Recentemente, una carissima amica mi manda su Whatsapp
"Siamo al cinema a vedere il film su Bob Dylan e ho appena pensato che tempi diversi erano... pensiero banale accompagnato da un senso di fallimento"
non ho commentato ma il pensiero mi ha un po' infastidito. Ho pensato che sì, i tempi sembravano più semplici, ma in realtà credo fossero solo più semplificati, più illusori.
Abbiamo votato (e alcuni anche lavorato) per un partito che aveva nel suo Pantheon il regime sovietico (la presa di distanza completa avverrà solo nel 1991, alla Bolognina) con i suoi carri armati, i gulag, la censura e la repressione del libero pensiero. Abbiamo fatto parte di pensieri che sostenevano il materialismo storico (l'economia muove il mondo) che mi sembra così apparentato con il modo di comportarsi (non ho voluto usare "pensiero" perchè mi sembra una parola molto sovradimensionata per Trump e sodali) odierno delle varie, sguaiate destre mondiali. Abbiamo vissuto in un benessere che sembrava così "naturale" ma era costruito sulla devastazione dell'ambiente e lo sfruttamento dei paesi poveri. Ci sembravano tempi eticamente migliori, ma non lo erano.
Qualche giorno dopo sono andata a visitare, a Torino, una bella mostra fotografica di Mitch Epstein, un fotografo americano che ha documentato le devastazioni interne provocate dallo “sviluppo” all’ambiente degli Stati Uniti. Particolarmente interessanti le immagini raccolte da Epstein da un archivio fotografico di inizio Novecento che documentano l’intensa deforestazione, con cataste enormi di grandi tronchi sullo sfondo di boschi distrutti. Le testimonianze del tempo riportano che la risorsa boschi e foreste “old growth” era reputata infinita - ma infinita non era.
Mi ha colpito in particolare una serie di foto di Epstein che documenta una storia davvero pazzesca, davvero simbolo della brutalità del capitalismo e dello sviluppo che oggi torna grottescamente in auge. Nel 2003, il New York Times aveva commissionato a Epstein un servizio sulla cittadina di Cheshire, Ohio, dove era sorta una enorme centrale elettrica a carbone della American Electric Power Company. La centrale aveva comportato enormi problemi di inquinamento del territorio, delle falde acquifere, di tutto l'ambiente circostante. Di fronte ai gravosi costi di bonifica che parevano attenderla, l'America Electric Company reagì in modo perfettamente capitalistico: invece di bonificare, acquistò l'intera area per un forfait di 20 milioni di dollari, demolendo le case e trasferendo, volenti o nolenti, tutti i residenti, tranne alcuni vecchi che decisero di resistere, continuamente minacciati e molestati. Nell'esposizione c'è la foto di una di queste vecchie, 87 anni, che si era rifiutata di andarsene e che la foto mostra in poltrona nel suo soggiorno, con una pistola appoggiata al bracciolo della poltrona nel caso avesse dovuto difendersi. Uno scenario terribile e totalmente sconosciuto.


Ho poi visto The Brutalist, bellissimo film che dice la verità sul sogno americano e sul suo marketing contraffatto.
E ho ascoltato le grida belluine dei nuovi padroni d'America guidati dal suprematismo bianco. E ho riascoltato dopo diversi anni (discorso di insediamento di Trump) il ritorno del "manifesto destino" dell'America (come loro si definiscono) di esportare i propri valori e il proprio modello di vita e pensiero, in base alla "virtù" del popolo americano e delle sue istituzioni, alla "missione" di diffondere queste istituzioni che contestualmente redimevano e rimodellavano il mondo a immagine degli USA e al "destino" voluto da Dio di compiere quest'opera affidato agli Stati Uniti. L'espansione non era solo buona, anche ovvia ("manifesta") e inevitabile ("destino"). Chi ha fatto maggiormente le spese di questa dottrina sono stati gli Indiani d'America, ma anche i messicani e i Canadesi ne hanno visto i fuochi e perfino in tempi più recenti altri paesi sparsi nel mondo.
E ho pensato a come anche l'altra parte dello scenario di quando eravamo giovani fosse falsa, ridipinta, l'Occidente libero e felice nascondeva il marcio al suo interno, la prevaricazione, la legge del più forte, il razzismo il suprematismo.
E insomma quando tutti gli organi di informazione e la nostra stessa percezione diffondono lo "stupore" e lo "stordimento" del mondo di fronte al cambio di rotta degli Stati Uniti finiti in mano ad un tecnocrate straricco e ad un pazzo imbecille e ai loro seguaci manipolati, vorrei ricordare che era già tutto lì, magari in secondo piano ma era già tutto presente nel tessuto sociale americano. E ho ripensato al mio fastidio per il Whatsapp di Albertina e ho finalmente chiuso il cerchio sulla sensazione che avevo provato.
Salvo, con Serra, considerare che
"Detto questo, perché continua a risultarmi scandaloso e insopportabile che negli anni Venti del Ventunesimo secolo possa esistere un suprematismo bianco, visto che esiste, nei fatti, da quando i regnanti europei decisero che il mondo era a loro disposizione? Beh, pensandoci bene non è difficile capirlo: perché la prepotenza, l’avidità, la spietatezza dei conquistatori delle Americhe erano l’espressione di un percorso nascente. Era l’alba di una civiltà, certo fondata su basi inique e predatorie (come tutte le civiltà?), ma carica di energia e di futuro. “Il Paese era molto giovane… Il verde brillante della prateria dimostrava in maniera lampante l’esistenza di Dio, del Dio che progetta la frontiera e costruisce la ferrovia” (Francesco De Gregori, Bufalo Bill). Radere al suolo foreste per costruire città, sterminare bisonti, espropriare e segregare gli indigeni, battezzare “nostro” ciò che nostro non era, costruire un potere e un ordine a misura dei nuovi arrivati: non era meno feroce e meno arbitrario di quanto vanno blaterando oggi Trump, Musk e Steve Bannon. Ma erano la ferocia e l’arbitrarietà di un inizio. Era il capitalismo che esplodeva, estendeva i suoi confini ben oltre quelli angusti delle Nazioni. Era anche creazione di ricchezza, di cultura, di architettura, poi di grande cinema musica teatro letteratura, era l’America.
E questi qui, invece? Questa è la ferocia e l’arbitrarietà di una fine. Quando parla Steve Bannon io sento puzzo di morte. Vecchi maschi terrorizzati che progettano l’ibernazione o la trasmigrazione su Marte (pochi e ricchi: gli altri crepino) per salvarsi dall’apocalisse, non credono in Dio ma lo usano come spauracchio e come bavaglio, odiano tutto quanto confligge con la loro immagine. Odiano i non bianchi, i non eterosessuali, i non ricchi, i non americani, i non cristiani, tutto ciò che osa alludere a un esito diverso e inatteso non solo del futuro, anche del presente. Tutto ciò che incarna il nuovo, l’inaspettato, tutto ciò che non è assoggettabile alla compravendita e alla tecnologia (funzionale alla compravendita: niente che non sia funzionale alla compravendita rientra nei loro cervelli contabili).
Vecchi maschi bianchi assediati, e capaci di tutto pur di non accettare di essere messi da parte. Come andrà a finire, nessuno lo sa. Ma non c’è dubbio che questo è il racconto di una fine, non di un inizio. (Michele Serra, OK Boomer di oggi)