Post su Facebook di Maurizio Martina
“Abbiamo terminato il giro di consultazioni con il Presidente Fico, secondo il mandato assegnatoli dal Quirinale. Siamo arrivati a questo dopo 50 giorni di caos, tira e molla e veleni tra le forze che il 4 marzo hanno prevalso. Siamo arrivati a questo non certo per colpa nostra. Salvini e soci che cercano di fare la morale dovrebbero solo tacere ora. E’ stato giusto fino a qui ribadire con coerenza e nettezza che l’onore e l’onere della prova spettasse a loro. Ma loro non ce l’hanno fatta, offrendo solo ambiguità. Ci hanno dato 50 giorni di proclami senza un passo concreto per il Paese. Ora siamo chiamati a una riflessione nuova proprio per questo. Ci viene chiesto di valutare un possibile percorso di confronto con il Movimento Cinque Stelle.
Abbiamo riconosciuto alcuni fatti nuovi, a partire dalla chiusura definitiva del tentativo di accordo tra il Movimento, il centrodestra e la Lega, e abbiamo convocato la nostra direzione nazionale per confrontarci e decidere insieme proprio se aprire o meno questo lavoro. Non sfugge a nessuno di noi che questa strada è difficile e potrebbe anche non portare a una intesa. Nessuno dimentica gli scontri che ci hanno diviso in questi anni dal Movimento Cinque Stelle. Siamo stati e continueremo ad essere esperienze profondamente diverse, alternative su molti fronti. Rivendicheremo sempre con orgoglio il nostro impegno per l’Italia con i nostri governi di questi anni. Non negheremo mai la nostra storia, la nostra identità, i nostri valori. D’altro canto, abbiamo già avuto anche nella nostra storia recente passaggi simili a questo. Si tratta ora di decidere se accettare il confronto o meno per giudicarne gli esiti solo alla fine di un vero lavoro di approfondimento.
Personalmente ritengo che sia nostro dovere farlo, rilanciando la sfida. Andando a vedere il merito di una possibile agenda d’impegni. Non farlo rischia in qualche modo di contribuire all’involuzione del nostro Paese anche sullo scenario europeo.
Penso che in particolare la radicalità di ciò che è accaduto il 4 marzo ci debba portare a questo. Sfidare, non di certo arrenderci. E vorrei pensare che un grande partito come il nostro lo possa fare con la sua visione forte del futuro dell’Italia e con le sue priorità per i cittadini. Senza subalternità. Senza abiure. Senza pregiudizi. Ho grande rispetto per le opinioni di tutti su questo snodo, sono opinioni legittime di fronte a una scelta molto difficile. Ascolto chi non la pensa come me. Prego tutti di discuterne e rifletterci avendo sempre a cuore l’unità del PD e della nostra comunità. Proviamo a ragionarci insieme. C’è davvero bisogno di tutto il PD.”
Non penso che Martina sia uno dei peggiori, sia chiaro, non ce l’ho con lui, ma questo post è surreale, non contiene, scusate il giro di parole, nessun contenuto, a due mesi dalle elezioni. La Direzione nazionale va a decidere se bisogna andare a discutere, ma NESSUNO, nè i Cinquestelle nè il PD ha mai profferito verbo su COSA discutere. CI VERRETE A CHIEDERE SE SIAMO D’ACCORDO, MA SU CHE COSA? Cosa andiamo a portare in un eventuale tavolo a cui i Cinquestelle porteranno il loro vuoto pneumatico e i loro no? Cosa metteremo in scena fingendo di credere alla “chiusura definitiva del tentativo di accordo tra il Movimento, il centrodestra e la Lega”? Cosa ce ne facciamo del nostro “orgoglio dei governi di questi anni” se non si intravvede nemmeno uno straccio di futuro? O sono solo le poltrone che contano?
PS voglio chiarire: non credo assolutamente che sia possibile o auspicabile fare un governo di qualsiasi tipo con i Cinquestelle - credo sia bene non farlo, ma in base a una discussione sui contenuti e non su un teatrino rispetto a chi “ce l’ha più duro”.
domenica 29 aprile 2018
(INEVITABILI?) AGGIORNAMENTI DAL GIARDINO 2
(INEVITABILI?) AGGIORNAMENTI DAL GIARDINO
Una acquisizione di quest’anno, nome dimenticato ma bellissima piantina |
giovedì 26 aprile 2018
TUTTO SOMMATO, ANCORA ARISTOI
Recente penosa vicenda.
Amaca di Serra del 20 aprile
Che ha scatenato il peggio del web costringendo Serra a chiarire
Una mia recente Amaca sulle aggressioni agli insegnanti ha sollevato, su alcuni giornali e sui social, una rovente discussione. In estrema sintesi: ho attribuito alla "struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società" il maggiore tasso di aggressività e di indisciplina che si registra (stando alle cronache) nelle scuole tecnico-professionali e nelle medie inferiori rispetto ai licei, frequentati quasi solo "dai figli di quelli che hanno fatto il liceo".
Poiché, scrivendo una nota di 1500 caratteri, si è costretti a evitare la zavorra dell'ovvio, non ho aggiunto che esistono fior di liceali screanzati e arroganti, e borgatari gentili e brillanti che ogni professore vorrebbe avere nella sua classe. Mi interessava dire del macro-fenomeno, e in buona sostanza, non citandolo, di ripetere l'antica lezione di don Milani sulla "scuola di classe". (Vale ricordare, in proposito, recenti polemiche su alcune auto-promozioni di eleganti licei romani e milanesi, orgogliosi di avere nelle proprie aule alunni, come dire, ben selezionati socialmente).
In altri tempi qualcuno mi avrebbe accusato di fare del facile sociologismo di sinistra, offrendo un alibi ai violenti, vedi la conclusione di quell'Amaca: sono "i poveri che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori". Ma i tempi devono essersi ribaltati, davvero ribaltati, se invece in molti hanno scelto di rivolgermi esattamente l'imputazione opposta, accusandomi di "classismo" e di "puzza sotto il naso", nel solco del molto logoro, molto falsificante ma sempre trionfante cliché "quelli dell'establishment contro quelli del popolo".
Ora: fino a che sono i social a chiamarmi in causa, sono costretto a replicare che non posso replicare. Non certo per alterigia ma per una ragione oggettiva sulla quale sarebbe importantissimo, e liberatorio, che tutti riflettessimo, dal prestigioso intellettuale allo hater seriale: la moltitudine dei commenti (non tutti, ovviamente) NON riguarda quello che ho scritto, riguarda la sua eco, i commenti ai commenti, voci relate, fonti in brevissimo tempo vaghe e remote. Il testo (i 1500 caratteri della mia Amaca, insomma le mie parole) quasi non vale più. Quasi nessuno lo legge fino in fondo e lo analizza. Vale il caotico, per certi versi mostruoso contesto del chattismo compulsivo, così compulsivo che perde il filo del discorso già in partenza. E dunque alle migliaia di persone che, sui social, mi hanno sommerso di accuse e di invettive, sono costretto a dire, in buona amicizia: voi non state parlando di me e non state parlando di quello che ho scritto, dunque scusate ma non posso rispondervi. Non è che non voglio: non posso. Le parole sono troppo importanti perché se ne possa fare un uso così approssimativo.
Molto più rilevante, invece, è che l'accusa di "classismo" mi arrivi da un giornalista, Luca Telese, che conosce a fondo la storia della sinistra italiana. Se Telese considera "classista" che qualcuno indichi la differenza di classe e l'ignoranza come cause, o perlomeno concause, della violenza e della devianza sociale, allora significa che davvero il paradigma è totalmente ribaltato. E' diventato "contro il popolo" ciò che a quelli come me, lungo una intera vita, è sempre sembrato il più potente argomento "a favore del popolo": denunciarne la subalternità economica e culturale, dire il prezzo che paga, il popolo, alla sua mancanza di mezzi materiali (i quattrini) e immateriali (la conoscenza, l'educazione).
Non è più neanche un equivoco, è una vera e propria legge mediatica quella che negli ultimi anni bolla come "snob" ogni definizione possibile immaginabile del gap di classe. Se dici che i poveri mangiano peggio dei benestanti, non è perché denunci (vedi la sacrosanta campagna di Michelle Obama) il disastro sanitario provocato dal junk food, è perché sei un fighetto che mangia solo lardo di Colonnata e cardo gobbo. Se dici che i poveri ricevono informazioni di minore qualità e spesso nessuna informazione, e sono dunque più esposti a manipolazioni politiche e veleni mediatici (junk media...) sei solo uno spocchioso spregiatore di chi ha studiato meno di te. Se dici che nelle scuole meno qualificate si addensano più facilmente i rischi di turbolenza sociale, spesso diretta conseguenza della condizione familiare, ecco che sei subito "classista".
Se oggi Friedrich Engels pubblicasse "Le condizioni della classe operaia in Inghilterra", i social lo aggredirebbero, chiedendosi "come si permette, questo borghese con il culo al caldo, di parlare così male del popolo dei suburbi". Se Karl Marx scrivesse le sue severe considerazioni sul Lumpenproletariat (proletariato straccione), o il socialista Orwell riscrivesse il suo reportage sul "cattivo odore del proletariato", idem. La contraffazione oramai è perfetta: non dire mai che il popolo "sta sotto", non dire che è messo male, non dire che ha meno e che sa di meno, non dire che ieri era carne da cannone e oggi carne da pubblicità, non dire che al popolo cinquant'anni fa si dava in prima serata l'Odissea di Franco Rossi e oggi gli si danno filmacci americani con sparatoria e squartamento, perché vuol dire che lo consideri inferiore...
Peccato che l'intera storia della sinistra parta dalla coscienza della sottomissione dei ceti popolari. La sua storia migliore è storia di emancipazione non solamente economica, anche culturale. La sua storia migliore è l'alfabetizzazione di massa, sono le centocinquanta ore di studio per i lavoratori di fabbrica, è il mito del figlio laureato per i genitori operai che non hanno potuto studiare, è Di Vittorio che convince i cafoni di campagna ad andare in città, alla domenica, con il cappello in testa, come fanno i signori. Non è colpa della sinistra - almeno questo addebito ci sia risparmiato - il fatto che nella nostra società, da un certo punto in poi (in Italia: da Berlusconi in poi) gli esseri umani sono diventati consumatori da ingozzare, telespettatori da rintronare di spot, gregge da tosare, massa amorfa che "ragiona come un bambino di otto anni" (Berlusconi); e di pari passo la cultura è parsa soprattutto un lusso per privilegiati, o addirittura una maschera del potere. Non più un'arma da espugnare, costringendo i ceti dominanti a spalancare le porte delle scuole e delle università; ma un orpello da disprezzare, valorizzando in antitesi la voce grossa, i modi rozzi, il "parlare semplice" come altrettante virtù "popolari". E' il populismo: forse la cosa più antipopolare, dunque più di destra, mai inventata sulla faccia della terra.
Lo sdoganamento dell'ignoranza è uno dei più atroci inganni perpetuato ai danni del popolo, ed io penso (e lo scrivo da decenni) che faccia perfettamente parte dello sdoganamento dell'ignoranza l'idea che sia "classista" indicare con il dito proprio la luna: ovvero la differenza di classe. E' quello che ho cercato di fare in quella famigerata Amaca; nel caso non mi fossi spiegato a sufficienza, spero di averlo fatto meglio adesso.
A questo siamo arrivati e torniamo alla questione aristoi - non conta più niente, non vale più niente, se non il senso di onnipotenza che dà una tastiera - i ragionamenti non contano, conta solo riversare rabbia su chi è ancora capace di farli e pervicacemente continua.
Amaca di Serra del 20 aprile
Una mia recente Amaca sulle aggressioni agli insegnanti ha sollevato, su alcuni giornali e sui social, una rovente discussione. In estrema sintesi: ho attribuito alla "struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società" il maggiore tasso di aggressività e di indisciplina che si registra (stando alle cronache) nelle scuole tecnico-professionali e nelle medie inferiori rispetto ai licei, frequentati quasi solo "dai figli di quelli che hanno fatto il liceo".
Poiché, scrivendo una nota di 1500 caratteri, si è costretti a evitare la zavorra dell'ovvio, non ho aggiunto che esistono fior di liceali screanzati e arroganti, e borgatari gentili e brillanti che ogni professore vorrebbe avere nella sua classe. Mi interessava dire del macro-fenomeno, e in buona sostanza, non citandolo, di ripetere l'antica lezione di don Milani sulla "scuola di classe". (Vale ricordare, in proposito, recenti polemiche su alcune auto-promozioni di eleganti licei romani e milanesi, orgogliosi di avere nelle proprie aule alunni, come dire, ben selezionati socialmente).
In altri tempi qualcuno mi avrebbe accusato di fare del facile sociologismo di sinistra, offrendo un alibi ai violenti, vedi la conclusione di quell'Amaca: sono "i poveri che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori". Ma i tempi devono essersi ribaltati, davvero ribaltati, se invece in molti hanno scelto di rivolgermi esattamente l'imputazione opposta, accusandomi di "classismo" e di "puzza sotto il naso", nel solco del molto logoro, molto falsificante ma sempre trionfante cliché "quelli dell'establishment contro quelli del popolo".
Ora: fino a che sono i social a chiamarmi in causa, sono costretto a replicare che non posso replicare. Non certo per alterigia ma per una ragione oggettiva sulla quale sarebbe importantissimo, e liberatorio, che tutti riflettessimo, dal prestigioso intellettuale allo hater seriale: la moltitudine dei commenti (non tutti, ovviamente) NON riguarda quello che ho scritto, riguarda la sua eco, i commenti ai commenti, voci relate, fonti in brevissimo tempo vaghe e remote. Il testo (i 1500 caratteri della mia Amaca, insomma le mie parole) quasi non vale più. Quasi nessuno lo legge fino in fondo e lo analizza. Vale il caotico, per certi versi mostruoso contesto del chattismo compulsivo, così compulsivo che perde il filo del discorso già in partenza. E dunque alle migliaia di persone che, sui social, mi hanno sommerso di accuse e di invettive, sono costretto a dire, in buona amicizia: voi non state parlando di me e non state parlando di quello che ho scritto, dunque scusate ma non posso rispondervi. Non è che non voglio: non posso. Le parole sono troppo importanti perché se ne possa fare un uso così approssimativo.
Molto più rilevante, invece, è che l'accusa di "classismo" mi arrivi da un giornalista, Luca Telese, che conosce a fondo la storia della sinistra italiana. Se Telese considera "classista" che qualcuno indichi la differenza di classe e l'ignoranza come cause, o perlomeno concause, della violenza e della devianza sociale, allora significa che davvero il paradigma è totalmente ribaltato. E' diventato "contro il popolo" ciò che a quelli come me, lungo una intera vita, è sempre sembrato il più potente argomento "a favore del popolo": denunciarne la subalternità economica e culturale, dire il prezzo che paga, il popolo, alla sua mancanza di mezzi materiali (i quattrini) e immateriali (la conoscenza, l'educazione).
Non è più neanche un equivoco, è una vera e propria legge mediatica quella che negli ultimi anni bolla come "snob" ogni definizione possibile immaginabile del gap di classe. Se dici che i poveri mangiano peggio dei benestanti, non è perché denunci (vedi la sacrosanta campagna di Michelle Obama) il disastro sanitario provocato dal junk food, è perché sei un fighetto che mangia solo lardo di Colonnata e cardo gobbo. Se dici che i poveri ricevono informazioni di minore qualità e spesso nessuna informazione, e sono dunque più esposti a manipolazioni politiche e veleni mediatici (junk media...) sei solo uno spocchioso spregiatore di chi ha studiato meno di te. Se dici che nelle scuole meno qualificate si addensano più facilmente i rischi di turbolenza sociale, spesso diretta conseguenza della condizione familiare, ecco che sei subito "classista".
Se oggi Friedrich Engels pubblicasse "Le condizioni della classe operaia in Inghilterra", i social lo aggredirebbero, chiedendosi "come si permette, questo borghese con il culo al caldo, di parlare così male del popolo dei suburbi". Se Karl Marx scrivesse le sue severe considerazioni sul Lumpenproletariat (proletariato straccione), o il socialista Orwell riscrivesse il suo reportage sul "cattivo odore del proletariato", idem. La contraffazione oramai è perfetta: non dire mai che il popolo "sta sotto", non dire che è messo male, non dire che ha meno e che sa di meno, non dire che ieri era carne da cannone e oggi carne da pubblicità, non dire che al popolo cinquant'anni fa si dava in prima serata l'Odissea di Franco Rossi e oggi gli si danno filmacci americani con sparatoria e squartamento, perché vuol dire che lo consideri inferiore...
Peccato che l'intera storia della sinistra parta dalla coscienza della sottomissione dei ceti popolari. La sua storia migliore è storia di emancipazione non solamente economica, anche culturale. La sua storia migliore è l'alfabetizzazione di massa, sono le centocinquanta ore di studio per i lavoratori di fabbrica, è il mito del figlio laureato per i genitori operai che non hanno potuto studiare, è Di Vittorio che convince i cafoni di campagna ad andare in città, alla domenica, con il cappello in testa, come fanno i signori. Non è colpa della sinistra - almeno questo addebito ci sia risparmiato - il fatto che nella nostra società, da un certo punto in poi (in Italia: da Berlusconi in poi) gli esseri umani sono diventati consumatori da ingozzare, telespettatori da rintronare di spot, gregge da tosare, massa amorfa che "ragiona come un bambino di otto anni" (Berlusconi); e di pari passo la cultura è parsa soprattutto un lusso per privilegiati, o addirittura una maschera del potere. Non più un'arma da espugnare, costringendo i ceti dominanti a spalancare le porte delle scuole e delle università; ma un orpello da disprezzare, valorizzando in antitesi la voce grossa, i modi rozzi, il "parlare semplice" come altrettante virtù "popolari". E' il populismo: forse la cosa più antipopolare, dunque più di destra, mai inventata sulla faccia della terra.
Lo sdoganamento dell'ignoranza è uno dei più atroci inganni perpetuato ai danni del popolo, ed io penso (e lo scrivo da decenni) che faccia perfettamente parte dello sdoganamento dell'ignoranza l'idea che sia "classista" indicare con il dito proprio la luna: ovvero la differenza di classe. E' quello che ho cercato di fare in quella famigerata Amaca; nel caso non mi fossi spiegato a sufficienza, spero di averlo fatto meglio adesso.
A questo siamo arrivati e torniamo alla questione aristoi - non conta più niente, non vale più niente, se non il senso di onnipotenza che dà una tastiera - i ragionamenti non contano, conta solo riversare rabbia su chi è ancora capace di farli e pervicacemente continua.
DE SENECTUTE - SOLITUDINE
Questa mi fa davvero paura... eppure è una delle inevitabili componenti della vecchiaia - spero di essere tra le prime ad andarmene...
DE SENECTUTE - CREATIVITÀ E GENERATIVITÀ (LA VOCE)
(da Francesca Rigotti, De senectute, Einaudi, 2018)
(Socrate/Platone) le donne godono della creatività fisica, possono procreare, gli uomini della creatività spirituale, possono creare, anzi (Simposio) gli uomini, e soltanto loro, godono della doppia creatività. Ci sono due modi in cui i maschi possono essere gravidi: katà tà sòmata - secondo il corpo e katà tà psychén -secondo l’anima. Alcuni uomini preferiscono il primo tipo di fecondità, generano una prole e si perpetuano nei figli, cioè nei frutti del loro corpo; altri preferiscono il secondo e si perpetuano nel pensiero, nella saggezza e nella giustizia, cioè nei frutti dell’anima. In entrambi i casi si raggiungono forme di immortalità: una avviene attraverso la generazione dei corpi, l’altra tramite la generazione dello spirito. Il primo tipo di procreazione avviene, però, al maschile, in relazione alla specie: con la riproduzione della specie le città fioriscono e la specie umana si prolunga senza fine nel tempo. La procreazione dei singoli è invece compito delle donne.
Il modello mentale teorizza che gli uomini non possono mettere al mondo figli di carne cosí come le donne non possono partorire figli di carta. UNA IDIOZIA , ovviamente, ma che tocco con mano quando se si discute tra amici di politica le donne tendono a sottrarsi o ad essere sottovalutate, come se fossero portatrici di una voce più debole.
Le donne in età da nonne che ne hanno il tempo e l’agio devono soltanto (ma non è poco!) trovare la molla, la spinta per agire e pensare con passione creativa, mettendo al mondo le proprie idee o aiutando altri a farlo, senza però limitarsi al ruolo di levatrici di pensiero altrui. Importante è continuare a seguire fini che danno senso alla vita, importante è essere creativi o creative scrivendo un libro, tenendo un diario (o un blog?) o facendo un viaggio o una torta, conservare passioni e compassioni; importante e bello è ricordare il passato, ispezionandolo e riflettendo sulla propria vita, con molta moderazione, però, senza permettergli di occupare tutto lo spazio della mente. Il ricordo è come il cammino della talpa che scava il passato e lo porta fuori, nel presente:dalla combinazione tra osservazioni sul presente e ricordi del passato emerge una ricchezza creativa e interpretativa di cui può godere soltanto chi ha molto passato da comparare con il presente.
La tradizione vuole la donna creativa canora, corporea e impolitica, creativa sensuale ed emozionale che recita, canta e danza e al più abbellisce il discorso razionale maschile su temi importanti. Che fare della voce della donna vecchia, la voce della Sibilla, se non potrà cantare?
Raccontare se stesse con la propria voce, articolandola in forma di parole proprie, orali e scritte, per dire chi si è, cosa che le donne già sanno fare abbastanza bene, e che cosa sono le cose, capacità che invece si autoattribuiscono gli uomini- questo sí che si può fare, come si può trattenere la propria voce e dar luogo al silenzio, non al silenzio che opprime e soffoca la voce ma a quello caldo e ovattato che le fa da ricettacolo. La voce delle donne vecchie può articolarsi in mille modi, sino alla formalizzazione del pensiero razionale, il logos, e del pensiero politico con il suo pathos - una voce per affermare, oltre che i diritti degli altri, i diritti dei vecchi e i diritti delle vecchie.
(Socrate/Platone) le donne godono della creatività fisica, possono procreare, gli uomini della creatività spirituale, possono creare, anzi (Simposio) gli uomini, e soltanto loro, godono della doppia creatività. Ci sono due modi in cui i maschi possono essere gravidi: katà tà sòmata - secondo il corpo e katà tà psychén -secondo l’anima. Alcuni uomini preferiscono il primo tipo di fecondità, generano una prole e si perpetuano nei figli, cioè nei frutti del loro corpo; altri preferiscono il secondo e si perpetuano nel pensiero, nella saggezza e nella giustizia, cioè nei frutti dell’anima. In entrambi i casi si raggiungono forme di immortalità: una avviene attraverso la generazione dei corpi, l’altra tramite la generazione dello spirito. Il primo tipo di procreazione avviene, però, al maschile, in relazione alla specie: con la riproduzione della specie le città fioriscono e la specie umana si prolunga senza fine nel tempo. La procreazione dei singoli è invece compito delle donne.
Il modello mentale teorizza che gli uomini non possono mettere al mondo figli di carne cosí come le donne non possono partorire figli di carta. UNA IDIOZIA , ovviamente, ma che tocco con mano quando se si discute tra amici di politica le donne tendono a sottrarsi o ad essere sottovalutate, come se fossero portatrici di una voce più debole.
Le donne in età da nonne che ne hanno il tempo e l’agio devono soltanto (ma non è poco!) trovare la molla, la spinta per agire e pensare con passione creativa, mettendo al mondo le proprie idee o aiutando altri a farlo, senza però limitarsi al ruolo di levatrici di pensiero altrui. Importante è continuare a seguire fini che danno senso alla vita, importante è essere creativi o creative scrivendo un libro, tenendo un diario (o un blog?) o facendo un viaggio o una torta, conservare passioni e compassioni; importante e bello è ricordare il passato, ispezionandolo e riflettendo sulla propria vita, con molta moderazione, però, senza permettergli di occupare tutto lo spazio della mente. Il ricordo è come il cammino della talpa che scava il passato e lo porta fuori, nel presente:dalla combinazione tra osservazioni sul presente e ricordi del passato emerge una ricchezza creativa e interpretativa di cui può godere soltanto chi ha molto passato da comparare con il presente.
La tradizione vuole la donna creativa canora, corporea e impolitica, creativa sensuale ed emozionale che recita, canta e danza e al più abbellisce il discorso razionale maschile su temi importanti. Che fare della voce della donna vecchia, la voce della Sibilla, se non potrà cantare?
Raccontare se stesse con la propria voce, articolandola in forma di parole proprie, orali e scritte, per dire chi si è, cosa che le donne già sanno fare abbastanza bene, e che cosa sono le cose, capacità che invece si autoattribuiscono gli uomini- questo sí che si può fare, come si può trattenere la propria voce e dar luogo al silenzio, non al silenzio che opprime e soffoca la voce ma a quello caldo e ovattato che le fa da ricettacolo. La voce delle donne vecchie può articolarsi in mille modi, sino alla formalizzazione del pensiero razionale, il logos, e del pensiero politico con il suo pathos - una voce per affermare, oltre che i diritti degli altri, i diritti dei vecchi e i diritti delle vecchie.
mercoledì 25 aprile 2018
COMPIO SESSANT’ANNI
Eh, sí, tra qualche mese compio sessanta anni - sembra impossibile... per prepararmi sto riflettendo sul tema vecchiaia e leggo un po’ senza pretesa di metodo quindi penso di fare in futuro qualche post di DE SENECTUTE senza pretesa di chissà che, ma in cerca di qualche piccola via di senso.
D’altra parte, questi sono gli “ultimi fuochi”...
D’altra parte, questi sono gli “ultimi fuochi”...
sabato 21 aprile 2018
SOLO IN SVIZZERA
Messaggio Whatsapp di Anna, oggi
Abbiamo riportato i miei sci al negozio... in bici 😝
17 km di bici con gli sci in spalla in mezzo alle foreste. Solo in Svizzera... 😆😆
sabato 14 aprile 2018
PERSONE IN DIFFICOLTÀ
In questo momento il mio pensiero va a quelle persone in difficoltà, a quegli italiani che soffrono per i civili siriani e che due secondi prima li volevano affogare quando venivano da noi coi barconi.
(Massimo Bozza, Lateral)
(Massimo Bozza, Lateral)
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