«Lasciare il Pd? Come strappare un cerotto: fa male, però dopo si sta meglio» dichiara con noncuranza D’Alema, la vasta mente già proiettata sulle prossime disfatte. E a chi lo ascolta cascano i cerotti e magari non solo quelli. Ma come? Avete occupato per anni la scena mediatica con la cronaca dei vostri bisticci da cortile spacciati per questioni di principio. Avete bloccato per almeno un anno i lavori del Parlamento con la disfida dei Sì e dei No, le leggi elettorali perennemente interrotte, le paccottiglie tattiche su primarie aperte, chiuse o cabriolet. Poi le correnti, gli spifferi, le scissioni agitate come clave di pastafrolla, le elezioni anticipabili, i governi a scadenza tipo yogurt. E tutto questo, dicevate, perché il Pd era il centro pulsante del sistema. L’architrave della democrazia. Avete creato intorno alla sua disgregazione un clima solenne da tragedia nazionale. E adesso che il dramma è finalmente compiuto, il capo dei congiurati minimizza il suo stesso operato e celebra il distacco con un’alzata di spalle? Se ne deduce che il primo a non avere mai creduto fin dall’inizio che il Pd fosse una cosa seria è stato lui, con buona pace dei militanti che invece ci avevano investito tempo e passione, e oggi si sentono sconfitti come coniugi alle prese con un fallimento matrimoniale. Si è strappato il cerotto, dice. Il guaio è che, prima di strapparselo, se l’era messo, indossandolo per anni come una medaglia. Perché a questo ormai si è ridotta la politica. A un mettere e togliere cerotti sopra ferite che non guariscono mai.
(Massimo Gramellini, Corriere della Sera, 8 marzo 2017)
Non mi dà proprio soddisfazione dire che da anni io l'avevo detto, solo malinconia per chi ci aveva creduto (e magari continua a crederci)
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