lunedì 24 agosto 2020

PICCOLO PENSIERO (CON BRIVIDO)

 Leggo di 100 contagiati in un campo di nudisti. Finora non ci avevo mai pensato, ma ho un brivido pensando a nudisti con la mascherina...

11 MILIONI DI MASCHERINE - IO INVECE...

 Leggo con brivido che Arcuri fornirà alle scuole 11 milioni di mascherine AL GIORNO. Io invece dall’inizio del lock down uso le mascherine a doppio strato, con all’interno un foglietto di carta forno, confezionate con abilità ed amore dalla mia amica Antonella durante il lock down da un lenzuolo smesso di morbidissimo cotone. Ogni settimana le lavo (si asciugano in una notte) e cambio il foglietto. Ho letto un paio di studi che equiparano come efficacia queste mascherine domestiche a quelle chirurgiche non riciclabili. Certo che a fronte di 11 milioni sembra un gesto irrilevante, quasi ridicolo, ma vista in prospettiva generale anche la mia esistenza è quasi irrilevante - vorrei almeno che non fosse ridicola.


domenica 23 agosto 2020

RIFLESSIONE SUI FIGLI

 Ho trovato questi su FB - purtroppo non è citata la fonte, si dice solo che è la “riflessione di una famosa scrittrice”. Ma l’ho copiaincollato perché mi è piaciuto.      

"E’ partito dalla casa sull’isola il figlio con la bella compagna e la figlia della bella compagna ( una dodicenne cortese e collaborativa, guardata perciò dagli adulti come un fenomeno). Li hai  accompagnati alla nave notturna, quasi in silenzio, sotto un cielo pesante di stelle. Camminando dal porto verso casa, pensavi alla delicata mostruosità dell’essere madri. E’ qualcosa che accade quando hai 25 anni ...ma dura per sempre. E tu attraversi tutte le età della vita con questa ossessione del benessere dell’altro, del figlio, della figlia.

Facile, finchè sono bambini. E più sono bambini più è facile: la maggior parte dei loro desideri ti riguarda, i loro bisogni li soddisfi prima che possano trasformarsi in sofferenza. Devono stare caldi, stare freschi, essere sazi, essere comodi, essere puliti, essere idratati, riposarsi, essere abbracciati, essere protetti, essere stimolati, essere coccolati, essere divertiti, non aver paura, non sentirsi soli...

L’affare si complica quando sono ragazzi: devi proteggerli  senza che se ne accorgano,  nutrirli senza presentare il conto ( ore lavoro, frigorifero svaligiato da bande di coetanei feroci), educarli senza essere pallosa, limitarli senza essere repressiva, aspettarli fino alle due di notte senza schiattare d’ansia, esserci tutte le volte che hanno bisogno di te e scomparire tutte le volte che hanno bisogno di cavarsela da soli.

Arduo, ma non impossibile.

Diventa impossibile recitare il ruolo quando i figli sono adulti. Se sono preoccupati per come va il mondo non puoi consolarli senza mentire. In genere hanno ragione.Se sono preoccupati per qualcosa che riguarda la loro vita , ti fai mille problemi: sarò intrusiva? sarò indelicata? Sarò  chioccia? Se sono felici ( nei limiti del possibile, data la condizione umana) te li guardi contenta da lontano, sperando che duri. 

Vorresti, la sera, a cena, dopo un tot di bicchieri di prosecco, giocarti la carta dell’amicizia, regredire a simpatico anfitrione, ma non è semplice, trasudi amore e nostalgia per quando erano piccoli, i figli adulti, e tutti i giorni compravi per loro una biglia, un pacchetto di figurine, un libricino.

E’ uno degli ambigui regali della vacanza estiva questo ritorno di convivenza con ex bambini che sfiorano la quarantina.

Non ci coabiti da più di 20 anni, e improvvisamente eccoli lì, intelligenti scocciati e consapevoli, come “ i grandi”. Scopri che cucinano molto meglio di te, sono più informati, più spiritosi, più sagaci...perfino il romanzo che stanno scrivendo, nei pochi ritagli di tempo, ti pare più bello del tuo. E la cosa più buffa è che ne sei entusiasta, come per un compimento. E ti senti idiota...cioè, irreparabilmente: una madre."

sabato 22 agosto 2020

DEDICATO A ROBERTO

 “Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.”

(Ray Bradbury)

Perfettamente attinente a Roberto -  “vero giardiniere”



CARI AMICI

 

Primo Levi – Agli amici – 16 dicembre 1985

Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purché fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.Dico per voi, compagni d’un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L’animo, l’anima, la voglia di vita.
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo,
Prima che s’indurisse la cera,
Quando ognuno era ancora un sigillo.
Di noi ciascuno reca l’impronta
Dell’amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.

Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l’augurio sommesso
Che l’autunno sia lungo e mite.

venerdì 21 agosto 2020

MA CE LA POSSIAMO FARE?

Ieri sono andata a fare la spesa alla Coop di Colorno. Davanti a me alla cassa c’era un signore sessantenne distinto con la sua mascherina (non solo per suo merito: il negozio applica rigidamente le norme e chi è senza mascherina viene messo all porta - anche per questo mi conserva come cliente fedele). Il signore paga ed esce e anch’io pago. Quando esco nel piccolo parcheggio in quel momento semivuoto, il signore di prima ha appena caricato la spesa in macchina e ritornato il carrello al suo posto.  Lo vedo sedersi sul sedile della sua macchina, togliersi la mascherina, mollarla per terra fuori dalla macchina. Poi ha chiuso tranquillamente la portiera ed è ripartito.

 Mi chiedo se davvero ce la possiamo fare...

mercoledì 5 agosto 2020

IL DUBBIO

Ho sempre connesso il concetto di dubbio a una sensazione positiva, il dubbio è forza, è progresso, è la potenza della ragione, del ragionamento opposta al dogma. Ma ne ho visto in questi giorni una versione davvero inquietante e non per la prima volta, ho realizzato. Ho condotto con un amico una discussione su un tema che mi interessa molto perché ha sfiorato la mia vita, un tema complesso che però ho sempre seguito con molta attenzione e partecipazione e ho quindi confutato le verità finte propinate da visioni manipolatrici ed autenticamente false che questo amico sosteneva. Alla fine, la conclusione è stata lapidaria: “tenete pure le vostre certezze, io tengo i miei dubbi” . Mi sono resa conto che questo è l’assioma alla base di tutte le teorie complottiste: dubitare al di là dei fatti, perché comunque le cose sono celate, c’è un “qualcuno” che le tiene nascoste agli innocenti (innocenti?) cittadini che ci cascano, ma io no, non ci casco , io so che deve esserci per forza un’altra verità, a prescindere dai fatti a lungo sviscerati. E quindi la categoria del dubbio, così nobile, viene asservita e piegata ad altri fini che non un confronto aperto sulle complessità di una realtà che richiede molto sforzo per essere rappresentata, una realtà che è sempre altro. L’altra faccia del dubbio, un dubbio che non si basa sul confronto, ma sul dubbio stesso. Che peccato, che perdita di tempo e di senso, corto circuito da cui è impossibile uscire. E quando si argomenta e si spiega, utilizzando letture e conoscenze faticosamente acquisite negli anni e con l’esperienza, si viene tacciati di arroganza e di poco rispetto delle posizioni diverse dalla propria. Così, è tutto inutile.

domenica 2 agosto 2020

40 ANNI

Oggi, dalla pagina Facebook del Comune di Bologna, il racconto di uno svizzero che , oltre a documentare il momento, emoziona perché fa vedere come durante uno dei momenti più difficili della nostra storia, un momento in cui l’umanità è stata negata dalla violenza bruta - anche in quel momento c’è stata umanità e c’è stata bellezza.
NON DIMENTICARE MAI


" Il vino Albana bevuto la sera prima contribuì a farci assopire. Quando il treno si fermò, alle ore 10.15, ci affacciamo al finestrino per informarci della località raggiunta. Ci trovavamo alla stazione centrale di Bologna.

Per una volta rinunciammo a scendere sul marciapiede - cosa che di solito facevamo sempre - per acquistare qualche bibita per i nostri familiari. Il venditore di bevande lo vedemmo poco dopo, morto, sotto la nostra carrozza, la Nr. 612.

Poco prima della prevista ripresa del viaggio, all’incirca davanti al nostro scompartimento, ad una distanza di circa 5 metri, apparve una vampata subito seguita da uno scoppio assordante e nello spazio di un secondo l’intera carrozza fu avvolta da una nuvola di polvere. Non c’era più alcuna visuale. Contemporaneamente sopra e accanto al nostro vagone si udì come un bombardamento sotto forma di colpi che facevano pensare che il mondo stesse per essere scardinato. Nessuno sapeva cos’era successo. Fitta polvere lasciava trasparire una scena spettrale. Credevamo tutti che saremmo dovuti soffocare. C’era puzza di polvere. Qualcuno gridò: “Fuoco”. Con le ultime forze mi fu possibile aprire la malridotta porta dello scompartimento e spingere gli occupanti fuori dal vagone colpito. Tutti gli occupanti erano totalmente sotto shock e riuscivano appena a pronunciare parola. Tranquilli e senza panico si diressero verso l’uscita e a tastoni, in mezzo alla nebbia polverosa, si diressero verso il marciapiede, passando sopra a una collinetta di detriti che si era riversata sul binario. La nuvola di polvere stava lentamente svanendo. La disgrazia successa stava diventando visibile. Più o meno davanti ai nostri due vagoni era crollata una parte della stazione di una larghezza di circa 40-50 metri e una parte della parete esterna era caduta sul treno. Anche se sanguinanti e con leggere ferite dovute a tagli, eravamo contenti che i nostri compagni apparivano attraverso la nebbia uno dopo l’altro come figure spettrali. Quando davanti ai nostri occhi vedemmo giacere persone lacerate imploranti aiuto, ci rendemmo effettivamente conto di quale fortuna ci era stata riservata. Per loro e per noi i secondi trascorsero come un’eternità. Ci sarebbe bastato poter fornire a quella povera gente anche un solo sorso d’acqua. Non avevano nemmeno la forza per urlare, lamentarsi. Non c’era posto per le lacrime. Il sangue copriva i volti. Regnava un silenzio di morte. [...]
Pensai a scattare delle fotografie. Mi sarei vergognato nel fare ciò. Anche così non dimenticherò mai quel pover’uomo con un buco della grandezza di un pugno nel viso, con una gamba schiacciata che giaceva in una pozza di sangue, che mi fissava chiedendomi aiuto e al quale non potei far altro che porre un asciugamano sotto la testa. Non gli si poteva dare età. I suoi occhi avevano uno sguardo come da un altro mondo. Vicino a lui c’era un bambino, del quale era difficile stabilire se era una ragazza o un maschietto. Era totalmente coperto di sangue. L’azione di soccorso iniziata dalla città di Bologna ci impressionò quasi quanto la disgrazia.

Già alle 10.40 le prime ambulanze arrivarono arrivarono e, attraverso le strade già chiuse al traffico dalla polizia, trasportarono i feriti nei diversi ospedali senza sosta.
Dopo che mi fui assicurato che la nostra compagnia era tutta radunata, iniziai il mio soccorso sulla parte interna del marciapiede. Offriva un quadro raccapricciante che assomigliava a un campo di battaglia. In quel momento arrivavano anche centinaia di soldati che effettuarono ricerche tra le macerie con l’aiuto di pale meccaniche e camion, nel tentativo di portare alla luce superstiti. Dovunque erano in azione speciali apparecchiature attrezzate per la ricerca di bombe.

Durante il viaggio verso l’Ospedale Maggiore, accanto a me giacevano due persone completamente schiacciate. Il primario era al corrente che nei successivi minuti sarebbe giunto un gran numero di feriti gravi. Io potei spiegargli la dinamica della disgrazia. In breve tempo l’ospedale fu trasformato in un grande lazzaretto. Il primario impartiva istruzioni ai 30 medici circa arrivati senza essere stati tutti contattati e allo stesso tempo venivano procurati letti e montagne di lenzuola. Allo stesso modo, in brevissimo tempo, furono compilate liste dei diversi feriti degenti nei vari ospedali e le stesse furono portate a conoscenza degli ospedali stessi. Io diedi un’occhiata ai cittadini svizzeri e stabilii che tutti erano curati ottimamente. L’organizzazione in questo senso funzionava perfettamente, tanto che il mio adoperarmi ulteriore apparve a me stesso di disturbo e per questo lo abbandonai. [...]
Cercai in tutto l’ospedale Stephan Vogel, il figlio del mio amico Edgar, che mancava all’appello. [...] Non lo trovai e decisi quindi di ritornare sul luogo dell’incidente. Non avevo denaro. Un uomo all’uscita mi diede spontaneamente 1000 lire. [...] Con il bus mi recai alla stazione, attraversando la città. Il panorama che mi appariva lateralmente mostrava che mi trovavo in una magnifica città. Ebbi perfino il tempo di ammirare il meraviglioso complesso del parco con le fontane. [...] Noi iniziammo la ricerca di Stephan [...] un signore molto gentile iniziò a telefonare per noi nei vari ospedali. Le linee erano occupate. L’uomo mi scrisse i diversi numeri telefonici su un guanto di un soldato. Fummo poi accompagnati all’Ufficio postale della stazione. Il gentile signore che stava alla scrivania deve essere stato il responsabile. Egli telefonò senza sosta e con nostro sollievo scoprì che Stephan si trovava nell’ospedale S.Orsola. [...]

Volli quindi sapere se l’Amministrazione cittadina aveva organizzato un servizio di assistenza e come funzionasse. Alla stazione ci diedero l’indirizzo. Ci recammo in Piazza Maggiore all’Amministrazione della città di Bologna, Dipartimento Sicurezza Sociale. Un grande stato maggiore era mobilitato. Senza complicazioni ci furono date 30.000 lire a persona e ognuno ebbe un “buono per un pasto gratuito da consumarsi presso la Self-service”. Ci fu anche data dell’acqua che, in un simile momento, aveva il valore dell’oro. Nel locale “Self-service” ci fu spiegato che potevamo avere quello che desideravamo. Non credo di aver mai mangiato degli spaghetti migliori in vita mia. Al nostro ritorno presso l’Amministrazione cittadina ci informammo di nuovo circa cittadini svizzeri bisognosi d’aiuto. Ci fu assicurato che per tutti ci si occupava con cura, della qual cosa nel frattempo ci eravamo potuti convincere abbondantemente. Un vigile ci condusse di nuovo alla stazione con l’automobile. La zona della stazione assomigliava a un teatro anfibio. Una moltitudine di persone si era radunata e osservava muta il luogo della disgrazia, chiedendosi il motivo, il senso.

Soltanto ora vedemmo che, dalla parte opposta della stazione, in un raggio di circa 300 metri, tutti i vetri dei negozi erano andati in frantumi ed avemmo nuovamente un’immagine della potenza che doveva aver avuto la bomba. [...]

Esemplare è da considerare anche il servizio di donazione del sangue della popolazione italiana. Migliaia risposero alla chiamata della radio ed il sangue fu donato perfino sulle spiagge adriatiche e inviato a Bologna con l’aereo.

Un caro saluto alla telefonista dell’Amministrazione cittadina di Bologna che, sopraffatta da mediatori, non riusciva più a parlare e piangeva molto, molto amaramente. Dopo questa esposizione dei fatti, non ci riesce certo difficile esternare i nostri ringraziamenti a tutti quelli che al momento del bisogno e durante le ore più difficili della nostra vita ci aiutarono in qualsiasi modo e ci sono stati vicini. Questo ringraziamento non va alle singole persone, bensì a tutta la popolazione di Bologna, poiché abbiamo sentito veramente che ognuno era pronto a porgere la sua mano per prestare aiuto.

Auguriamo alla città di #Bologna un futuro più felice. Una città, entro le cui mura vivono così tante brave persone, non si merita attacchi di questo genere." Hans Jurt, amministratore comunale

Dall' Archivio Storico Comunale - Bologna pubblichiamo questo straordinario racconto di chi visse in prima persona l'orrore, il dolore, lo strazio, la reazione di quel terribile #2agosto1980. Bologna non dimentica. #2agosto40anni #ComunediBologna