giovedì 25 marzo 2021

HO RI-RISCRITTO A SERRA

 Sembra che nei miei momenti peggiori scrivere a Serra sia un modo per mettere in ordine: fare lo sforzo di scrivere quello che si pensa lo rende organico e visibile anche a me stessa. Così ho scritto, non importa se non risponderà. Ieri il discorso di Draghi mi ha depresso e ancora di più irritato: possibile che il potere debba sempre esercitarsi con gli stessi (triti e ritriti) riti? Ho scritto così 

 Gentile Michele Serra,

sono una sostenitrice di Mario Draghi, dopo molti anni passati a sperare (come mi auguro molti altri) che la competenza e la serietà si appropriassero del potere e che le cose fossero prima realizzate e poi spiegate (e non viceversa). Per di più, trovo che in questo periodo così grave le polemiche debbano essere ridotte al minimo, che sia necessario cercare unità e senso di comunità. Per questi motivi, arrivo a scrivere solo dopo aver letto un’opinione che mi ha colpito: Draghi si può permettere di criticare l’Unione Europea perché ne è un saldo sostenitore. Quindi mi permetto di criticare Draghi perché ne sono una salda sostenitrice.

Non mi è affatto piaciuto il suo attacco alle Regioni e i motivi sono più d’uno, mi limito ad elencarne un paio: Draghi sa bene che le Regioni coprono (bene, male, benino, pessimamente) un vuoto volutamente lasciato dalla farraginosa struttura dello Stato. Quando si parla di centralizzare il piano vaccinale non so bene se avere un moto di ilarità o un conato di nausea: lo sapete che lo Stato non ha un’anagrafe nazionale? Lo sapete che le anagrafi sono comunali, appoggiate su sistemi informatici tutti diversi tra loro e che esistono le anagrafi sanitarie regionali non in tutte le regioni e con grandi sforzi e qualche “buco” di efficienza? E le anagrafi sanitarie sono costruite su individui (come da paradigma sanitario) e non sulle famiglie? E che i fascicoli sanitari elettronici delle persone, ove esistono, sono contenitori di prescrizioni, ma per la maggior parte non indicativi di diagnosi aggiornate e stato di salute? Che ci sono esperienze volonterose e anche eccellenti, ma a macchia di leopardo e sicuramente non spendibili a livello nazionale?  Bisognerà che qualcuno dica che le Regioni sono carrozzoni lanciati verso una meta non individuabile e forse a volte non encomiabile, ma che lo Stato galleggia nel vuoto – nel vuoto di conoscenza, pensiero e programmazione. 

L’altra riflessione riguarda la differenza tra gestione e committenza. La gestione avviene per forza di cose meglio vicino a dove se ne attuano gli effetti, la committenza si preoccupa di organizzare, uniformare, rendere equi e controllare la gestione effettiva. Lo Stato non esercita in modo congruo la committenza – so che ci sono infinite questioni e conflitti riguardo alla competenza  concorrente delle Regioni in termini di tutela della salute pubblica, ma non c’è dubbio che la situazione di emergenza ne può modificare il senso e i limiti (il famoso ed evocato articolo 120 della Costituzione) e comunque la fissazione di principi uniformanti (committenza) è pertinenza dello Stato che non CONTROLLA però mai. Semplice, non ne è capace, il controllo è molto capillare sulla forma e mai sulla sostanza. Le Regioni consapevolmente o no violano le linee nazionali (ma quanto sono generiche le linee nazionali) e quindi cosa succede?  quindi lo fanno e basta.

Insomma, dico che Draghi ha sbagliato, che è lo Stato ad essere inefficiente in questo ambito e che dare l’impressione che si possa centralizzare il piano vaccinale ondeggia tra il risibile e la stupidaggine. Ha sbagliato anche a lamentare che si lascino indietro “i poveri anziani”, perché così si alimenta un conflitto generazionale già fin troppo presente che francamente non ci serve proprio. E ha sbagliato e mi ha profondamente infastidito il messaggio trasversale e semi minaccioso riguardo all’Europa che se non “vince” sulla fornitura di vaccini allora l’Italia farà da sé. Questa affermazione contraddice il principio basilare di Draghi di non fare annunci se non sostanziati da azioni almeno progettate. Cosa significa che l’Italia fa da sé? Io non l’ho capito e non è stato spiegato e nemmeno abbozzato qualche azione o progetto – e quindi non si sbandiera per il consenso dei cinque minuti cui siamo stati finora abituati.

Sono preoccupata? Sì, molto, ma sperare è comunque inevitabile…

Avrei anche una (assurda?) proposta. Se davvero la fornitura dei vaccini sarà consistente la mia proposta è di decentrare di più, non accentrare di meno. Dare in mano alle comunità e ai volontari, ai medici di base, alla sanità territoriale e ai farmacisti la vaccinazione. Molti volontari sarebbero pronti ad aiutare con le convocazioni, e i medici di base sono gli unici a conoscere la condizione dei loro pazienti e molti di loro, almeno nella mia Regione, sono già organizzati in medicine di gruppo e le potrebbero rafforzare in sicurezza. Le sperequazioni aumenterebbero? Certo, ma sembra siano già tante. Certo si velocizzerebbero di parecchio i tempi e la iniquità è un conto se vige per mesi e un altro conto se si riduce a pochi giorni. Ma sa, io sono un’”anima bella” (nel senso di Goethe e Schiller)

Cordiali saluti

Silvia Guidi, Parma, 25 marzo 2021

venerdì 19 marzo 2021

CHE PAZIENZA...

 Sanguigna ore 7:30 - colazione davanti a RaiNews24 . Passano la notizia che poi ho letto sul giornale 


Io guardo affascinata Carofiglio per cui ho una predilezione (è noto che mi piacciono alti, con bella faccia quadrata, rigorosamente colti e non piacioni, anzi leggermente malmostosi) e invece Roberto reagisce in maniera inaspettata

“ Ma guarda quel furbone di Carofiglio, anch’io voglio fare la sperimentazione con ReiThera, così salto la fila e finalmente mi fanno il vaccino”

Mi è venuto da obiettare che fare i volontari per la sperimentazione ha una percentuale di rischio, che metà di loro assume placebo... poi sono stata zitta e ho sorriso. Ci vuole molta pazienza con i mariti...

martedì 16 marzo 2021

SIAMO GLI STESSI DEL ‘48

Quando ero ragazzo c’era un libro illustrato istruttivo e bello da sfogliare, si chiamava C’era una volta la DC: era una raccolta di manifesti elettorali di propaganda anticomunista per le elezioni del 1948, e mostrava sia l’ingenuità e ignoranza degli elettori di allora sia l’astuzia lungimirante di chi quelle ingenuità e ignoranza seppe sfruttarle. I manifesti ospitavano immagini e messaggi simili a quelli che si sarebbero usati con dei bambini, nella categoria “se non fai il bravo viene l’uomo nero” o “non ti toccare se no diventi cieco”: ma gli elettori sono sempre stati trattati così, da bambini, e spesso peraltro lo sono. Lo siamo noi umani.


Quel libro, però, uscendo negli anni Settanta, voleva appunto prendere in giro quella comunicazione semplicemente mostrandola, e non c’era bisogno di dire nient’altro per indicare quanto fosse ridicola e datata. O meglio, non c’era bisogno di dire nient’altro ai destinatari di quel libro, forse: anche se nei due decenni precedenti lo sviluppo culturale e dell’informazione degli italiani aveva avuto un’accelerazione pazzesca in molte “fasce della popolazione”.

Quella distanza tra un’estesa comunità che si informa poco – perché priva del privilegio dello stimolo culturale, perché maltrattata dalla televisione o perché sceglie di informarsi poco (ne ha appena scritto Massimo Mantellini) – e un’élite che coltiva gli strumenti per discernere, capire e conoscere (e a volte approfittare dell’ignoranza dei primi) esiste ancora, e anzi forse è persino aumentata, con l’abbattimento deliberato dell’idea che la seconda condizione sia più promettente e auspicabile.

Ma soprattutto, a questo pensavo, la comunicazione verso i primi usa oggi ancora quei meccanismi di propaganda infantili del 1948, e – per fare un esempio – la figura di frotte di madri incinte (magari di gemelli!) che approfitterebbero dello ius soli per venire a disseminare figli minacciosi sulle nostri dolci colline e a mescolarli con i nostri puri frugoletti, figurerebbe con efficacia in una riedizione di quel libro, e viene oggi condivisa con la stessa ingenua convinzione sui social network e con lo stesso proficuo inganno su alcune testate giornalistiche e reti televisive.


(Wittgenstein, 15 marzo 2021)

martedì 9 marzo 2021

UNO DI NOI

 Questa foto parla di eleganza, parla di onestà. Parla della integrità di un uomo che ho visto per la prima volta nelle foto indimenticabili in cui tirava fuori dalla macchina il corpo di suo fratello assassinato dai neofascisti alleati con Cosa Nostra e che non ho mai visto svendere il suo dolore ai venditori di fumo.

Quest’uomo è il nostro Presidente della Repubblica ed è giustamente seduto tra di noi, con il silenzio e la pazienza che vengono richiesti anche a noi, membri della stessa comunità.

E questa foto mi fa anche tenerezza: in anziano uomo in grisaglia, con i calzini lunghi scuri e i risvolti nei pantaloni, più fragile di come appare nei riti ufficiali che si vedono in TV. Speriamo che tanti di noi si riconoscano nella sua compostezza.



martedì 2 marzo 2021

É SUCCESSO

Bene. È successo.

Biella. 27 febbraio 2021. Ecco le immagini del primo flashmob maschile contro il femminicidio. 

Scarpe rosse. Questa volta ai piedi degli uomini. 

La mascherina dello stesso colore e un filo di lana - sempre rosso - per mantenere il distanziamento ma anche per collegare idealmente tutti gli uomini contro la violenza sulle donne. "Uomini in scarpe rosse" è il flashmob organizzato a Biella da Paolo Zanone, imprenditore tessile e direttore artistico della compagnia Teatrando, che si è armato di vernice e bombolette rosse per colorare vecchi mocassini e sneakers di chi era sprovvisto di calzature "appropriate "per l’evento. 

"Ne ammazzano una al giorno ma io vedo solo donne manifestare, protestare, gridare aiuto - ha scritto nei giorni scorsi la giornalista Milena Gabanelli su Twitter - Non ho visto una sola iniziativa organizzata dagli uomini, contro gli uomini che uccidono le loro mogli o fidanzate. Dove siete? Non è cosa da maschi proteggere le donne?". 

Di qui l'idea degli attori della compagnia Teatrando, che partiti dal Ponte della Maddalena sono arrivati fino al centro della città, dove hanno mostrato una serie di cartelli. Messaggi sul tema "da uomo a uomo", per dire basta alla violenza sulle donne.

“La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci: non è da uomini, è da vigliacchi”

“La violenza non è la soluzione, è il problema”. Questi i cartelli. Piccolo gesto con grande valore simbolico.

“Uomini in scarpe rosse" è il flashmob organizzato da Paolo Zanone, imprenditore tessile e direttore artistico della compagnia Teatrando di Biella.

Un altro era andato in scena in piazza Castello a Torino organizzato da "Il cerchio degli uomini". Qualcosa si muove nella consapevolezza che la violenza contro le donne gli uomini devono avere pari ruolo di argine e responsabilità.

(Dalla pagina FB di Labodif)