si bocciò l’aumento di fondi per l’Erasmus. Verrebbe da dire: «Se mi sparate a una gamba, non potete lamentarvi se non corro». E dopo le elezioni? Dopo queste elezioni andremo verso una grande coalizione tra partito popolare europeo e i socialisti-democratici, che può anche far fare passi in avanti all’istituzione europea, se non altro per non soccombere. Il pericolo di oggi è che si generi una frattura sistemica tra Nord e Sud, rispetto alla quale si vende l’idea che alla base ci sia una differenza etica. Il senso di sottintesa superiorità di molti politici tedeschi o svedesi è pericoloso, perché non può provocare che reazioni come la disperazione: nel caso greco, ad esempio, l’antieuropeismo è frutto della disperazione. Che cosa c’ è da ascoltare nelle posizioni dei cosiddetti euroscettici o antieuropeisti? Vi è moltissimo da imparare! Anzi, quando li si ascolta a fondo, si scopre che sarebbe coerente trarre dalle loro posizioni le conseguenze opposte: tutti i difetti che imputano all’Europa derivano dal fatto che di Europa ce n’è troppo poca, non troppa, come quando affermano che non possiamo essere ostaggi dei tedeschi, o che l’euro ha portato a tassi di interesse divergenti invece che convergenti. Finché l’Europa ha funzionato, cioè nei circa sette anni dall’introduzione dell’euro allo scoppio della crisi, i tassi di interesse sono stati convergenti. Quando ho lasciato il Governo italiano nel 2008, lo spread era a quota 34. Questo perché funzionava un’Europa positiva. L’ampliarsi dello spread in anni più recenti è dovuto alla poca Europa. Possiamo imparare dagli antieuropeisti a essere coerentemente europei. La forza popolare dell’antieuropeismo viene dal sottolineare le promesse non mantenute dell’europeismo tiepido: non siamo ancora arrivati là dove ci avete promesso di condurci. Su questo hanno ragione. In altri casi, ad esempio nel caso dell’Ungheria o della Francia, si tratta di nazionalismo puro, provocato dalle nuove paure: i cinesi, l’idraulico polacco, gli immigrati; di fronte alla paura si torna all’antico, che, in quanto già noto, sembra rassicurante. Essere coerentemente europei vorrebbe dire promuovere una politica comune di rilancio dell’economia, con strumenti di riequilibrio come gli eurobond. Questi però non ci sono, e allora ci riduciamo a chiedere ai tedeschi di cambiare politica. Una politica di riequilibrio è anche interesse della Germania: è ora di smettere di rimproverare alla Cina di squilibrare il mondo con le sue esportazioni, quando lo squilibrio maggiore lo porta la Germania, che negli ultimi dodici mesi ha registrato un surplus della bilancia commerciale di 280 miliardi di euro! Questo sbilancia tutta l’Europa e va corretto: è un discorso ovvio e doveroso, per quanto scomodo per i tedeschi.Anche se non ci sono strumenti di riequilibrio a livello europeo, è ragionevole chiedere che i diversi Paesi sappiano gestire le loro politiche interne nell’ottica dell’interesse comune, che è principalmente anche il loro interesse, senza lasciarsi dominare dalle ossessioni del passato, come quella della Germania per l’inflazione. Gli uomini d’affari tedeschi sanno benissimo che sarebbe indispensabile una politica economica che dia più benzina al motore germanico, che un po’ di inflazione in più sarebbe utile, ma invece i politici tedeschi – in primis la Cancelliera – pensano che ogni stimolo all’economia sarebbe un cedimento ai Paesi del Sud. Non è un caso che la Germania sia l’unico Paese in Europa senza un forte partito populista antieuropeo. Ne esiste uno, ma alle elezioni ha preso meno del 4%. In realtà gli elettori tedeschi di orientamento nazionalista non hanno bisogno di un partito antieuropeo, perché l’idea di una “diversità” tedesca è ben difesa dalla cancelliera Merkel.
Mi viene in mente la frase attribuita, a torto o a ragione, al segretario di Stato americano Henry Kissinger: «A chi devo telefonare se voglio parlare con l’Europa?».

Cosa succede - l'Europa

Che cosa motiva molti cittadini di Paesi come l’Ucraina a richiedere l’adesione all’UE? Proprio il fatto che essa è vista come fonte di sicurezza e di pace. Ciò che noi vediamo come garantito, altri Paesi lo vedono come un obiettivo a cui aspirare. La sicurezza indiscutibilmente conta: ogni volta che si parlava di allargamento dell’UE, veniva chiesto della NATO. Anzi, nei Paesi dell’ex blocco sovietico entrati nell’UE a partire dal 2004, la NATO era quasi considerata prioritaria rispetto all’Europa. Nei nostri Paesi però, follemente, la sicurezza viene data per scontata. È giusto quindi parlare della pace, ma senza pensare che sia un tema efficace, poiché sono passati quasi settant’anni dalla fine della guerra.
Il problema è piuttosto presentare un’UE positiva, non solo che ci salva dal male e non solo fondata sulla paura, ma che ci porta ad avere un ruolo nel mondo. Questo èmolto più complicato, poiché la sua realizzazione esige una legislazione positiva, fantasia e una visione del futuro condivisa. Tanti temi mostrano chiaramente come nell’UE siamo chiamati ad affrontare insieme le sfide che ci pone il mondo globalizzato: l’ecologia, l’ immigrazione, la situazione economica e finanziaria; questo però non sembra essere un dato così acquisito.
Dal punto di vista razionale è così, ma dal punto di vista istintivo lo spirito di conservazione, la nostalgia del passato, l’idea di una trascorsa grandezza e l’incertezza futura riportano alle prospettive nazionali. La questione europea viene così presentata come una grande battaglia fra istinto e razionalità, e non è detto che vinca la razionalità. Questa è la difficoltà in cui si trovano gli europeisti “razionali”, che ha condotto all’errore di affermare che l’UE è stata fatta da alcuni intellettuali. In realtà non è vero, perché De Gasperi, Adenauer, Schuman, Spaak, ecc. argomentavano anche in maniera emotiva e non esclusivamente razionale o di élite. L’UE fin dalle sue origini è un vero disegno popolare, il cui successo ne ha paradossalmente mitigato la forza: ora dobbiamo fare in modo che la razionalità ritorni e prevalga sull’istinto di conservazione.
I discorsi di personaggi quali Marine Le Pen o Beppe Grillo sono assolutamente conservatori, non offrono alcuna chiave di interpretazione del futuro. Presentano istintivamente alle persone l’idea familiare dell’Europa del passato, il ritorno agli Stati nazionali. Non hanno assunto il fatto che la globalizzazione non è una scelta, ma un cambiamento della storia. Di fronte alla “prima globalizzazione”, cioè alla scoperta dell’America alla fine del Quattrocento, gli Stati italiani sono rimasti immobili, non hanno saputo interpretarla: non hanno capito che occorrevano navi più grandi, capitali più grandi, uomini che sapessero andare oltre le frontiere, e così, da una posizione di assoluta centralità, non essendo diventati un’unica nazione, siamo stati cancellati dalla carta geografica.
Oggi la globalizzazione è totale. In fondo è questo il dramma della Germania: i tedeschi si pensano troppo grandi per l’Europa, ma in realtà sono troppo piccoli per la globalizzazione. Sono sempre al margine di una scelta storica. Qui sta il vero problema e per questo motivo insisto sul fatto che occorre un cambiamento di politica non tanto in chiave antitedesca, ma che elabori alternative di solidarietà, che per poter prevalere hanno bisogno di un’alleanza forte, seria, credibile e costruttiva proposta da Italia, Spagna, Francia insieme ad altri Paesi. Un simile cambio di passo non lo può proporre la Francia da sola, né l’Italia, che non è sufficientemente autorevole e matura, né la Spagna, convintasi troppo rapidamente di essere “resuscitata”.
In gioco qui non è l’UE, ma la democrazia: quale democrazia oggi è capace di visioni di lungo periodo? I sondaggi abbreviano troppo gli orizzonti della democrazia. Questo vale in tutti i sistemi democratici: i nostri problemi sono sempre più di lungo periodo – che si tratti delle questioni europee, dei problemi del lavoro o di quelli previdenziali –, mentre i politici hanno un orizzonte sempre più corto. Questa è la contraddizione dell’UE, e questo favorisce coloro che dicono che le cose vanno male. Certo vi è molto scetticismo nei confronti delle istituzioni europee, ma lo stesso vale per tutte le istituzioni nazionali: la nostra è una crisi della democrazia e istintivamente nei nostri popoli c’è la paura che altri popoli e altri sistemi politici siano più adatti a raggiungere risultati positivi.

Niente dura e questo lo sai, però non ti ci abitui mai

Non scrivo da un po', bloccata dalla necessità di metabolizzare un cambiamento che mi ha provocato un'ambivalenza che non riesco a sciogliere. La storia è semplice da raccontare. Anna, dopo la laurea e i suoi 15 giorni di viaggio premio New York - Boise, ha avuto due colloqui di lavoro: il primo, procuratole dalle sue relatrici di laurea, con Heinz Italia, il secondo, tramite le relazioni paterne, con Carghill Italia. Al ritorno, la sua sensazione era che fossero andati bene e la speranza era di essere richiamata per un secondo colloquio. Nel frattempo, aveva iniziato un progetto interessante nell'azienda del padre ed era abbastanza contenta. Come un fulmine a ciel sereno, però, arriva la telefonata di Heinz che la assume (ovviamente contratto di sei mesi, stage retribuito a 950 euro al mese) e deve iniziare una settimana dopo, il 19 maggio, nella sede di Segrate dove Heinz (che in Italia è baby food: marchi Plasmon e Nipiol) ha la sede della ricerca e sviluppo (r&d).
Ovviamente Anna nel giro di pochissimo tramite la sua rete di relazioni molto variegata, trova una sistemazione opulenta ( vivono in due in una casa a schiera ENORME col giardino davanti e dietro) in quel di Bussero, ridente paese dell'hinterland milanese, nel verde, in una strada chiusa che finisce su un complesso ricreativo, a pochi metri dalla metropolitana e a ben 150 euro al mese di affitto. (Anche la storia della casa è particolare e forse meriterebbe un post a parte).
Tutto bellissimo, lei contenta, è sempre stata affascinata dalla grande azienda, il contesto è stimolante ed internazionale, il lavoro di ricerca e sviluppo e imparerà cose interessanti ed importanti. Perfino il padre, che pure ha dovuto assumere qualcun altro di corsa, è contento delle cose che farà e imparerà. Io contenta, ovviamente, ma ambivalente. Non è perchè se ne va: ha cominciato ad andare a 17 anni con l'exchange year, poi ha studiato a Milano all'Università e poi sei mesi a Vienna - è sicuramente una di quei giovani europei (cominciano a vedersene) che viaggia "con la valigia leggera" e sempre pronta, con facilità e sicurezza - niente di nuovo per questa mamma che ha anzi sempre lavorato per consentirle "respiro", per darle le ali. E osservo in lei anche radici solide, in questa famiglia, in questa casa, in questo territorio.
Però il lavoro è diverso, adesso se ne va davvero, va verso un mondo duro e difficile, va verso un percorso di vita tutto da costruire, dopo averlo a lungo coltivato e sognato - e so che è giusto che vada e sono contenta che vada. Ma lasciarla andare è davvero difficile, segna una cesura, un cambiamento, una cicatrice - finisce un periodo durato a lungo in cui era centrale la meraviglia e il piacere di vederla ( di vederLI) crescere - ed ogni età è stata bellissima. Per questo il titolo con la citazione di Vasco. Per essere una madre d'ora in poi diversamente abile - me lo riprometto, spero di esserne capace.

martedì 6 maggio 2014

Vacanze - 1 maggio giardini del castello di Trauttmansdorff di Merano

Fiori, cascate di fiori e piante e orchidee, e arbusti e promesse di nuove fioriture, nuovi colori, colori, colori, profumi, forme fantastiche, leggerezza, robustezza, l'effimero e il costante, la pianificazione e la naturalezza, il locale e l'esotico, la bellezza - che bellezza nel sole terso e splendente. Un continuo stupore per le varie articolazioni della bellezza, ogni volta sembra la bellezza inarrivabile e ogni volta qualche altra bellezza di cui stupirsi nella sua complessità ed estrema e sublime semplicità.
Si sta bene in un giardino - una biblioteca e un giardino sono il lusso supremo.


Vacanze -2 maggio "Perduti nel paesaggio" mostra al Mart di Rovereto


Questa è la presentazione del curatore. Bellissima mostra assolutamente contemporanea e anche molto toccante nei contenuti e pensieri. Molte opere mi hanno emozionato, per esempio l'installazione video TRUE NORTH in cui si "respira" l'Artico o le moderne e molteplici ricostruzioni della Torre di Babele, la desolazione di Beirut o dell'università di Bogotà in bianco e nero. Ho trovato anche molto interessante una prospettiva suggerita da due opere (due foto) poste l'una di fronte all'altra. Nella prima, a colori, l'artista cubana  Glenda Leon ha fotografato la sua schiena piena di nei che sembra un cielo stellato (titolo: We are all made of stars). Nella seconda l'artista tedesco Luis Camnister ha fotografato in bianco e nero ( e una sfumatura di seppia) il proprio viso su cui sono posati minuscoli elementi di paesaggio: una casa, un albero, delle mucche... e il suo naso sembra il monte e la forma del suo viso i dislivelli del terreno ( titolo Landscape as an attitude).
Dal confronto delle due opere viene suggerita una lettura di genere (del tutto azzeccata nella concezione di paesaggio sopra descritta): la prospettiva femminile centrata sulla soggettività e la prospettiva maschile dell'assoggettare, dell'appropriazione del paesaggio.
Da vedere.