venerdì 31 maggio 2019

RACCONTARE STORIE È UNA FORMA DI POTERE

Elena Ferrante, “Per secoli gli uomini hanno colonizzato lo storytelling. Quell’era è finita”

MILANO – Dopo aver terminato a gennaio l’anno di collaborazione con il The Guardian, Elena Ferrante prende la parola sul New York Times con un brillante articolo sul potere e sull’importanza per le donne di.
Trovare una voce autentica, che non sia frutto dell’immaginario maschile che per millenni ha dominato la cultura, è una delle strade fondamentali che le donne devono percorrere per ottenere una reale parità tra i sessi. «Per millenni ogni espressione del potere è stata condizionata dall’atteggiamento maschile nei confronti del mondo. Sembra dunque che le donne possano utilizzare il potere solo nelle maniere in cui gli uomini lo hanno tradizionalmente usato» esordisce Elena Ferrante.
Raccontare storie è una forma di potere
«C’è una forma di potere che mi ha affascinato fin da quando ero piccola, nonostante sia sempre stata ampiamente colonizzata dagli uomini: il potere di raccontare storie. Raccontare storie è una forma di potere, e non una da poco. Le storie danno forma all’esperienza, a volte con forme letterarie tradizionali, a volte ribaltandole, a volte riorganizzandole. Le storie attirano i lettori nella loro tela, e li coinvolgono mettendoli al lavoro, corpo e anima, così che possano trasformare le nere parole sul foglio in persone, idee, sentimenti, azioni, città, mondi, umanità, vita. Raccontare storie, in altre parole, ci dà il potere di portare ordine nel caos del reale sotto il nostro segno, e questo non è molto diverso dal potere politico».
Ho scelto di scrivere perché quando ero piccola – continua Elena Ferrante – erroneamente pensavo che la letteratura fosse particolarmente accogliente nei confronti delle donne. Il Decameron di Boccaccio (1313-1375) ebbe un effetto sconvolgente su di me. Nella sua opera, che è alle origini della grande narrativa italiana ed europea, 10 giovani – 7 donne e 3 uomini a turno si raccontano storie per dieci giorni. All’età di 16 anni trovavo rassicurante che Boccaccio nell’immaginare i suoi narratori, li avesse pensati prevalentemente femminili. C’era speranza. Solo più tardi scoprii che nonostante Boccaccio fosse stato generoso nei confronti delle donne, nel mondo vero le cose erano molto diverse – e continuano ad esserlo. Noi donne siamo state spinte ai margini e asservite, anche quando si trattava delle nostre opere letterarie. È un fatto: biblioteche e archivi di ogni sorta conservano il pensiero e le azioni di un numero sproporzionatamente vasto di uomini illustri. Costruire invece una nostra genealogia, una genealogia femminile, è un compito delicato e arduo».
Sapersi raccontare, senza dover chiedere scusa
La riflessione di Elena Ferrante prosegue collegando la secolare posizione minoritaria delle donne al potere alla mancanza di una vera e propria narrazione al femminile, di una visione femminile del mondo.
«Il potere è ancora fermamente nelle mani degli uomini, e se, in società con una solida tradizione democratica abbiamo più frequentemente accesso a posizioni di comando, ciò accade a condizione che mostriamo di aver interiorizzato il metodo maschile di affrontare e risolvere problemi. Come risultato, troppo spesso ci mostriamo acquiescenti, obbedienti e corrispondiamo alle aspettative maschili. […] Forse ora è il momento di scommettere su una visione femminile del potere – una costruita e imposta dalla forza dei nostri risultati in ogni campo. Per ora la nostra eccezionalità e quella delle minoranze: gli uomini si possono permettere di concederci un po’ di condiscendente riconoscimento, perché ci sono ancora poche donne veramente autonome, che non possono essere asservite, che non possono essere liquidate con l’espressione: “Sei così brava, sei come un uomo”.
«Le sette narratrici del Decameron non avranno più bisogno di appoggiarsi al grande Giovanni Boccaccio per esprimersi. Assieme alle loro innumerevoli lettrici (lo stesso Boccaccio già al tempo sapeva che gli uomini avevano altre cose da fare e leggevano poco), sanno come descrivere il mondo in maniere inaspettate. La narrazione femminile, raccontata con sempre maggiore abilità, senza bisogno di chiedere scusa, deve ora assumere il potere».

sabato 25 maggio 2019

DOLOR Y GLORIA

Abbiamo visto stasera il nuovo film di Almodovar che non ci è solo piaciuto, ma ci ha letteralmente deliziato. Forse abbiamo anche l’età giusta per apprezzarlo e farci toccare. Uscendo, pensavo di avere addosso la stessa sensazione di quando prendo un bel fiore di peonia, non di quelli enormi, ma di un rosa antico delicato, lo metto in un vasetto di vetro e poi lo piazzo sul piano della cucina e il fiore si apre a poco a poco in tutta la sua delicata bellezza. Un dono di bellezza ed emozione, come questo film.

venerdì 24 maggio 2019

LETTERA A SERRA

Sentendomi un po’ stupida a scrivere a un giornale, ho scritto alcuni giorni fa a Michele Serra e, bella sorpresa, Serra mi ha risposto oggi, sul Venerdì di Repubblica. Un onore



La mia lettera era più lunga
Gentile Michele Serra,
devo essere io che non capisco. Sento da mesi, ripetutamente, l’affermazione che il PD deve “tornare a fare politiche di sinistra”, che deve “riscoprire la sua origine popolare”, perché “Renzi ha fatto politiche non di sinistra”.  Mi chiedo però cosa significhi, nelsecondo decennio del Duemila, la parola “sinistra” e ancora più “politiche di sinistra” – quello che vedo spesso riproposto è un’idea di sinistra, e quindi di società, con forti connotazioni novecentesche (ed echi novecenteschi), ma pochissimi hanno tentato di aggiornare questa idea con un mondo che è oggi completamente diverso, in cui gli slogan imperano ma non rappresentano la complessità di una realtà che ci sfugge. 
E allora ho molte domande: è di sinistra fare deficit (e quindi finanziare il welfare come a gran voce chiede “il popolo”- e le virgolette sono solo a significare un concetto ancora più sfuggente del concetto di sinistra) o è di sinistra cercare di tenere i conti pubblici in ordine? È di sinistra mandare la gente in pensione a quarant’anni (come molta parte della sinistra ha sostenuto per decenni) o comunque tenere l’asticella dell’età pensionabile il più bassa possibile (come a gran voce chiede la maggioranza del “popolo”) oppure realizzare che l’Italia è il paese più longevo del mondo (mi sembra che abbiamo sorpassato il Giappone recentemente) anche grazie ad una sanità che si asserisce venga sempre “sottoposta a tagli”E’ di sinistra andare a sostenere la famiglia rom nei suoi legittimi diritti o “il popolo” che la vuole fuori (gli ultimi e i penultimi). Nel dubbio, il PD non ha preso posizione, ma li capisco…..E’ di sinistra sostenere l’occupazione anche mediante un mercato del lavoro regolato, ma non ingessato o è di sinistra solo il lavoro fisso e a tempo indeterminato e a tempo pieno? E’ di sinistra la parola “padrone” o la parola “imprenditore”? E’ di sinistra continuare a stare in questa Europa “delle elites e dei banchieri” o è di sinistra uscire dall’Europa e fare l’Italia “del popolo?. E’ di sinistra pensare che siamo diversi e che bisogna lavorare sulla possibilità di esprime la nostra diversità e le nostre potenzialità compiutamente o è di sinistra pensare che Marchionne e uno dei suoi impiegati devono avere simile retribuzione in quanto eguali? Sono di sinistra i diritti civili o quelli sociali (e aggiungo, non si capisce neanche bene il confine tra i due)? E’ di sinistra tenere aperta l’ILVA  di Taranto (o fare la TAV) perché dà lavoro o chiuderla (o non fare la TAV) per proteggere l’ambiente? Potrei continuare… sono tutte questioni su cui sono più o meno sicura di avere un’opinione, ma che mi mettono in crisi ogni volta. Mi chiedo se chi parla così serenamente di “sinistra” le abbia compiutamente risolte, cerco di stare attenta al dibattito, di informarmi, ma non so chi e che cosa ascoltare sul concetto di “sinistra”. Il problema deve essere mio, visto che gli altri parlano con sicurezza.
Conosco già una delle risposte, mi viene detto che le alternative che pongo non sono vere alternative, ma possono coesistere. Sono non solo d’accordo ma ne sono profondamente convinta, peccato che poi la coesistenza sia tutta da costruire, da definire nelle sue varie sfumature e che porti a quel famoso immobilismo che paralizza la sinistra da almeno settant’anni, al “ma anchismo” , al far fuori i leader non appena si collocano in una interpretazione dell’”essere di sinistra” che definisce aree di priorità ed interpretazione delle alternative sul campo E’ sicuramente una questione di potere, di non invadere i pollai di potere dei numerosi galli che operano sul campo, ma è anche questione di una visione di futuro e di priorità incompiuta, o meglio, inevitabilmente incompiuta.
Se c’è una cosa che mi sembra indispensabile fare, è riaprire il dibattito e la discussione sulle “politiche di sinistra” e sulla visione del futuro e della proposta di un futuro possibile ed è invece l’unica cosa che non vedo portata avanti se non in modi di nicchia, tra intellettuali, in qualche libro o articolo di giornale, ma non con e in mezzo al “popolo”. Senza questo, ho percepito come irrilevante scegliere tra Martina o Zingaretti o Giachetti o chiunque alle primarie cui mi sono doverosamente recata. E vado a votare alle europee non completamente sicura di quello che sto votando. Ma deve essere un mio problema, una mia inadeguatezza personale e quindi irrilevante.
Con cordialità
Silvia Guidi

lunedì 20 maggio 2019

SONO ARRABBIATA

Non è un gran periodo ed è meglio che non scriva - sono molto arrabbiata, in generale, su come vanno le cose intorno (non specifico nemmeno, non serve), al lavoro (il reddito di cittadinanza è un delirio di arrabbiature continue per la disorganizzazione e l’intollerabile ipocrisia che lo reggono), sono persino in quasi lite con Roberto, che evidentemente non ha letto Nietzsche e, in un accesso di collera, ha portato fuori alcune affermazioni che mi hanno fatto profondamente arrabbiare

FRIEDRICH NIETZSCHE, Umano troppo umano, 1878.
Ci sono uomini i quali, quando vanno in collera e offendono gli altri, pretendono per di più, innanzitutto, che uno non si abbia a male di niente, e secondariamente, che si abbia compassione di loro, perché sono soggetti a così violenti parossismi. A tal punto giunge l'arroganza dell'uomo. La collera svuota l'anima, portandone alla luce ogni sedimento. Perciò, quando non ci si sa procurare chiarezza in altro modo, bisogna saper fare andare in collera quelli che ci attorniano, i nostri sostenitori e avversari, per venire a sapere tutto ciò che nel loro fondo accade e viene pensato contro di noi.