lunedì 29 settembre 2025

IL DUBBIO

 Mi è venuto un dubbio, tenderei a dire fondato, perché le nostre analisi e previsioni sono fondate sull’esperienza (non abbiamo altri parametri). Abbiamo appena assistito allo show Trump - Netanyahu e mi è venuto d’istinto un titolo: ANCHORAGE 2. Stessi toni trionfalistici e “definitivi”, discorsi infantili e apodittici, con tratti comici (“Molti leader vogliono entrare nel Board of Peace perchè evidentemente pensano che sia facile lavorare con me”) e il lato tragico affidato al grugno di Netanyahu.

Lucio Caracciolo ha elegantemente argomentato che “parliamo di un semi-lavorato, con la maggior parte del lavoro ancora da fare”, mentre Scanzi ricordava che i trattati di pace si fanno tra gli avversari, non con gli amici.

Eppure, siamo condannati a sperare in due criminali. Speriamo.

(PS. continua a farmi rabbrividire l’abbondante uso di “pace eterna” da parte di Trump. Nelle mie lontane reminiscenze di educazione cattolica ricordo bene che la “pace eterna” era quella dei morti… in questo caso non completamente fuori luogo, forse, ma per le ragioni sbagliate, credo).

(PS 2 la mia previsione? Mi sembra probabile che la proposta sia costruita apposta perché Hamas dica di no. Spero nella forza di pressione dei loro finanziatori, se - e sottolineo se, perché con Trump non si sa mai - è vero che sono allineati. Temo torni fuori la divisione tra l’Hamas sul campo e l’Hamas di governo in Siria - o in Qatar. E che dire di quelli con i boccoli che passano la loro vita a pregare nelle Sinagoghe e a sparare ai Palestinesi? La mia previsione? Ho una previsione? Ma come si fa?)

sabato 27 settembre 2025

IL FALLIMENTO DELLA DEMOCRAZIA

Post di oggi di Stefano Bandecchi, Sindaco di Terni

bandecchistefano 3h •

20000 bambini non sono mai morti. E questo è il primo punto. Solo voi credete ad Hamas. Poi mi viene naturale dire che i bambini della striscia finiscono la loro infanzia a nove anni, dato che le bambine vengono a quella età trombate. Ventimila non sono mai esistiti, gli altri sono soldati di Hamas. Non voluto neppure dell'autorità Palestinese, che poteva essere STATO dal 1048.

Non é quasi commentabile e non meriterebbe attenzione se non fosse che Stefano Bandecchi é Sindaco di Terni, democraticamente eletto. Ora, di deficienti come Bandecchi, incapaci persino di scrivere correttamente le immense cazzate che pensa e dice, é sempre stato pieno il mondo (i bar del mondo, in particolare), ma non venivano eletti. Da oggi comincio la raccolta degli indizi sul fallimento della democrazia. Spero di non trovarne troppi.



giovedì 25 settembre 2025

A PROPOSITO DI INFANTILISMO: PICCOLA APPENDICE DI OGGI

 Oggi mi alzo e ci sono le dichiarazioni della nostra Meloni che

lancia un appello "alla responsabilità di tutti, anche alle forze politiche, anche ai loro parlamentari, che sono pagati per lavorare nelle istituzioni, non per costringere le istituzioni a lavorare per loro: adesso bisogna aiutare le istituzioni della Repubblica Italiana a trovare delle soluzioni e difendere l'incolumità delle persone", incolumità che "non si può rischiare per fare iniziative che, diciamoci la verità, sembrano prevalentemente fatte non per consegnare gli aiuti ma per creare problemi al governo". (ANSA)

La missione umanitaria di soccorso Global Sumuf Flotilla coinvolge circa 200 attivisti da 44 paesi (dalla Nuova Zelanda alla Malesia passando per Colombia e Irlanda) e secondo la Meloni è stata messa in piedi per mettere in difficoltà il governo italiano. A proposito di egocentrismo ed auto-centratura del discorso infantile…

(Mi è poi sorto un piccolo dubbio. Tutta la destra e anche molto centro, con varie sfumature di odio, comunque predicano l’irrilevanza dell’iniziativa. Ma se è davvero così irrilevante perché viene ripetutamente attaccata sia fisicamente che con le parole? Mah, fa riflettere, no?).



mercoledì 24 settembre 2025

AHIMè - AHINOI

 

Stamattina facendo colazione ascoltavo Omnibus su la 7 e ovviamente il tema del giorno verteva sul discorso delirante ed arrogante di Trump ieri all'Assemblea ONU. Oggi i giornali titolano "Schiaffi all'ONU e all'Europa" e amenità di questo genere. I commentatori erano bravi e qualificati.

Io mi sentivo molto infastidita, ma non tanto dal discorso di Trump, quanto dal fatto di essere lì a commentare e ad ascoltare i commenti. Ho pensato a come definire meglio il discorso di Trump e finalmente ho trovato l'aggettivo, mi è venuto in inglese childish, infantile, e ho cominciato a ripescare nelle reminiscenze degli esami di psicologia evolutiva di tantissimi anni fa. Infantile innanzi tutto perché imbibito di egocentrismo, che è l'incapacità del bambino di vedere i punti di vista degli altri.  Il bambino nella sua fase dello sviluppo cognitivo presuppone che la sua visione del mondo sia la stessa di quella degli altri. Inoltre, durante l'infanzia, di solito non si è in grado di distinguere tra ciò che è soggettivo e oggettivo. Il bambino è ancora egocentrico ed ego-riferito, sta imparando gradualmente a separare sé da ciò che è al di fuori da sé e attribuisce a se stesso tutto ciò che avviene e sviluppa il pensiero magico: uno strumento fantastico da utilizzare per rendere la realtà più vicina, più comprensibile, denominandola e concependola a proprio uso e consumo senza alcuna attinenza ai fatti, ma solo ai proprio desideri. E ancora un'altra caratteristica del pensiero infantile è presente in Trump: i bambini parlano molto, prevalentemente a se stessi, per rielaborare una realtà che è piena di stimoli emotivi che non capiscono e non padroneggiano. 

Ecco, queste sono secondo me le caratteristiche del discorso di Trump e per questo mi  sentivo infastidita dai commenti: il discorso infantile in genere non si commenta, si prende solo come fase evolutiva per quando i bambini cresceranno e come utile strumento di di crescita. Ma questo non cresce. E non solo, anche se é  praticamente superfluo sottolinearlo, sono totalmente assenti in Trump l’innocenza e l’amorevolezza dei bimbi.

Risolini imbarazzati dei commentatori, perfino di quelli in quota "destra", mi hanno confermato che in parte questo pensiero, non dicibile, serpeggiava anche tra di loro - ma veniva continuamente ripetuto che Trump è il Presidente degli Stati Uniti e per quanto impossibile commentarlo, il suo discorso bisognava comunque commentarlo.

Alla fine, ho capito la fonte primaria e più nascosta del mio profondo fastidio: ciò che maggiormente mi infastidisce è che dopo Trump nessun leader mondiale si sia alzato a commentare "Bene, passiamo alla fase adulta. Cosa dobbiamo fare per questo mondo? qual è la realtà scientifica ed etica? Ne parliamo finalmente?".

Ahimè - ahinoi

lunedì 22 settembre 2025

IN CHE MANI INDEGNE E DEBOLI PUÓ CADERE UN GRANDE POPOLO

 Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri... Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere. Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo. 

(Alexis de Tocqueville 1805-1859)

giovedì 18 settembre 2025

COME ERAVAMO (CON TE)

Ho letto molti commenti sulla morte di Robert Redford, in genere molto belli e commossi, ma il mio preferito è l'Amaca di Michele Serra ieri su La Repubblica:

«Ognuno ha il suo cinema che lo accompagna, metà memoria metà visione, e per me Redford sarà per sempre Jeremiah Johnson, il cacciatore solitario del film omonimo di Sydney Pollack che fu rititolato, in Italia, “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”, alla maniera sgangherata del western nostrano. Insieme a “Dersu Uzala” di Kurosawa e a “Balla coi lupi” di Kevin Costner, quel film occupa, nel mio piccolo pantheon, uno spazio importante, quello dove si illustra e si illumina la dura simbiosi tra l’uomo e la natura. L’uomo che vive a stretto contatto con le bestie, i fiumi, i boschi, la neve, il vento, il gelo, la fame – e la civiltà è molto lontana. Solo Jack London, e certe poesie di Walt Whitman, si collegano, nella mia testa, a quel confondersi magnifico del corpo umano con gli elementi. Le riprese furono nello Utah, e il fiume dove è stata girata la scena finale è uno dei posti che vorrei sognare ogni notte. Dopo strenue vicende di sopravvivenza, di caccia, di lotta, Redford sta bevendo, sfinito, l’acqua di quel fiume. Alza la testa e vede, a pochi metri, il suo nemico acerrimo, il capo dei Corvi, che lo sovrasta dal suo cavallo. Il nativo e l’invasore bianco sono al varco del duello finale, e il bianco cerca di afferrare il fucile. Ma il capo alza la mano, inerme, in un segno di saluto, di rispetto e di conciliazione. Oggi nessuno ucciderà nessuno. L’acqua del fiume, e le montagne intorno, suggeriscono solo eternità e pace.

In omaggio a Redford e come antidoto ai veleni del presente, bisognerebbe fare vedere quel film nelle scuole americane. Non è woke (è durissimo) e nemmeno Maga (dà ai nativi ciò che è loro). Dice che il vero valore degli uomini è nella scoperta di vivere lungo lo stesso fiume.

Ero legata alla figura simbolica di Robert Redford, perché impersonava il biondo impossibile degli Stati Uniti che si mostravano e  che si volevano ancora credere buoni, l’America delle grandi pianure e dei grandi silenzi, del baseball al tramonto, delle domande che restano sospese sul ciglio di una veranda, della semplicità, della ritrosia. Un'idea che non è mai stata completamente vera, ma ci piaceva, da giovanissimi che ci affacciavamo sul mondo. Un'idea che non è mai stata vera, ma che adesso è frantumata, triturata da nuovi barbari e consueta arroganza.

Robert Redford ha attraversato gli anni con la grazia sobria di chi sa restituire: una  bellezza senza rumore e senza necessità di essere dichiarata, il talento come condizione naturale, la memoria viva di un cinema che non si accontentava di intrattenere.

Eravamo con te belli, sobri, eleganti e complicati, con ironia.

Come eravamo. Come vorremmo essere ancora.



venerdì 12 settembre 2025

NEMESI

 NEMESI s. f., letter. – Propr. nome proprio, Nemesi (gr. Νέμεσις, lat. Nemĕsis), personificazione nella mitologia greca e latina della giustizia distributiva, e perciò punitrice di quanto, eccedendo la giusta misura, turba l’ordine dell’universo. Con uso fig., espressione riferita ad avvenimenti storici che sembrano quasi riparare o vendicare sui discendenti antiche ingiustizie o colpe di uomini e nazioni; è una NEMESI, a proposito di un avvenimento considerato come un atto di giustizia compensativa. Talvolta anche col sign. generico di punizione o vendetta, con carattere di ineluttabile fatalità.

La Nemesi non è piacevole, a volte nemmeno equa, aggiunge dolore al dolore, violenza a violenza, rovina vite, giovani vite, e rovina la coesione sociale. Miete vittime, senza pietà- ma non ha sentimenti, è quello che è. É tragica.

(La versione popolare, più sintetica è CHI SEMINA VENTO RACCOGLIE TEMPESTA)

Si collega alla hybris di qualche post fa. Cavolo, devo aver sentito e letto Garimberti troppe volte…

giovedì 11 settembre 2025

PUNTI DI VISTA

 Stamattina, come ogni mattina, mi sono recata alla solita edicola dove tutti i giorni compro i miei due quotidiani, la Gazzetta di Parma e Repubblica. Stamattina do il benvenuto alla signora che gestisce l'edicola con il marito e che era fino a ieri in ferie (sostituita da un fedele, folcloristico ed affidabile personaggio) da più di un mese. L'edicolante è una bella signora cinquantenne alta bionda e prosperosa, straniera dell'Est (l'abbiamo sempre ritenuta romena, ma ci è venuto il dubbio che sia in effetti bulgara) con marito italiano ed è tornata al suo paese per le ferie. Parla un buon italiano con accento importante ma non fastidioso e ben capibile e cade nell'errore comune ogni tanto di non coniugare il tempo del verbo usandolo all'infinito, tipico di chi ha imparato la lingua fuori dai banchi di scuola (anche le nostre allieve del corso di italiano lo fanno spesso).

Al mio bentornata ha mostrato (stranamente, di solito è gentile ma non loquace) voglia di raccontare: è tornata per sistemare cose nelle case e terreni che possiede e la mamma ottantenne che ora vive con la famiglia del fratello perché dopo la morte del padre cinque anni fa, vivendo da sola, aveva cominciato a mostrare segni di (e qui il tipico gesto di portare l'indice alla tempia) e allora lei ha detto al fratello che doveva andare a vivere a casa della mamma e lei non voleva niente della casa - non ne ha bisogno -  purché lui e sua moglie curassero la mamma e che il paese è un disastro non c'è più niente e non funziona più niente colpa di quei delinquenti dei politici che a me non me ne piace neanche uno anche di quelli italiani e adesso sarà un disastro perché a gennaio entrerà in vigore l'euro (e qui ho avuto il colpo di fulmine: la signora è bulgara, non romena!) e non c'è più niente e tutti i paesi intorno stanno così.

(io cercavo di inserirmi in qualche momento per esempio dicendo che magari con l'euro la situazione sarebbe migliorata e che ci sono paesi vicini - intendevo la Russia - messi molto peggio, ma era sostanzialmente un monologo, un fiume di parole di sfogo, non di ragionamento)

"E poi devono risolvere il problema di questi immigrati, se no non ci salteremo fuori e sarà sempre peggio" . La guardo con faccia stupita, per me lei è un'immigrata, ma prosegue chiarendo il pensiero "perché questi africani e arabi e cinesi che c'è pieno non c'è niente da fare, non saranno mai europei".

Per fortuna arriva un'altra cliente, quindi con i miei giornali sottobraccio saluto e me ne vado. Risalgo in macchina sorridendo e pensando che in effetti i punti di vista sono molti, alcuni molto particolari...

mercoledì 10 settembre 2025

ADDIO STEFANO BENNI

 È morto Stefano Benni, che mi/ci ha regalato tanti anni fa momenti di pura delizia e divertimento con i suoi libri. Ho letto (post di suo figlio) che avrebbe voluto essere ricordato con la lettura ad alta voce di suoi scritti. Nel mio piccolo, quindi,  ho fatto l’esercizio di riscrivere uno dei suoi brani più famosi, l’iconica Luisona  che a volte ancora citiamo. L’ho anche letto ad alta voce. Grazie, Stefano, ovunque tu sia ora


"Al Bar Sport non si mangia quasi mai. C'è una bacheca con delle paste, ma è puramente coreografica. Sono paste ornamentali, spesso veri e propri pezzi d'artigianato. Sono lì da anni, tanto che i clienti abituali, ormai, le conoscono una per una. 

Entrando dicono: «La meringa è un po' sciupata, oggi. Sarà il caldo». Oppure: «E' ora di dar la polvere al krapfen». Solo, qualche volta, il cliente occasionale osa avvicinarsi al sacrario. Una volta, ad esempio, entrò un rappresentante di Milano. Aprì la bacheca e si mise in bocca una pastona bianca e nera, con sopra una spruzzata di quella bellissima granella in duralluminio che sola contraddistingue la pasta veramente cattiva. Subito nel bar si sparse la voce: «Hanno mangiato la Luisona!». 

La Luisona era la decana delle paste, e si trovava nella bacheca dal 1959. Guardando il colore della sua crema i vecchi riuscivano a trarre le previsioni del tempo. La sua scomparsa fu un colpo durissimo per tutti. Il rappresentante fu invitato a uscire nel generale disprezzo. Nessuno lo toccò, perché il suo gesto malvagio conteneva già in sé la più tremenda delle punizioni. Infatti fu trovato appena un'ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori. La Luisona si era vendicata.

La particolarità di queste paste è infatti la non facile digeribilità. Quando la pasta viene ingerita, per prima cosa la granella buca l'esofago. Poi, quando la pasta arriva al fegato, questo la analizza e rinuncia, spostandosi di un colpo a sinistra e lasciandola passare. 

La pasta, ancora intera, percorre l'intestino e cade a terra intatta dopo pochi secondi. Se il barista non ha visto niente, potete anche rimetterla nella bacheca ed andarvene."

LA GIRAFFA

La giraffa ha il cuore

Lontano dai pensieri

sì è innamorata ieri

e ancora non lo sa.



martedì 9 settembre 2025

COME UN VESTITO DI ARMANI


 C'è molto da fare

La moda (e soprattutto la Milano della moda) è stata uno dei bersagli preferiti di Cuore, il settimanale satirico che feci, con un manipolo di valenti autori e redattori, tra la fine degli Ottanta e la metà dei Novanta. Eravamo giovani e allegri e ditemi voi se non faceva ridere il fiorire di catenoni, borchie e pellami dello stilismo meno cosciente (per intenderci, meno cosciente di quanto burino possa essere un giubbotto borchiato, o una mutanda d’autore che sbuca da un paio di brache a cacarella); e ditemi se non facevano ridere anche tutto il frou frou e tutto lo chichi, le svenevolezze da sfilata (si baciavano tantissimo tutte e tutti). Facevano ridere, e facevano anche pensare: primi, sinistri bagliori della decadenza occidentale?

“Lo stilismo malattia senile del capitalismo”, scrissi sull’Unità dopo avere assistito a una sovreccitata “festa della moda” in piazza Duomo. Eravamo, noi trentenni di sinistra di allora, molto poco interessati all’abbigliamento, eravamo casual e grunge prima che esistessero il casual e il grunge. Jeans, magliette e maglioni, camicie come capitava, giacche militari usate, ai piedi scarpe da tennis (molto pre-sneakers) o le Clarks o scarpe purché informi. I golf di Benetton come unica concessione alla galoppante avanzata dei marchi, che allora nessuno chiamava ancora brand. Coltivavamo una specie di snobismo anti-griffe, una ineleganza tenacemente perseguita che magari, per puro caso, poteva diventare elegante. (Esistono, per esempio, fotografie di Guccini, ai suoi primi trionfi dei Settanta, che sono ottima testimonianza di quel genere di invidiabile noncuranza). I sanbabilini prima, i paninari poi, per mettere in chiaro che la loro tribù considerava disgustosa la nostra (e viceversa), erano tutti in tiro, attillati e firmatissimi.

Ho ancora nitido il ricordo, decisamente esilarante, di quando, giovane redattore della pagina spettacoli dell’Unità, andai alla Stazione Centrale a prendere Edoardo Sanguineti, che arrivava dalla sua Genova per una prima teatrale. Era uno dei poeti italiani più importanti, il suo prestigio intellettuale metteva molta soggezione a un mozzo appena salito a bordo, quale ero. Avevo, a parte i jeans d’ordinanza, uno di quei maglioni peruviani urticanti che oggi sarebbero messi al bando come armi improprie, e per completare il quadro un paio di zoccoli svedesi, che allora furoreggiavano. Sanguineti, con il classico completo grigio (o marrone) dei comunisti del lungo dopoguerra italiano, fieramente liso, mi guardò inorridito. Prima mi chiese se ero davvero io quel Serra che conosceva per telefono, e gli era parsa, fino a lì, una persona presentabile. Poi mi fece promettere che se lo avessi accompagnato a teatro mi sarei cambiato («non possiedi un paio di scarpe?»), cosa che feci migliorando però di pochissimo il mio look.

Il tempo poi rimescola le carte. I maglioni peruviani mi sembrano ciò che erano: ridicoli almeno quanto i giubbotti borchiati. E la Milano della moda e del design, che ai tempi mi sembrava tutta fronzoli e bollicine, ha via via smentito il grosso dei miei pregiudizi – anche se mi tengo stretta una punta di fastidio per la querula frenesia degli “eventi” nei localini e localoni, strade intasate e malori tra gli addetti per la troppa emozione, e si tratta della presentazione di un comodino o di un bottone.

Alla fine è il lavoro (anche il mio) che crea spessore, crea sguardo, costruisce piano piano l’edificio della conoscenza. E anche i fronzoli e le bollicine, dopotutto, richiedono lavoro. Ho poi conosciuto designer che ragionavano come operai, in botteghe incasinate, trucioli e ferraglia ai piedi dei computer. Febbrili e mai contenti, sempre in cerca della curvatura giusta e della finitura migliore. Ho chiacchierato e bevuto del buon rosso con Tai Missoni, persona semplice e splendida, e sono diventato amico di Antonio Marras, disegnatore febbrile, accumulatore e ordinatore di eserciti di oggetti: nel suo spazio milanese ho potuto capire quanto arte e moda si parlino e si scambino opinioni.
Certo, non sono più il mozzo che accompagnava Sanguineti al Piccolo, le certezze professionali e la sicurezza economica smussano parecchi angoli, del mio moralismo giovanile serbo un ricordo rispettoso, ma non lo rimpiango. Ma non è questo, il tema. Il tema è che il saluto di Giorgio Armani al mondo, “io sono il mio lavoro”, mi tocca davvero il cuore. Mi inchioda a quello che penso – anche se penso pure altre cose: ma la gioia e la potenza del lavoro, se è un lavoro che ti piace, che costruisce qualcosa, è un bene impagabile, per l’individuo e per la comunità in cui vive.

So che è un concetto profondamente boomer, mutuato dagli italiani usciti dalla guerra come Armani; ne abbiamo molto discusso, in questa newsletter, e molti trentenni e ventenni avevano da ridire, su questo culto del fare come stella polare, e quasi come senso della vita. E mi hanno spiegato le loro ottime ragioni per diffidarne. Però la Milano in fila, silenziosa e rispettosa, composta e pensosa, davanti al feretro e per molti aspetti davanti a se stessa, non era certo una città di soli anziani; e al di là del colpo d’occhio anagrafico, molto vario, non era una città che rimpiangeva qualcosa, era una città che teneva fermo il punto, in tempi complicati, in attesa del giorno dopo. C’è una solidità, nella morte di Armani, che non lascia il tempo di pensare al vuoto. C’è troppo da fare, chissà se riusciremo a farlo bene. Fronzoli e bollicine compresi.

(Michele Serra, OK Boomer, il Post, 8 settembre 2025)

Il pezzo è delizioso, ma non più di altri di Serra, però lo riporto perché in alcune parti (le ho evidenziate) mi sembra costruito addosso a Roberto, molto consono a ciò che è e soprattutto fa nella sua migliore versione (sulle versioni peggiori e sui lati discutibili di questa filosofia sorvolo, come fa anche Serra). Appunto, costruito addosso, come un vestito su misura di Armani..
PS: mi hanno fatto molto ridere il maglione peruviano e gli zoccoli - li avevo anch’io, non ci posso credere…

lunedì 8 settembre 2025

ARRANGIARSI SENZA DIO

 Attendo, come molti, notizie della Flotilla, entro qualche giorno sapremo come va a finire questa sfida micidiale, molto coinvolgente, tra l’intelligenza disarmata degli “invasori” via mare e la stupidità armata di chi li aspetta come nemici. Sì, stupidità, perché se davvero qualcuno crede che i confini del proprio Paese siano stati disegnati da Dio più di tremila anni fa, e usa la Bibbia come mappa catastale, alla fin fine è prima di tutto uno stupido. Nessuno è più stupido, rispetto alla magnificenza inafferrabile e misteriosa del mondo, del fanatico religioso. Se Dio esistesse (un dio qualunque, anche minuscolo) la sua folgore incenerirebbe per primi i fanatici religiosi: non riuscirebbero a fare un passo fuori di casa senza rimanerci secchi. Purtroppo Dio – se esiste – ha deciso, fin dalla notte dei tempi, per il non interventismo. Dobbiamo arrangiarci da soli.

(Michele Serra, OK Boomer di oggi, il Post)

PS Dio non esiste, infatti. Dobbiamo arrangiarci.

domenica 7 settembre 2025

PICCOLA BATTUTA (LO SO, NON È UN GRANCHÉ)

 Lo so, non è un granché come battuta, ma mi è venuto in mente che il sig. Ambrosetti, fondatore del Forum di Cernobbio, è appena deceduto, ultranovantenne, proprio alla vigilia dell’apertura del Forum Ambrosetti 2025. 

I sismografi hanno rilevato debolissime scosse nel sottosuolo del cimitero di Varese proprio mentre al Forum prendeva la parola Matteo Salvini. Si ipotizza che il lieve movimento tellurico non sia niente di preoccupante - solo il sig. Ambrosetti che si rivoltava ripetutamente nella tomba.

(Ok, non è proprio un granché, ma mi fa ridere…)

giovedì 4 settembre 2025

QUASI AMMUTOLITA, SOLO QUASI

 Stasera stavo distrattamente guardando un inutile telefilm e ancora più distrattamente seguendo gli spot della pausa pubblicitaria. Vedo uno spot iniziare con un delizioso cagnolino con davanti una ciotola e una voce che simula il suo pensiero “Oh, no, ancora acqua”. Poi la voce “scientifica ed affidabile” che spiega che cani e gatti bevono troppo poco. “Ma da oggi, c’è un’acqua pensata appositamente per loro” e compaiono sullo schermo due bottigliette di plastica da mezzo litro, una con l’effige del cane e l’altra con l’effige del gatto.

Dalla stanza vicino dove stava leggendo il giornale Roberto mi ha sentito imprecare violentemente e sbottare con veemenza “Basta, voglio andare via, ma voglio proprio andare via da questo mondo, emigrare su Marte!”

Adesso, più calma, so che non sarà possibile, ma se qualcuno trovasse per caso il modo me lo comunichi, grazie.

CRUSCOTTO DI SERE D’ESTATE

 In margine alla Festa del Pomodoro del Pomodoro del Podere Stuard, alla Cena in Rosso celebrata in una magnifica sera d'estate, il professor Ballarini aveva già effettuato la sua conversazione sul pomodoro ("La storia dell'impiego del pomodoro nei piatti della cucina italiana") dal pomodoro arrivato in Europa come ornamento  via via fino alle conserve e all'utilizzo odierno. Una conversazione deliziosa condotta da un accademico (sia professore emerito dell'Università  di Parma, sia Accademico dell'Accademia Italiana della Cucina) con grande cultura umanistica e grande curiosità intellettuale. 98 anni di grande grazia ed esperienza.



Il Professore ha poi accettato (non era scontato data l’età molto avanzata) di rimanere per la Cena in Rosso, di cui è stato commensale vivace e simpatico della tavolata del Presidente del Podere. Una chicca però voglio citare in particolare. Ad un certo punto si è addentrato nell'etimologia della parola "cruscotto". 

Ebbene, la parola cruscotto deriva come appare evidente, da “crusca”, la parte esterna del chicco di grano. Ma come mai? Perché era originariamente il nome della paratia frontale delle carrozze posta a protezione del cocchiere dal fango sollevato dai cavalli. Questa paratia, oltre a proteggere, fungeva anche da magazzino per i sacchi contenenti la crusca per alimentare i cavalli. Da qui il nome, poi “ereditato” dalle automobili per il pannello frontale della macchina.

Che bella storia! Commento di un amico commensale allo stesso tavolo, entusiasta “Cavolo, questa me la segno e farò un figurone a raccontarla agli amici”

Sere d’estate.