giovedì 11 maggio 2017

RAGAZZI FRAGILI

Aproposito della relazione genitori e figli il nostro tempo sembra sostenere due imposture o, se si preferisce, due retoriche pedagogiche egualmente distorte. La prima è quella delle regole. Esiste una vera e propria industria culturale che produce libri di ogni genere e specie che dovrebbero accompagnare i genitori nel loro dressage disciplinare del figlio. Il volto severo, oscuro e minaccioso della Legge è stato sostituito con quello più moderato e pragmatico delle regole. Una serie per ogni sequenza comportamentale. I manuali di "psicopedagogia" prêt-à-porter nordamericani, ma anche nostrani, ne sono infarciti: come fare per addormentare il proprio bambino, per farlo mangiare, per farlo studiare, per farlo socializzare. Questo nuovo impero della regola si associa solitamente a quello della medicalizzazione sospinta della vita: educare significa normalizzare e se un figlio dimostra di non corrispondere all'ideale positivo della normalità sarà immediatamente consegnato alla presa severa della diagnosi psichiatrica che, non a caso, la versione recente del "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali" sembra estendere a ogni livello dell'esperienza non negando a nessuno la sua etichetta (che è sempre una piccola etica, ironizzava Lacan): disturbi dell'appetito, dell'apprendimento, dell'attenzione, del sonno, dell'umore, eccetera. Il mito della regola e quello dell'uso inflattivo dell'etichettamento diagnostico si sostituiscono così al lavoro duro, paziente e incerto dell'educazione.
La seconda impostura dominante è quella del dialogo, dell'empatia e della comprensione reciproca tra genitori e figli.
Chi oggi riuscirebbe, senza essere osservato con sospetto, a introdurre il dubbio che forse il dialogo tra genitori e figli è una chimera, una illusione, che dialogare con i propri figli si rivela molto spesso un'attività del tutto inconcludente? Consiglio a questo proposito la lettura attenta di Pastorale americana di Philip Roth dove gli sforzi generosi e inesausti del mitico "svedese" di dialogare con la propria figlia adolescente si rivelano votati fatalmente allo scacco. Chi oggi avrebbe il coraggio di ricordare che più che comprendere i propri figli il vero dono della genitorialità è quello di rispettare il loro segreto, ovvero la particolarità insostituibile, talvolta ai nostri occhi bizzarra e, appunto, del tutto incomprensibile, del loro desiderio? Desiderio che non può che manifestarsi, sé è davvero tale, ovvero se è il desiderio del figlio, come una deviazione anarchica dal "piano della famiglia", come il giovanissimo Giacomo Leopardi lamentava nella sua accorata lettera al padre Monaldo. Lo sappiamo per esperienza: molto spesso il dialogo coi figli non mira tanto ad ascoltare davvero la parola del figlio ma a volerlo condurre sulla via che noi riteniamo la più giusta. La responsabilità educativa non può dunque essere ridotta né alla determinazione prescrittiva delle regole (ivi compresa la classificazione del comportamento deviante da tali regole come necessariamente patologico), né al perseguimento della comprensione empatica che spesso significa assimilare la vita del figlio ai progetti dei genitori. La via è assai più stretta e scomoda e nessun manuale potrà dispensarci dalle difficoltà. Questo significa fare spazio alle possibilità della caduta, dello smarrimento e del fallimento.
Non dovremmo, infatti, come genitori mai dimenticarci che ogni figlio è, in quanto erede, un figlio eretico, cioè diverso da come noi ci attendavamo che fosse. Il grande dono della genitorialità non è amarlo nonostante questa differenza, ma proprio a causa di questa differenza.
(Massimo Recalcati, la Repubblica, 10 maggio 2017)

Trovo questo articolo molto condivisibile e fondamentale nella comprensione del rapporto vecchi-giovani. Ho solo una sottolineatura da fare e si insinua nella "via stretta e storta":nel riconoscimento della ereticità necessaria del crescere credo che i genitori abbiano un piccolo portafoglio da spendere che deriva dal credito come adulti e come testimoni. Questo credito, speso non sulla coercizione, ma sull'affetto, può offrire ai figli il patrimonio dell'esperienza - la velocità del crescere ha bisogno della lentezza dell'essere, dell'esserci, dell'essere interlocutori, specie nei momenti di transizione e crisi.

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