martedì 30 giugno 2020

OCLOCRAZIA

OCLOCRAZIA

SIGNIFICATO Regime in cui le masse prevalgono facendo valere le proprie istanze, mosse da passione viscerale, anche cercando di prevaricare la legge
ETIMOLOGIA dal greco okhlokratía ‘potere della folla’, composto di ókhlos ‘folla’ e -kratía ‘potere’.
Davanti a parole di questo genere si deve fare molta attenzione, perché a dispetto del loro valore sono scivolose, e possono voler esercitare un carisma improprio.
Se leggiamo la definizione, ci sembra limpida: l'oclocrazia è un regime in cui le masse prevalgono facendo valere le proprie istanze, mosse da passione viscerale, anche cercando di prevaricare la legge. Ma prima di lanciarci a dire quanto un termine dell'antichità classica sia così calzate per rappresentare questa o quella situazione di oggi, è importante fare qualche considerazione.
Il termine è usato per la prima volta in greco dallo storico greco Polibio, vissuto nel II secolo a.C., negli anni in cui Roma conquistò la Grecia. Nelle sue Storie, fra l'altro, specula sull'anaciclosi, un ciclo di forme di governo che finirebbe per ripetersi in un susseguirsi di degenerazioni e rivoluzioni — la monarchia degenera in tirannide, che è rovesciata dall'aristocrazia, che degenera in oligarchia, che è rovesciata dalla democrazia, che degenera in oclocrazia, su cui si restaura una monarchia. Saremmo quindi davanti a una degenerazione della democrazia.
Beninteso: è una degenerazione della democrazia per come era intesa dai nostri nonni di epoca classica, cioè un governo quasi diretto, in cui il potere è sì nelle mani del popolo, ma di un popolo-minoranza da cui erano escluse le donne, così come gli stranieri e gli schiavi. Quella forma di governo non è la democrazia che intendiamo noi. E già questo rilievo fa scricchiolare un'attualizzazione semplice dell'oclocrazia.
Inoltre, il recupero di questo concetto in italiano avviene nel Rinascimento; e va considerato che da allora fino a pochi decenni fa il concetto di un possibile 'governo del popolo', oclocratico ma anche democratico, era paventato come temibile e degenere. E oggi?
Mentre monarchia e tirannide, aristocrazia e oligarchia, sono termini dai contorni netti, il termine 'oclocrazia' risulta difficile da mettere a fuoco, e specie da distinguere dalla democrazia. Però le parole dotte e ricercate devono riuscire a dire qualcosa di preciso e importante, devono portare dei significati tagliati come gemme, altrimenti sono fumo negli occhi.
L'oclocrazia, allo stato attuale, vuole avere un significato che però è tutt'altro che limpido, per lo scarto con le cornici e contesti in cui è stata generata, presa in prestito e sviluppata. È una parola che, a confronto delle altre che identificano altre organizzazioni della sfera politica, non è maturata. Figlia di un susseguirsi di concezioni elitiste, vuole essere qualcosa di diverso dalla democrazia quando sostanzialmente non lo è. Anche nella nostra storia repubblicana è capitato a più riprese che le masse si muovessero per far valere le proprie istanze in maniera appassionata, a volte in maniera luminosa e fraterna, altre in maniera bassa ed egoista, mosse da guide lungimiranti e arruffapopoli — ed è parte del gioco.
Non si può chiamare democrazia quando ci piace come funziona e oclocrazia quando non ci piace come funziona. O meglio, si può, ma non è un uso penetrante — mentre parole così imponenti o si usano in maniera penetrante e netta o puzzano di supponenza. Anche perché è spesso una copertura: attaccare l'oclocrazia appare sempre doveroso e facile, ed è un modo comodo di non esporsi muovendo una critica alla democrazia.
Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/oclocrazia

sabato 13 giugno 2020

ARRUFFAPOPOLI

ARRUFFAPOPOLI
SIGNIFICATO Sobillatore con secondi fini
ETIMOLOGIA voce coniata da Giuseppe Giusti forse nel 1848, composto di arruffare (che è dal longobardo ricostruito raffen 'strappare') e popolo.
Una parola può essere ricercata senza essere dotta in maniera inaccessibile. Qui siamo davanti a un termine di questo tipo, che coglie una figura eterna esaltandone profili specifici in maniera brillante.
L'idea poetica che costituisce l'arruffapopoli è mirabile, e non ci stupisce scoprirla parola d'autore, coniata da Giuseppe Giusti a metà Ottocento. Se chiediamo ai dizionari, l'arruffapopoli (o arruffapopolo) è un sobillatore, qualcuno che incita la gente alla rivolta — specie con secondi fini. Ma per evitare di appiattirlo, è bello vedere che cosa ne diceva il Giusti descrivendolo.
Ateo salmista, apostolo d'inganno:
Vile se t'odia, se ti palpa abietto;
Monco al ferro, centimano al sacchetto;
Nel no, maestro di color che sanno [...]
L'arruffapopoli crea disordine e scompiglio in un gruppo come fosse una chioma, e lo fa con la sua doppiezza, dividendo e annodando. Lo significa con l'arruffare, verbo ruvido di origine germanica, longobarda (il ricostruito raffen significa 'strappare'), composto con popolo. Non ha la larghezza carismatica e pastorale del demagogo, né è vago come l'agitatore o difficile da comprendere come il populista, che per quanto sulla cresta dell'onda non ci rende un'immagine immediatamente definita: l'arruffapopoli spicca specificamente per la sua straordinaria capacità di essere totalmente contraddittorio, per la sua ricerca costante della minore resistenza: una chimera bizzarra in cui superbia, viltà e inettitudine si muovono insieme in maniera rozza ma efficace per manipolare e confondere il popolo. Infine, lo attende il premio di qualche ombroso tornaconto personale.
Questa parola ha il vantaggio elevato di essere precisa e immediatamente evocativa. Anche chi non l'ha mai sentita prima è subito in grado di apprezzarla, senza spiegazioni. L'arruffapopoli è un mestatore inserito in una dimensione politica: prospera nel disordine che coltiva in maniera diabolica, senza costruire nulla.
Parleremo dell'arruffapopoli che salta di qua e di là dalla barricata spargendo torti e dubbi incompatibili per indebolire tutte le posizioni tranne la sua; al dibattito l'arruffapopoli risponde alle domande in maniera inconseguente, caotica e incendiaria; e da arruffapopoli ci si guadagna una notorietà che permetterà un lauto raccolto.
Una figura ricca, sfaccettata e senza tempo, che si può riconoscere in ogni frangente storico — e che anzi è importante saper riconoscere per guardarsene.

Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/arruffapopoli

lunedì 8 giugno 2020

OVERACHIEVERS

Oggi l’Anna ha mandato alla chat di Famiglia questo bell’articolo di Elasti

Il commento di Anna:
Bellissimo! Noi per fortuna abbiamo avuto due genitori overachievers ma in campi completamente separati quindi nessuno dei due si è mai arrabbiato

Il mio commento: Beh...

mercoledì 3 giugno 2020

BARATRO

Piccola premessa necessaria: da un po’ di tempo (sono andata a vedere, dal 13 febbraio 2020) ho creato una chat tra i membri della mia famiglia denominata “Il dimenticatoio” dal nome di un libro
Che contiene duemila parole dimenticate. Ogni sera, mando alla chat dieci parole con i loro significati (siamo attualmente alla lettera I. Aggiungo poi da qualche tempo l’approfondimento quotidiano su una parola che trovo in un sito specifico (unaparolaalgiorno.it). È un po’ così, per farci compagnia, un picvolo vezzo. Oggi l’approfondimento era BARATRO
 SIGNIFICATO Precipizio, voragine; rovina
ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino bàrathrum, prestito dal greco bárathron 'voragine', che in particolare indicava una voragine vicino ad Atene.
C'era presso Atene una voragine che veniva utilizzata per scagliarvi dentro i condannati a morte. Ci finivano i criminali politici, ci finivano gli ambasciatori impertinenti (come quelli di Serse di Persia). Si trovava nel demo di Keiriàdai, di collocazione che oggi è incerta, ma probabilmente poco a overst dell'Acropoli, su una ridente collina. Era il bárathron.
E in effetti in greco quello è rimasto il baratro per antonomasia, nonostante bárathron fosse un nome comune per indicare una voragine. Adattato dai latini in bàrathrum, ci arriva come voce dotta (molto presto, è già in Dante). Pare comunque ci sia un lontana parentela che affonda nel protoindoeuropeo fra il baratro e la voragine, entrambi collegati all'inghiottire.
Nella famiglia dei suoi sinonimi spicca per i suoi tratti di terrore e allo stesso tempo concretezza. L'abisso ha un odore mitico, precipizi, burroni e dirupi, sono verticalità normali del nostro territorio. In maniera simile alla voragine (e ci si può leggere l'eco del suo senso primigenio che gravita su un divorare), il baratro è irrimediabile, sdrucciolo: non restituisce nulla. Anche se forse più della voragine è scuro, atro, e meno considerato nella superficie che squarcia, più profondo (nella strada diciamo che si apre una voragine, più che un baratro).
Questo senso di irrimediabilità della caduta si vede anche nel significato esteso di rovina che prende il baratro — una rovina materiale e morale, uno smarrimento abissale. E in effetti solo l'abisso, con toni più epici (una moneta più difficile da spendere), si spinge su significati del genere. La voragine al massimo ci parla di una spesa continua, di un buco di bilancio, non di una situazione complessiva che va oltre al denaro. Invece leggiamo che lo Stato flagellato dalla guerra si trova sull'orlo del baratro (espressione ormai plastificata), del baratro di vizi in cui ci precipita la vacanza al mare, del baratro di rabbia in cui ci fa scivolare un'offesa.
Una parola che nel nostro lessico è fortissima, per senso e suono — anche senza aggiungerci l'immagine del precipizio divoratore ateniese.”
Questa parola abbonda (sia scritta che parlata) in questi giorni parlando della nostra situazione economica, ma l’approfondimento mostra un uso e un significato che mi sembra bene non usare...

lunedì 1 giugno 2020

MUSSOLINI O SALVINI?

Elsa Morante su Mussolini

Elsa Morante (1912 – 1985)

Il commento di Elsa Morante all’annuncio della morte di Mussolini, il primo maggio 1945. Tratto dal diario della scrittrice.
“Mussolini, uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo. Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine.
In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso: Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto.
Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita. Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare. Gli si confà la letteratura amena (tipo ungherese), e la musica patetica (tipo Puccini). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (Ada Negri) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo.
Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti , i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando. Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.”

Fa rabbrividire, pur non riconoscendo a Salvini (o a Trump) la statura tragica e funesta di chi il potere l’ha o l’ha avuto ed esercitato. Fa rabbrividire la rappresentatività di un certo modo di essere.